Da migrante in barcone a assessore di Fratelli d’Italia a Bolzano: la solita storia di chi sbarca solo per il portafoglio

Da migrante in barcone a assessore di Fratelli d’Italia a Bolzano: la solita storia di chi sbarca solo per il portafoglio

Tritan Myftiu è arrivato in Italia nel 1991, un giovane albanese con il sogno di costruirsi una nuova vita. Sorprendentemente, non ha scelto Parigi o Londra, ma è sbarcato a Brindisi insieme ad altri 7.000 connazionali, in quella che sembra più una ressa da nave passeggeri che un viaggio di speranza. Nel 2005, come segno di definitiva radicazione, ha ottenuto la cittadinanza italiana. Tra i ricordi più pregnanti di quella traversata in mare, oltre all’inevitabile senso di claustrofobia, c’è il formicolio alle gambe dovuto al fatto che, letteralmente, non ci si poteva quasi muovere. Sembra quasi una metafora della politica italiana: tanto affollamento, poco movimento.

Le prime impressioni che Tritan ha dell’Italia riguardano il cibo: “Che delusione la carne in scatola, che in pubblicità pareva squisita, e la prima banana mangiata, un lusso mai assaporato nella sua Albania”. Da lì è iniziato il viaggio, o meglio il pullman, diretto alle caserme di Monguelfo, dove però l’incontro fortunato non riguardò qualche miracoloso sostegno politico, ma un episodio da set cinematografico italiano: il giovane albanese che si offre come interprete per un giornalista, Alessandro Urzì, destinato a diventare poi deputato di Fratelli d’Italia, che gli trova un impiego come lavapiatti in un ristorante di via Dalmazia. Insomma, la favola del nuovo arrivato che parte dalla lavastoviglie, ma con un amico potente dietro le quinte.

L’ingresso trionfale nel mondo scintillante della politica

La politica, racconta Myftiu, è stata una passione coltivata fin da bambino, come se fosse un hobby innocuo, non un campo minato pieno di veti incrociati e inciuci. Il suo debutto politico a Bolzano risale al 2005, con la prima candidatura al Consiglio comunale. “La politica non è una linea retta,” confessa amaramente, “proprio come la mia ingegneria elettrotecnica che non ho mai finito. A volte la svolta arriva all’improvviso e ti servono tanto i voti quanto, e soprattutto, il beneplacito del partito. Pensate che un mio assessorato era già svanito in una precedente occasione, cinque anni fa.”

Ma come funziona il magico mondo delle urne in Italia? Un piccolo spettacolo degno di un thriller: alle comunali precedenti Myftiu era “il primo dei non eletti”, a soli dieci voti dal beato reddito politico della gloria. Poi, nell’ultima urna da scrutinare, boom: un ribaltone che ha aumentato i suoi voti di dodici, facendolo improvvisamente entrare in consiglio. È come se i numeri, stranamente, decidessero di fare il tifo per lui all’ultimo momento. Mistero della fede, o forse dell’urna.

Il mitico girovagare di Myftiu nel centrodestra bolzanino è quasi un tour storico: da una lista civica a Alleanza Nazionale, passando per PdL, Futuro e Libertà, fino ad arrivare sfacciatamente in Fratelli d’Italia. Insomma, un fedele saltimbanco politico. Con la modestia di chi dice: «Sono stato amato e odiato, ma mai per essere albanese o straniero. Qui si fa politica vera, mica sciocchezze». E giusto per farci capire il valore innovativo della sinistra in città, Myftiu ci regala un gioiellino: tre “nuovi cittadini” nel Consiglio comunale, tutti schierati altrove, mentre la sinistra, quella che ama molto parlare di inclusione, invece preferisce usare gli stranieri come decorazioni spettacolari, tipo soprammobili da esposizione. Che nobiltà.

Se fosse adesso nell’Albania comunista, con la sua saggezza vintage, direbbe: «Nella lista elettorale devi per forza mettere l’operaio, la mungitrice, il cooperativista, il muratore, l’insegnante… tanto poi vincono sempre i soliti». Guardate che profonda analisi sociopolitica. Un déjà-vu da manuale delle democrazie che invece si definiscono alternative, ma alla fine sono tutte uguali.

Il futuro assessore tuttofare

E ora, attenzione, arriva un colpo di scena: Myftiu, con una gioia da novello eroe, si getta nell’impresa di fare l’assessore comunale a Bolzano. Con competenze già pronte, perché “probabilmente” si occuperà di servizi demografici, digitalizzazione, integrazione e decentramento. Già la parola integrazione suona come un atto dovuto: «Diciamo che mi spetta di diritto, sono qua da trent’anni e ho fatto l’impossibile per queste politiche. Sono pure presidente di un’associazione di albanesi e mediatore culturale in un centro profughi». Un curriculum da carta d’oro, che si sposa benissimo con la sua fuga scappata dall’Albania con quattro-cinque esami mancanti in ingegneria elettrotecnica e poi una laurea in giurisprudenza, o meglio, ce l’ha “in corso”. Alla fine il richiamo della patria è stato la mediazione culturale: «Ho insegnato italiano ai bambini albanesi praticamente in tutte le scuole di Bolzano, dalle elementari alle medie. Anche a Bressanone, in Val Venosta, a Naturno e ad Appiano, per non farci mancare niente». Una gloria per l’integrazione, insomma.

I figli albanesi o italiani? Un mistero degno di Agatha Christie

La famiglia è al centro del suo mondo perfetto: una moglie albanese conosciuta proprio in Italia, una figlia di 19 anni e un figlio di 12. Ogni anno una gita in Albania – perché si sa, la nostalgia si combatte così – e a casa si parla albanese, tranne quando il figlio implora: «Papà, traduci, non ho capito». La figlia invece è bilingue da manuale e a volte riesce persino a stupire il genitore. Ma veniamo alle questioni cruciali: «I miei figli nati qua sono albanesi o no? Bella domanda. Io, francamente, non so rispondere». La realtà è quella che sappiamo tutti, ma che in tanti fingono di ignorare: in Italia i bimbi entrano nel vortice del nido a 11 mesi e stanno lì dalle 8 di mattina alle 6 di sera. E così, è più naturale che la padronanza dell’italiano superi quella dell’albanese. «A casa parliamo la nostra lingua, loro capiscono, anche il più timido tra i due, e quando torniamo a Tirana, la comunicazione con i nonni va liscia come l’olio». Almeno questo.

Tra le infinite storie che Myftiu potrebbe raccontare, ne spicca una da far ridere i polli. Anni fa partecipò a un programma su Bubble TV, dove il meccanismo era semplice e all’altezza della serietà europea: un italiano scettico doveva ospitare a cena uno straniero, così da sciogliere i cuori congelati. Indovina chi fu scelto? Lui e la famigerata Eva Klotz, la pasionaria sudtirolese che non ha perso occasione per fare la dolce ospite. Myftiu e la moglie portarono in dono un piatto albanese: un secondo a base di carne e prugna secca schiacciata. Lei rispose con un dolce “bomba svedese”, ovvero uova sbattute e cioccolata. Pungolando, Myftiu fece una battuta: «Certo che dalle vostre parti le bombe non mancano mai». Lei, naturalmente, rimase di ghiaccio, ma poi la serata finì con un sorriso forzato. Classica sottile gara fra ex rivali culturali, nulla di cui stupirsi.

Aggiungiamo al quadro che il nostro amico Myftiu è appassionato di storia locale e conosceva bene il passato “fiero” di Eva Klotz, che però ignorava tutto di lui. Un mondo diviso tra tedesco e italiano, con un protagonista immigrato che forse conosce la lingua e la cultura meglio dei “nativi”, specialmente quelli cresciuti nelle valli. Incredibile ma vero.

Un nonno da film: antifascista e anticomunista, il migliore dei due mondi

Altro che radici confuse: l’amore di Myftiu per l’Italia affonda le sue origini in uno zio da romanzo storico. «Avevo un nonno laureato in Italia che fece il confino a Ventotene con Sandro Pertini. A Latina, negli archivi di Stato, ho scansionato tutto il suo fascicolo. In un documento si legge chiaramente: ‘Il confinato albanese non ha dato segni di ravvedimento e si accompagna ai più ferventi antifascisti del campo, come Pertini, Terracini e Spinelli’.» Un uomo che non si piegava a nessuna ideologia: antifascista ma anche anticomunista. Ecco un ritratto che ha tanto da insegnare alle nostre tranquille squadracce politiche di oggi.

In Albania si iscrisse al fronte nazionale, quelli che oggi chiameremmo senza troppe ironie i sovranisti di turno. Dopo appena due anni come insegnante universitario a Tirana, però, fu gentilmente liquidato dal comunismo locale perché, a quanto pare, osava proferire parole ritenute inadatte a educare la “nuova generazione”. Evidentemente, il dissenso non è mai stato una ricetta vincente nelle accademie partigiane.

Myftiu si cimenta ora nel delicato bilancio sull’immigrazione albanese, offrendo perle di saggezza che manco un manuale di buonsenso riuscirebbe a superare. «I miei genitori vivono ancora lì, ma a stento mi manca la mia terra», confida il buon signore, che è emigrato 30 anni fa mentre, sorpresa, è andata via un’intera generazione. Perché? «Eravamo messi male», ammette candidamente, dimenticando di specificare che quel “male” era un regime con pochi amici della libertà.

Senza perdere il passo, però, la sua analisi sociologica da esperto emigrato prosegue con un colpo da maestro: «La mia generazione partiva con una cultura, perché allora l’istruzione era statale, come tutto il resto; oggi, invece, chi parte ha perso la cultura e persino i valori: l’unica cosa che cerca è fare soldi, spesso fregandosene di scelte di vita dignitose e legali». Chapeau. Come se il problema fosse la fuga dai diritti, non esattamente il contrario.

Non sorprende dunque che Myftiu non trovi alcuna contraddizione nell’essere militante di Fratelli d’Italia, partito noto per il suo amore smisurato per regole e confini ben delineati. «Occorrono regole precise di convivenza, e soprattutto una proporzione equilibrata tra locali e stranieri. Se il sale è più della pasta, la pasta diventa immangiabile», spiega con quella delicatezza da compositore di metafore alimentari che solo l’esperienza può forgiare.

In realtà, Myftiu si vende come il perfetto assessore buonista che sogna di fare da ponte culturale. Ne ha ben donde: in Alto Adige si contano oggi più di 15.000 albanesi, con 5.000 solo nella capitalina Bolzano. Durante la campagna elettorale, lui stesso si diletta a esaminare la lista degli elettori e a stilare un censimento “spannometrico” degli albanesi, o più precisamente degli albanofoni, quindi kosovari, macedoni e compagnia bella. Una comunità vivace che rappresenta con tanto orgoglio quanto dedizione, senza far trapelare una punta di imbarazzo per l’incredibile complessità di questa commistione etnica e sociale.

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