Le nostre imprese fanno il bagno d’oro mentre noi restiamo a guardare il boom nei Paesi del Golfo

Le nostre imprese fanno il bagno d’oro mentre noi restiamo a guardare il boom nei Paesi del Golfo

Tre giorni fa, l’intramontabile esperto iraniano Ehsan Khandouzi ha fatto il suo annuncio da Twitter (ora noto come X), regalando al mondo un capolavoro di minaccia velata e scenari apocalittici: “Da domani, per cento giorni, nessuna petroliera o nave del gas passerà dallo stretto di Hormuz senza il permesso dell’Iran.” Geniale, no? Non proprio la politica ufficiale di Teheran, ma tanto basta perché uno che fino a pochi mesi fa era ministro dell’Economia iraniano venga ascoltato con attenzione da chi conta.

Ecco, immaginatevi un checkpoint iraniano all’uscita dal Golfo, lo sbocco vitale del 30% dell’energia fossile che muove il pianeta. Naturalmente, con questo filtro, il petrolio potrebbe volare facile facile a quota cento dollari al barile. Ma aspetta, c’è di più: questa guerra non è mica solo una questione di prezzi alle stelle. No, perché fa tremare meno vistosamente, ma non per questo meno gravemente, l’economia globale e anche quella italiana.

Il vero enigma però è un altro. Quel bolide del made in Italy nel Golfo, che sembrava aver trovato la sua terra promessa, riuscirà a reggere il colpo? Perché sinceramente nessuno ha ancora idea se questa corsa alle esportazioni degli ultimi tempi possa sopravvivere a queste condizioni da film d’azione geopolitico o se, al contrario, l’export italiano dovrà rassegnarsi a un brusco tonfo.

Nel fatidico 2024, le vendite italiane negli Emirati Arabi Uniti sono schizzate in alto di ben 1,27 miliardi di euro, con un applaudito +19%, secondo l’Istituto del Commercio Estero—e pensare che una volta l’export era roba da maniaci della fatica! Ma guarda un po’: l’Arabia Saudita ha fatto addirittura meglio: +30%, per un +1,4 miliardi. Impressionante, vero? E non finisce qui: anche altri regni petroliferi del Golfo come Qatar e Oman stanno dando bella mostra di sé in questa festa delle esportazioni.

Per il made in Italy, l’Arabia Saudita è la regina delle destinazioni con la crescita più imponente nel 2024, se escludiamo la Turchia e il Kirghizistan, quei cumpà che però vengono usati goffamente da qualche azienda smaliziata come scorciatoie illegali per aggirare le sanzioni contro la Russia. Che esempi di brillante creatività commerciale!

La verità sconvolgente è che senza l’inarrestabile crescita nelle vendite ai petro-dollari del Golfo, il nostro meritato export italiano sarebbe già in coma profondo. Stando così le cose, nel 2024 solo i denari provenienti da questa zona calda permettono ai produttori di casa nostra di mantenere quello che sembrava ormai un miracolo: tenere alto il livello delle esportazioni come negli anni d’oro.

Ovviamente, i soliti porti di Abu Dhabi, Dubai, Riad o Doha hanno fatto miracoli, impedendo che il fatturato totale precipitasse come un sasso, nonostante un crollo del 20% nel mercato cinese e cali preoccupanti in Germania, Stati Uniti e Francia. Che sorpresa, queste enclave del Golfo sembrano un’oasi di stabilità nel deserto delle esportazioni globali!

Ma eccoci di nuovo, nel 2025, con lo stesso vecchio ritornello: l’export verso la Cina è già sceso dell’11,7% nei primi cinque mesi, secondo le dogane di Pechino; la Germania e la Francia galleggiano in un mare di stagnazione; mentre gli Stati Uniti, con una generosità che lascia senza fiato, hanno alzato i dazi ai livelli più alti dal lontano 1940. Una vera carezza per il commercio internazionale, no?

Per l’Italia, che dipende dal proprio export più di quanto un ragazzino dipenda dal suo smartphone, serve un Golfo Persico aperto, stabile e con i soldi pronti per gli investimenti. Non certo una guerra a pochi bracci di mare più a nord, come se avessimo chiesto uno sfacelo regionale per complicarci ulteriormente la vita.

Marco Forgione, direttore generale del Chartered Institute of Export and International Trade di Londra, sembra avere una visione ben più realista e meno ottimista. Forgione ha notato che, nell’ultima settimana, non solo per le petroliera ma anche per i portacontainer, il costo assicurativo per transitare da Hormuz è salito di circa il 60%. Grande novità.

Nel frattempo, i porti degli Emirati si stanno pian piano riempiendo di mercantili in attesa che arrivi il “periodo di calma”, un concetto apparentemente astratto in questo angolo di mondo. E come ciliegina sulla torta, i continui blackout dei segnali satellitari, probabilmente causati dalla guerra, hanno già provocato una collisione tra due petroliere proprio vicino a Hormuz. Non male come performance, vero?

Marco Forgione ha dichiarato:

«Abbiamo tensioni e un’incertezza enorme proprio all’ingresso del Golfo Persico e del Mar Rosso, dovute agli Houthi, mentre gli Stati Uniti rimettono in discussione l’intero sistema commerciale mondiale. È una minaccia esistenziale per l’economia globale.»

Insomma, mentre tutti si affannano a parlare di “globalizzazione” e “sistemi aperti”, qualcuno si diverte a trasformare quel sistema in un gigantesco tabellone di Rischio – versione reale. Un’inevitabile miscela di assurdità geopolitiche, costi alle stelle e traffico bloccato, sullo sfondo di uno scenario internazionale che più instabile non si può.