Manzoni annuncia la svolta miracolosa: accordo Loggia-Aler per case popolari finalmente senza pericoli, o almeno così dicono

Manzoni annuncia la svolta miracolosa: accordo Loggia-Aler per case popolari finalmente senza pericoli, o almeno così dicono

Ah, Brescia, quel luogo dove la magia delle case popolari si realizza centralizzando una gestione che promette miracoli. La nuova convenzione appena sfornata tra il comune e Aler, valida dal primo luglio 2025 fino al 31 dicembre 2029, sembra il sogno proibito di chi crede che un aumento di 400mila euro all’anno possa trasformare un patrimonio edilizio piuttosto malconcio in un’oasi di decoro abitativo.

Non solo: a questa cifra da capogiro si aggiunge la quota destinata a Brescia Infrastrutture per gestire la manutenzione ordinaria. Insomma, è come tutte le volte che al ristorante ordini un piatto mediocre e cerchi di renderlo più digeribile aggiungendo un po’ di salsa speciale.

Federico Manzoni, il vicesindaco, prova a confezionare il tutto con una domanda retorica sulle responsabilità che il Comune finalmente si assumerebbe, fingendo sorpresa e stupore per un accordo che, detto brutalmente, sposta qualche peso senza risolvere i problemi strutturali.

“Il salto di qualità riguarda tre aspetti fondamentali”, annuncia solennemente, con una mano che già immagina la platea adorante. Ovviamente sono “input e standard più sfidanti per Aler“, perché, evidentemente, qualcuno deve sfidare la sfida di rendere accoglienti e funzionali quegli oltre duemila appartamenti popolari; poi ci sono “maggiori risorse dedicate alla manutenzione” – perché finora evidentemente spendevano l’aria – e, dulcis in fundo, una spronata a fare meglio, con collaborazioni strettissime tra uffici sociali, edilizia abitativa e patrimonio, ovvero gli eroi silenziosi che, con ineffabile dedizione, si occupano di mille grane senza che nessuno li ringrazi.

Quando un giornalista osa chiedere come intendano risolvere le infinite criticità sollevate dagli assembleari inferociti – e come dargli torto? – la risposta è la classica medicina del buongoverno: si partirà da una “fotografia” degli spazi comuni e da “tempi più rapidi di subentro” tra un inquilino e l’altro. Tradotto: almeno faremo in modo che gli appartamenti non rimangano vuoti a crogiolarsi nell’abbandono per periodi indefiniti.

Peccato però che la burocrazia rimanga l’ostacolo più grande, come sempre. Perché anche se qualcuno si sbatte a convincere tutti che la soluzione è un poco più di denaro e qualche supervisione in più, manca quella scintilla di efficienza necessaria a trasformare un appartamento fatiscente in uno degno di questo nome prima che un nuovo inquilino debba piangere lacrime di sconforto.

E come se non bastasse, le manutenzioni ordinarie e quelle straordinarie sembrano due reami separati, gestiti da soggetti diversi con la lentezza di un gatto sonnolento. Il tempo passa, gli sfitti restano e la magia si trasforma in una tragica commedia in cui i cittadini assistono impotenti.

Le illusioni del Comune di Brescia

Aumentare fondi, spronare la gestione, scattare foto agli spazi comuni: ecco l’innovazione nella gestione delle case popolari a Brescia. Ma peccato che i protagonisti di questa commedia sembrano dimenticare che gli inquilini vorrebbero un tetto decente, non promesse a lunga scadenza e piani triennali da favola.

La tanto decantata “sinergia” tra assessorati e istituzioni sembra più una danza sulle macerie che una vera strategia di rilancio. Nel frattempo, chi vive in quegli appartamenti si barcamena tra ritardi, disservizi e rassegnazione, mentre sul tavolo del Comune si limano protocolli e si invocano “standard più sfidanti”. Del resto, non si può mica chiedere la luna quando si parla di edilizia popolare.