Ancora sei mesi di pausa per la sugar tax: lo zucchero può aspettare, dicono tutti

Ancora sei mesi di pausa per la sugar tax: lo zucchero può aspettare, dicono tutti

Il Consiglio dei Ministri sposta per la nona volta l’entrata in vigore della sugar tax, l’imposta che colpisce le bevande zuccherate e edulcorate, trasformando il rinvio in una vera e propria tradizione italiana.

Questa brillante tassa, nata nel lontano 2020 sotto il governo guidato da Conte II, si sarebbe dovuta attivare il 1° luglio di quest’anno. Ovviamente, tornando la scena al classico gioco dell’“arriviamoci poi”, il governo ha deciso di prorogarla ancora, questa volta andando direttamente al 1° gennaio 2026. Se qualcuno stava contando i rinvii, siamo già al nono slittamento ufficiale, con la sugar tax che si ritrova più procrastinata di una pratica burocratica in una public administration italiana.

Il motivo dichiarato dietro questa imposta? Oh, nemmeno troppo originale: diminuire il consumo di zuccheri attraverso una stangata fiscale sulle bevande con edulcoranti, nel tentativo di migliorare la salute pubblica. Dopotutto, anche altri paesi europei si sono dati alla zelante missione salutista, ma da noi l’esecuzione sembra più un colosso dai piedi d’argilla, con rimandi e ripensamenti costanti.

La formula finale prevede che produttori e importatori paghino un’imposta di 10 euro per ettolitro sulle bibite zuccherate e addolcite artificialmente, con una tariffa ridotta di 0,25 centesimi al chilo per quei prodotti che vengono diluiti prima dell’uso. Sembra complicato? In effetti, più che un’aggiunta fiscale sembra un piccolo rompicapo contabile per chi deve affrontarla. Nel frattempo, le entrate attese si assottigliano: poco meno di 142 milioni previsti nel 2025, che poi calano a 12,7 milioni nel 2027 e un milione scarso l’anno successivo. Ovvero, cifre da sottolineare che sembrano più un contentino che un cambiamento reale.

Non sorprenderà che l’industria delle bevande non stia esattamente cantando vittoria. Ogni intervallo di pace con questa tassa viene celebrato da Assobibe, l’associazione degli industriali del settore, che denuncia perdite potenziali di oltre 2,2 milioni di euro per le aziende italiane. E, onestamente, il problema non è solo il gettone da pagare: le piccole e medie imprese si trovano con costi aggiuntivi che oscillano tra i 25.000 e i 90.000 euro per far fronte agli obblighi contabili e fiscali imposti da questa nuova imposta. E, ciliegina sulla torta, si stima un mancato gettito IVA da 275 milioni, effetto diretto di un calo del 16% delle vendite nei due anni successivi all’entrata in vigore.

Sul fronte politico, le opposizioni sono schierate con chiarezza. Forza Italia da tempo si oppone fermamente a questo balzello, sostenuta anche dalla Lega, che contesta con la solita efficacia populista la misura. Insomma, non un mondo unito nella lotta contro gli zuccheri, ma un concentrato di interessi politici ed economici che si traduce in un tiro alla fune senza vincitori.

Però, chi avrebbe da ridire sono i dati sulla salute pubblica. La Fondazione Veronesi stima che negli ultimi trent’anni il consumo di bevande zuccherate tra bambini e adolescenti sia cresciuto del 23%, esattamente come la curva dell’obesità tra i più giovani. Non proprio un dettaglio da sottovalutare. A livello globale, i giovani bevono il doppio di bibite dolci rispetto agli adulti e sono il bersaglio privilegiato del marketing di queste industrie zuccherine. In Italia, invece, il dato sembra immobile nel tempo: circa 2,2 porzioni a settimana di bevande edulcorate, un numero stabile da due decenni, che probabilmente consente alle lobby di addormentarsi ancora un po’.

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