Ministro Calderoli lancia l’allarme: per salvare la democrazia basta cancellare le firme digitali, che ovviamente mettono tutto a rischio

Ministro Calderoli lancia l’allarme: per salvare la democrazia basta cancellare le firme digitali, che ovviamente mettono tutto a rischio

Roberto Calderoli, quel simpatico ministro per gli Affari regionali, ha deciso di dare una bella rinfrescata alla democrazia italiana. “Se vuoi presentarti alle elezioni, allora fatti carico anche di raccogliere le firme,” dice con la solita dolcezza.

Certo, la raccolta digitale delle firme è il suo bersaglio preferito. Calderoli, che di referendum ne ha fatti non uno, non due, ma parecchi, propone un’idea geniale: abroghiamola. Perché, si sa, la democrazia può pure prendere una pausa, no?

Con ironica modestia, precisa subito: “Parlo a titolo del tutto personale, non come ministro”. Come se un ministro potesse dire cose così importanti che riguardano la democrazia e poi scaricare le responsabilità come se fosse una chiacchierata al bar.

La scarsa partecipazione ai referendum ultimamente? “Non è la malattia ma un sintomo,” ci informa con aria da saputello. Ma cosa c’è di più pericoloso della piattezza digitale? Secondo lui, ben altro!

“Settantasette referendum in 79 anni? Un’esagerazione,” ci ricorda l’esperto. Lamenta che il referendum dovrebbe essere ‘straordinario’. Peccato che a qualcuno piaccia troppo così com’è, diventando ordinarietà al ribasso.

Quorum, firme e altre sventure della democrazia

Quando qualcuno osa chiedere di abbassare il quorum – perché, si sa, un democratico vuole più partecipazione – lui risponde con la saggezza di un vecchio saggio stanco: “Il quorum e la vittoria del sì rappresentano comunque una maggioranza relativa”. Tradotto: se abbassiamo il quorum, si rischia che una minoranza decida le leggi per una maggioranza eletta. Geniale!

Lo ammette lui stesso: la democrazia rappresentativa è cosa seria, così seria che se una legge è approvata dal Parlamento, non ci si può permettere che una manica di ribelli mandi tutto all’aria con due firme e un clic.

E poi, come se non bastasse, arriva l’acrobazia sul referendum abrogativo: “Le modifiche parziali rischiano di trasformarsi in un bricolage legislativo.”

Inutile dire che lui stesso in passato è stato protagonista di questo gioco del ‘taglia e cuci’, ma quando viene fatto oggi, è manipolazione pura e semplice. Il bello? Se i quesiti fossero troppo sofisticati, la Corte Costituzionale sbarrerebbe la strada. Peccato però che se sono ‘scritti bene,’ persino la Consulta deve farsene una ragione e lasciarli passare. Eccellenza burocratica.

Ora, tra gli amici di destra, qualcuno dice che le firme necessarie per presentare un referendum dovrebbero essere aumentate a un milione. Il nostro ci pensa su e risponde che è “altrettanto discutibile quanto abbassare il quorum.” Traduzione: è tutto da ridere e da piangere allo stesso tempo.

Non è forse straordinario come la democrazia italiana riesca ad auto-sabotarsi, costruendo paletti e lacci che rendono impossibile il minimo di partecipazione popolare? Un vero gioiello di contraddizioni degno di un capolavoro di satira politica.

Il problema? Ma quale problema! Il nostro amatissimo referendum è regolato dall’articolo 75 della Costituzione, che magicamente decide quali leggi si possono toccare e quali invece sono sacre. Inoltre, è previsto che debba partecipare almeno il 50% più uno degli elettori. Certo, un’impostazione dal sapore vintage, proprio figlia di un’epoca in cui la tecnologia digitale era solo fantascienza. E quelle raccolte di firme via app e portali ministeriali? Una roba fuori tempo e fuori posto rispetto alla sacralità della Carta.

Ma l’obiettivo non era proprio quello di aggiornare il sistema ai tempi moderni? Ah no, mica tanto. Secondo il nostro esperto, l’articolo 75 è stato scritto per persone che devono uscire di casa, firmare a mano e poi recarsi alle urne, un excursus molto “alieno” nel 21° secolo digitale. La richiesta di 500 mila firme? Ovviamente basata su questa filosofia da tempi andati, dove la presenza fisica era sacrosanta. Oggi, con gli strumenti digitali, potresti pure raccogliere milioni di firme e non basterebbero comunque.

Da medico chirurgo (altro titolo di prestigio, ovviamente), il nostro genio aveva addirittura ideato un algoritmo per generare milioni di emendamenti ai disegni di legge, così il Senato sarebbe stato sepolto sotto l’infinita montagna di carte. Grazie anche all’Intelligenza Artificiale, ha assicurato che si potrebbero raccogliere addirittura 10 milioni di firme. Una minaccia in piena regola, il sogno di ogni burocrate decisamente incubo per qualsiasi Parlamento.

E allora? Finché non ci sarà un vero e proprio voto digitale, che rispetti tutti i requisiti costituzionali, per lui non è affatto permesso raccogliere firme online in questo modo. Se devi presentarti di persona per votare, allora ti devi vedere anche per le firme. Lui sarebbe favorevole a smettere subito con questa raccolta digitale: un vero e proprio colpo alla modernità.

Parlando di rischi per la democrazia, nel caso qualcuno si fosse scordato, per proporre una legge d’iniziativa popolare servono davvero 50 mila firme raccolte in six mesi. Con la modalità digitale? Tutto risolto in pochi giorni, quasi come un click e via. Colpisce sapere che, a detta sua, nessuna legge popolare finora sia mai approdata alla gloria di diventare legge dello Stato. Una certezza statistica rassicurante, che però non placa il suo timore.

Il Senato paralizzato e la democrazia in pericolo

Durante la scorsa legislatura è cambiato il regolamento del Senato. Ora l’esame delle leggi popolari non è più solo un auspicio, ma un obbligo: entro 30 giorni bisogna iniziare in commissione e se non finisci entro 90 giorni, il testo va direttamente in Aula così com’è, senza filtri. Un meccanismo che almeno dovrebbe mettere un freno ai procrastinatori, se non fosse per la minaccia di chi potrebbe inviare a raffica migliaia di proposte, paralizzando letteralmente il Parlamento.

Per salvare la funzionalità del sistema – ci vien detto – è necessario fermare la raccolta digitale delle firme. Una situazione surreale in cui la tecnologia che dovrebbe facilitare la democrazia diventa invece il suo peggior nemico. E poi c’è il discorso sulla dignità dei referendum abrogativi: raccogliere firme di persona creava un vero dibattito pubblico, mentre oggi rischia di diventare un gioco indisturbato, senza che nessuno si accorga di nulla.

I referendum dovrebbero essere strumenti per garantire scelte di coscienza, ma al momento vengono sprecati per dettagli minuti, svendendo così il loro reale valore. E se qualcuno pensasse di spingere davvero per un referendum che abroghi le norme sulla raccolta digitale? Lui ironizza: probabilmente nessuno, e giustamente, si farebbe coinvolgere abbastanza da arrivare al quorum.

Insomma, conviene che intervenga prima il Parlamento, prima che qualcuno, con migliaia di firme a colpi di click, possa paralizzare la democrazia stessa. Ovvero, il più grande pericolo per la democrazia è… la democrazia digitale. Che novità.

Siamo SEMPRE qui ad ascoltarvi.

Vuoi segnalarci qualcosa? CONTATTACI.

Aspettiamo i vostri commenti sul GRUPPO DI TELEGRAM!