«L’ultimo che lascia la città, spenga la luce», si raccontava nell’ormai mitica Detroit, la gloriosa ex capitale dell’auto americana ora immersa nel più classico declino. A Torino, invece, città che vanta con orgoglio il titolo di capitale italiana dell’auto (faticosamente) e sogna di conquistare altri trionfi aerei, culinari, tennistici, cinematografici e persino egittologici (perché mai limitarsi?), non si è nemmeno aspettato che l’ultimo sparisse per spegnere la luce. No, il blackout è arrivato d’improvviso, come un ospite indesiderato agli sgoccioli di domenica, lasciando interi quartieri nell’oscurità dalle 14 fino all’alba del lunedì.
Da Vanchiglia a Barriera di Milano, passando per Mirafiori, Borgo Vittoria, San Secondo fino al centro storico, la corrente ha fatto le bizze. Ironia del destino, proprio il centro, che avrebbe dovuto brillar di luce propria per il concertone “energivoro” organizzato in piazza Castello, è rimasto al buio fino alla conclusione di questo festival di strombazzamento di decibel e corpi sudati.
Nel frattempo, tra Ghali, Baby K, The Kolors, Capo Plaza e Willie Peyote scatenatisi sul palco, i cittadini esasperati intonavano involontari inni in onore di Iren, la società che gestisce l’energia cittadina. Eh sì, perché a chi chiedeva lumi sul blackout, Iren ha prontamente risposto – rigorosamente al Corriere – che la causa non era il concerto, dato che «eventi di questo tipo hanno generatori propri». Il messaggio subliminale è chiaro: con questo caldo, forse sarebbe il caso di passare all’acquisto di un generatore personale… un piccolo lusso per sentirsi indipendenti e forse un po’ meno al buio.
Ma l’epic fail energetico non è certo una novità per chi tiene d’occhio i segnali di un sistema che scricchiola anziché marciare spedito. Certo, possiamo anche essere generosi e riconoscere che, ogni tanto, episodi del genere capitano — come quando, nel novembre scorso, la siccità ha prosciugato la diga di Kariba, lasciando al buio Zambia e Zimbabwe e paralizzando persino la pesca locale, ridotta a una semplice leggenda metropolitana.
Peccato che a Torino questa assenza di elettricità abbia avuto effetti ben più palpabili: i commercianti dei quartieri coinvolti, compresi ristoratori e farmacisti, si sono ritrovati a dover abbassare le serrande, paralizzando parte dell’economia locale. Bravi, davvero: la città che vuole crescere, innovare e farsi portavoce del futuro si ferma e… buio totale.
Nel frattempo, chi aveva parcheggiato nei silos sotterranei di via Porta Palatina, cuore antico e pulsante della città, si è ritrovato in un insolito esperimento sociale: mezzi intrappolati senza via d’uscita o rientro possibile. Una specie di fuga dalla realtà anticipata, fortuna che non era un reality show. Circa sessanta sfortunati utenti mediano ora la possibilità di una class action: perché sì, cosa c’è di meglio che unire le forze dopo un’esperienza traumatica?
Naturalmente, il pezzo forte arriva dalla politica, perché nessun sistema si inceppa senza qualche dichiarazione tempestiva e melodrammatica. Fratelli d’Italia non si è fatta attendere e ha immediatamente fulminato il sindaco Stefano Lo Russo, richiedendo spiegazioni in Consiglio Comunale su cosa sia diavolo successo. La logica è quella di sempre: prima si chiede conto, poi si rimprovera e infine si allunga la mano per chiedere le scuse formali. Ah, grazia! E per non far mancare nulla, si ricorda che Iren, il colosso aziendale dei servizi, è gestito proprio da quei Comuni virtuosi come Torino, Genova e Parma. Ecco la ciliegina sulla torta: nei mesi scorsi, il sindaco avrebbe perfino voluto aumentare la partecipazione del Comune in un’azienda che – udite, udite – produce “utili importanti” per le casse comunali, dove i dirigenti, guadagnano come stelle del calcio. Mica cotiche.
Un blackout degno di una serie tv
Se qualcuno si fosse chiesto che effetto fa vivere una puntata di un thriller apocalittico, la risposta arriva con un blackout che rasenta la perfezione. Per chi non lo sapesse, “Zero Day” è una miniserie statunitense targata Netflix dove l’America si ritrova senza corrente elettrica. Qui da noi, non siamo certo da meno: anche il nostro “dramma elettrico” ha accese tensioni politiche degne di un cast di Hollywood. Ma il dilemma resta: a chi toccherà il ruolo di Robert De Niro in questa commedia surreale?
Paradossalmente, l’oscurità imposta dal blackout potrebbe farci vedere le cose in modo sorprendentemente nitido. E se la prendessimo sul serio? Potremmo forse usare questa crisi per squarciare la coltre di ipocrisia che avvolge la favoletta di una Torino modello, svelando allo scoperto le magagne di sistema, incompetenza cronica e strategie da filmetto amatoriale.
È troppo comodo appellarsi ai “picchi stagionali di consumo” per giustificare una rete che si scioglie appena arriva un po’ di caldo. Se i nostri consumi assomigliano a quelli di città all’avanguardia come Singapore, qualcuno avrebbe – dico qualcuno – dovuto prevederlo, pianificarlo, evitarlo. Ma evidentemente no. E a questo punto, non resta che prenderne atto, magari con una sana risata amara.
Torino cerca… l’interruttore della luce
Ricordate il saggista Pino Aprile che definiva Napoli con la frase “Roma fu, Milano vuole essere, Napoli è”? Oggi potremmo tranquillamente aggiungere un nuovo verso all’ode delle grandi città italiane: “E Torino? Torino cerca ancora l’interruttore della luce.” Una battuta che sembra semplice ironia ma che in realtà racconta la triste parabola di un’amministrazione che sembra capace solo di spegnere i sogni (e le luci) di chi la abita.