Lo Stato italiano, con la più disinvolta leggerezza, ha deciso che non aveva alcun obbligo di fornire un Porto Sicuro alla gloriosa nave della ong spagnola Open Arms. Questa è la perla del ragionamento con cui il tribunale di Palermo ha assolto, il 20 dicembre 2024, il gran cerimoniere dell’Interno, l’ex ministro Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Ricordate la vicenda? Ad agosto 2019, il mitico Viminale ha vietato, peraltro illegittimamente secondo l’accusa, lo sbarco degli sventurati migranti salvati in mare dalla Open Arms. Oggi, come ciliegina sulla torta, ecco la motivazione della sentenza, pronta per il pubblico elogio.
I giudici cominciano con un entusiasmo da manuale spiegando che, sorprendentemente, “nessun obbligo di fornire il Porto Sicuro gravava sullo Stato italiano, né dunque sull’imputato”. Tradotto, nessun interesse a considerare le numerose questioni animate da dibattiti e arringhe: che la Open Arms potesse fungere da Porto Sicuro, se quel primo intervento riguardasse davvero una barca in difficoltà, o ancora i ‘tempti biblici’ che intercorsero prima dello sbarco, giustificati – manco a dirlo – dalla ‘necessità’ di distribuire i migranti tra gli Stati europei. Una favoletta degna di un consiglio di amministrazione che pensa più alla spartizione delle poltrone che ai naufraghi in mare.
E poi, ovviamente, i poveri migranti non erano così tanto in pericolo da giustificare quel tanto sospirato intervento immediato. Eh no, bisogna avere pazienza, tutto deve seguire un copione, soprattutto se si indossa la fascia tricolore al ministero. I giudici non si sono fatti scappare il dettaglio del decreto dell’1 agosto 2019: una prova tangibile della “limitatezza” dell’impegno italiano, che restava attento a non eccedere in abnegazione umanitaria.
La favola del Porto Sicuro inesistente
Mai sentito parlare di Porto Sicuro? Tranquilli, secondo lo Stato italiano non c’è bisogno di affannarsi a trovarlo, figurarsi concederlo. La Open Arms, con la sua bella carovana di persone salvate alla deriva, poteva anche aspettare seduta, con un bel sorriso, perché il pericolo reale era un miraggio e, in ogni caso, non era compito nostro occuparcene. Assolutamente no. La magistratura, con rara lucidità (o forse semplice pragmatismo), ha sancito che il “porto sicuro” è più un’illusione ottica da tabellone di gioco, che una concreta responsabilità umanitaria e giuridica.
La danza delle responsabilità europee
Ah, l’Unione Europea, quel modello di efficienza e solidarietà che ci piace tanto sognare! Nel frattempo, mentre la Open Arms faceva la sua unica, rigorosa, istruttiva attesa in mezzo al mare, la competizione era tutta intorno a chi si sarebbe accollato il peso degli sbarcati. Bisognava, con grande pazienza, distribuire i migranti tra gli Stati europei. Una rievocazione di “giochiamo tutti insieme” che sembra più un escamotage per evitare qualsiasi assunzione di responsabilità immediata. Benvenuti nel circo delle promesse infrante e delle buone intenzioni dimenticate.
Del resto, assicurano i giudici, le tempistiche italiane per lo sbarco sono state “in linea” con quanto accade da sempre, persino in epoche pre-Salvini. Una consolazione poco confortante per chi, nel mentre, cercava un posto in cui poter respirare senza paura.
Conclusione: nessun obbligo, nessuna colpa
Insomma, mentre alcune menti comuni pensano all’etica e all’umanità, il tribunale ci offre la perla della ragione giuridica: nessun obbligo, nessuna colpa. E così, l’ex ministro Matteo Salvini si gode la propria assoluzione tra le onde agitate dello scetticismo pubblico. Il sipario cala su una vicenda che, tra volontà politica e prudenza giudiziaria, ha deciso che la vita umana può attendere… almeno finché non ci conviene diversamente.
Ah, l’arte sottile di vietare l’accesso a Open Arms, quella barca che, attenzione, stava tranquillamente navigando in acque internazionali, e non a uno, ma a oltre 50 miglia dalle coste italiane. Una raffinata mossa da parte delle autorità italiane, che hanno chiuso le porte alle acque territoriali senza battere ciglio, negando l’ingresso a chi avrebbe potuto offrire soccorso. Ovviamente, il tutto condito con quel classico esercizio di equilibrismo giuridico: non ha senso respingerli verso paesi sicuri come la Spagna o Malta, dove i poveri migranti sarebbero al sicuro, no no, meglio puntare sulla Libia, con tutto il suo fascino fatto di pericoli e pregiudizi sul destino di chi osa attraversarla.
Il tutto, naturalmente, facendo affidamento sul fatto che i “paesi direttamente responsabili” (leggasi Spagna e Malta), quei malvagi amici vicini pronti ad accogliere i migranti senza rischi, avrebbero dovuto farsi carico di una responsabilità che il nostro caro Bel Paese sembrava invece ben deciso a scaricare senza troppe storie.