Terzo mandato a rischio tra i palazzi: Forza Italia fa muro, ma qualcuno insiste con lo ius scholae—la commedia continua

Terzo mandato a rischio tra i palazzi: Forza Italia fa muro, ma qualcuno insiste con lo ius scholae—la commedia continua

Leggendo il titolo, si potrebbe pensare che siamo di fronte all’ennesima, monotona puntata della saga sul terzo mandato per i governatori regionali. Invece no, Antonio Tajani, fiero vicepremier, ci tiene a precisare con piglio da dramma shakespeariano: «Non siamo al mercato, non faccio baratti — non mi svendo nemmeno per un piatto di lenticchie».

Che tradotto in linguaggio politico significa: la tanto decantata trattativa sul terzo mandato non è mai esistita se non nella fervida immaginazione dei giornali. Non si tratta di scambiarsi poltrone come se fosse un mercatino delle pulci. Piuttosto, per Tajani, la questione merita voti, se proprio vogliamo parlare di “prendere” qualcosa, non i soliti cessi solo perché qualcuno glielo offre su un piatto d’argento, Milanese o Veronese che sia.

In più, anche se si vocifera nell’aria, il nostro leader azzurro non ha ancora deciso se aprire la famosa finestra sullo ius scholae, quell’idea tanto cara agli umanisti di turno ma ben distante dalla realpolitik di Forza Italia.

A mettere il sigillo sulla posizione inflessibile di Tajani ci pensa Paolo Barelli, il presidente dei deputati di Forza Italia, meno diplomatico ma altrettanto diretto:

«Forza Italia è sempre stata aperta al dialogo, specie con gli alleati, e nel rispetto del programma di governo, che sì, prevede anche un occhio di riguardo per l’inclusione dei migranti regolari. Però, sul terzo mandato dei governatori, facciamo un bel passo indietro: non è nel nostro programma e, a quanto pare, non piace nemmeno agli italiani, secondo i sondaggi. Quindi, per noi, la discussione è chiusa».

Non contento, poco prima Galeazzo Bignami, capo gruppo dei meloniani, si è affrettato a seppellire ogni ipotesi di modifiche alla cittadinanza o allo ius scholae. Progetto che, tra l’altro, a Forza Italia sembrava quasi di tanto gradimento… almeno fino a ieri.

La Lega e il gioco che non si giocherà

La risposta della Lega? Rigorosamente diplomatica, come sempre. Con un tocco di amarezza tipico del gruppo che si vede chiudere la porta in faccia, prendono atto (forse con un po’ troppa rassegnazione) del cosiddetto “game over”. Il messaggio spedito al vento è semplice:

«Ci dispiace molto che Forza Italia non voglia nemmeno discutere del terzo mandato. E no, non si tratta di passare da tacchini, perché scambiare un mandato in più con qualche concessione sullo ius scholae o la cittadinanza facile è proprio fuori questione».

Quindi, riepilogando: nessun baratto, nessun piatto di lenticchie, nessun allargamento dei confini del potere per i governatori, e soprattutto nessuna concessione sui temi caldi dell’immigrazione, almeno secondo i rigorosissimi dogmi di Forza Italia. Un’armonia di principi che fa quasi pensare a una strategia, ma sappiamo tutti che in politica non si butta mai nulla per caso, e meno che mai le dichiarazioni consegnate ai giornali.

Insomma, il teatrino continua a offrire spettacoli indecorosi ma irresistibili, dove le parole si rincorrono, si contraddicono e, soprattutto, non portano mai a nulla di concreto. Certo, se non fosse così tragicomico, sarebbe quasi divertente.

Stefano Locatelli assiste impotente: «A questo punto speriamo davvero che il centrodestra scelga al più presto i candidati migliori». Ecco, perché ovviamente scegliere all’ultimo momento qualcuno che ne sappia più di una marmotta sotto sale è ormai una priorità nazionale.

Capitolo dopo capitolo, cioè? I libri si chiudono. E, ancora meglio, si chiude anche il tempo utile per una trattativa che, diciamolo, era complicata già nel momento in cui è stata pensata. Lo dice con uno sguardo impassibile il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani di Fratelli d’Italia:

«Dipende dal termine ultimo in cui le Regioni devono convocare i comizi elettorali […]. Immagino sia nella seconda metà di settembre: oltre quello non si può andare. In mezzo c’è agosto, quindi se fate i conti rimane davvero poco tempo.»

Subito dopo, ecco il classico passaggio della palla alla Lega, come in una partita di calcio giuridico-politica: «Dovete chiedere alla Lega se ha intenzione di presentare qualcosa. Noi, più di dire che siamo disponibili a ragionare, non possiamo fare». Tradotto: “Parlate voi, noi ci facciamo i selfie.”

Matteo Salvini scuote la testa in segno di profondo disappunto istituzionale (e non poteva che farlo lui): «Siamo i primi a dire che non può esserci uno scambio.»

E aggiunge, quasi con la saggezza di un monaco zen dispettoso: «Se vogliamo parlare di istituzioni, di libertà di scelta dei cittadini, noi ci siamo.»

Naturalmente, il segretario leghista ricorda che «noi abbiamo proposto un cambio di impostazione: che siano i cittadini a decidere se un presidente ha fatto bene il suo lavoro e quindi merita di restare». Una genialata, peccato che tale idea sia stata bocciata ben quattro volte. Non vi sembra un chiaro segnale che forse, dico forse, quel cambio di impostazione fa acqua da tutte le parti?

Lui insiste: «La nostra proposta da sempre è chiara: cambiare questa impostazione di fondo.» Beh, quanto ci ha fatto penare questa impostazione “vecchia” è già da premio Nobel del disastro politico.

Martedì scorso al Senato, per una volta, si è deciso di rinviare di una settimana l’esame del decreto che dovrebbe mantenere lo stesso numero di consiglieri e assessori regionali anche nelle Regioni con meno abitanti. Fantastico, sembra un decreto perfetto: un tradizionale “contenitore” dove infilare un emendamento sul famigerato “terzo mandato”.

Ma attenzione, l’idea di stravolgere il meccanismo elettorale a due mesi dalle elezioni, oltre a solleticare il Quirinale in maniera non troppo felice, scatena un vero e proprio terremoto politico. C’era un accordo con le opposizioni, naturalmente fragile come un cristallo intarsiato ma accordo.

Oppure, fatto sapere gli oppositori, se si infilasse il terzo mandato in mezzo, non solo l’accordo salterebbe come un soufflé al primo colpo di vento, ma partirebbe una valanga di migliaia di emendamenti (obiettivo: trasformare la discussione in un circo senza fine). Tempo? Fino a martedì prossimo. Insomma, venerdì sarebbe stato un giorno troppo ottimista.

Se poi Forza Italia decidesse di tornare a fare le solite danze sullo Ius scholae (o Ius Italiae, a seconda di come vi sentite più inclusivi), argomento di cui Antonio Tajani era tornato a parlare come se fosse l’ossessione di metà estate, beh, per loro i giorni contano arduamente.

Soddisfazioni minori, ma comunque da strombazzare

Ma il vero momento “trionfo” del vicepremier non ha a che fare con i politicismi infiniti, bensì con l’ennesima buona notizia alla voce “numeri che fanno bene all’anima”. Perché, udite udite, secondo i dati di Polizia Stradale e Carabinieri, nei primi sei mesi dopo l’entrata in vigore del nuovo codice della strada, c’è stato un calo dell’8,7% dei decessi (55 in meno, da 634 a 579), del 5,6% dei feriti (1.115 in meno, da 20.075 a 18.960) e, ciliegina sulla torta, un calo generale degli incidenti del 4% (meno 1.423, da 35.209 a 33.786).

Il ministro dei Trasporti, con la solita modestia feudal-paternalistica, commenta: «Numeri che da papà sono una gioia. Sarebbe stata una soddisfazione anche un solo morto in meno, ma così è davvero una soddisfazione dopo sei mesi di insulti da sinistra.»

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