La Città metropolitana di Bari si è così dotata del suo nuovo organo di valutazione dei dirigenti, una commissione che analizza performance e risultati dei pezzi grossi della macchina burocratica. E guarda un po’, la squadra riflette incredibilmente tutte le sensibilità della famosa maggioranza di centrosinistra che un anno fa portò Leccese sul suo trono comunale e metropolitano.
Il sindaco Vito Leccese, con un tocco di classe che neanche i grandi talent scout di Hollywood, ha deciso di pescare nomi degni di nota nelle sue stesse liste elettorali, ovvero quelli che – nonostante il generoso impegno politico – non avevano avuto la fortuna di mettere piede in Consiglio comunale. Adesso però, ecco la ciliegina sulla torta: un incarico “tecnico” di diretta emanazione politica, comodamente adagiato su un decreto di nomina firmato dal sindaco stesso “sulla scorta dei curricula e delle dichiarazioni sostitutive” – anche se si sa, spesso la carta accetta tutto.
La Città metropolitana di Bari si è così dotata del suo nuovo organo di valutazione dei dirigenti, una commissione che analizza performance e risultati dei pezzi grossi della macchina burocratica. E guarda un po’, la squadra riflette incredibilmente tutte le sensibilità della famosa maggioranza di centrosinistra che un anno fa portò Leccese sul suo trono comunale e metropolitano.
Alla presidenza troviamo niente meno che Achille Cippone, un’autentica icona della valutazione pubblica, presente dall’epoca del sindaco Emiliano fino a Decaro. Insomma, un veterano che fa tanto “stabilità” in questa giostra di nomine. A fargli compagnia, però, arrivano nuovi attori della scena politica locale, scelti con la solita cura che si riserva alle comparse di fiducia.
L’avvocato Giovanni Moretti è uno di questi: viene dal nucleo metropolitano di controllo di gestione, ma soprattutto ha un curriculum da candidato alle Comunali con la lista civica del candidato sindaco Michele Laforgia. I suoi 550 voti, che lo hanno reso “primo dei non eletti”, sono un bel biglietto da visita. Perché sì, c’è anche un ricorso elettorale in ballo, che potrebbe rimescolare le carte togliendo il seggio a un esponente del Movimento 5 Stelle, tanto per aggiungere un pizzico di sapore alla vicenda.
Dalla stessa gara elettorale arriva anche Emanuela Megli, scrittrice e imprenditrice impegnata con la sua società di consulenza nel management dell’innovazione e del welfare aziendale. Candidata nella civica “Leccese Sindaco”, grazie ai suoi 152 voti e all’alleanza un po’ grillina con il consigliere Pierluigi Introna, non ha raggiunto la meritata gloria in Consiglio comunale. Ma poco importa, perché il gioco delle poltrone è lungo e generoso.
Completa la cinquina il duo formato da Gaetano Rutigliano e Tiziana Battista, di cui la seconda rappresenta l’anima… beh, diciamo più “caratteristica” dell’ala politica di riferimento, un dettaglio che lascia ampio spazio a fantasie su quale foss’era il criterio di selezione e quale il reale merito. Ma si sa, nelle stanze dove si decide “chi valuta chi”, le dinamiche sono sempre avvincenti.
Passando agli incarichi veri e propri, quelli del nucleo di valutazione sembrano essere una specie di abbonamento annuale e rinnovabile all’infinito. Non importa se i risultati latitano o le competenze sfuggono, l’importante è che i posti rimangano occupati – altrimenti chi ci metterebbe quella cortesia politica e quella “partecipazione trasparente” di cui tutti si riempiono la bocca? Il presidente fa i suoi bei 16mila euro lordi l’anno, mentre gli altri componenti si accontentano della modesta cifra di 10mila euro. Soldi pubblici, ovviamente.
Nel glorioso circo della ex Provincia, poi, le sorprese non mancano mai: fino allo scorso anno, prima che la famosa inchiesta “Codice Interno” facesse un po’ di pulizia, la moglie dell’ex consigliere Giacomo Olivieri, la sempre diligente Maria Carmen Lorusso, era membro del nucleo di valutazione e controllo strategico. Un posto per la famiglia, si sa, è sempre assicurato dietro ogni angolo.
La “norma Laricchia”: la rivoluzione che non ti aspetti
Forse sembra una favola, ma c’è pure una legge regionale che promette di mettere un po’ d’ordine in questo caos chiamato “nomine politiche”: la cosiddetta “norma Laricchia”. Quella che proibisce a chi è stato candidato alle elezioni di finire magicamente con un incarico. Come dire che forse, solo forse, si cerca di evitare che seduti al tavolo siano sempre gli stessi amici di sempre.
Antonella Laricchia, orgogliosa madre della legge che porta il suo nome e consigliera del M5S, non nasconde il piacere di questa “partecipazione e trasparenza” finalmente in azione, anche se il termine “fase di applicazione” sembra il modo diplomatico per dire: “Rimangono grossi problemi.”
Infatti, dietro all’apparente rivoluzione, balzano all’occhio le belve più feroci di sempre: proroghe di incarichi decennali, reti di interessi consolidati e un’incredibile resistenza a qualsiasi cambiamento. La solita storia: la rivoluzione è bella finché dura, ma il sicuro comodo trono della politica “che conta” è più difficile da buttare giù di un menhir preistorico.