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Franco Ianeselli spiega perché i cittadini dovrebbero essere inclusivi e lo ius scholae è l’unica ricetta che conta

12 Giugno 2025
Franco Ianeselli spiega perché i cittadini dovrebbero essere inclusivi e lo ius scholae è l’unica ricetta che conta

Insomma, un invito – o una condanna? – a non trasformare queste strutture in lager moderni, perché tutti ne hanno sentito parlare ma pochi conoscono davvero cosa accada dietro quei cancelli.

Ma il nostro sindaco non poteva non parlare anche del delicatissimo tema dei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), quei luoghi tanto applauditi da chi teme addirittura un’invasione aliena.

La sua richiesta è tanto semplice quanto manichea: “Non si tratta di luoghi di indifferenza”. Quindi, per inciso, dovrebbero essere posti dove non si ignora la sofferenza umana e dove – miracolo! – si fa qualcosa di più di misure securitarie sterili e inutili.

Insomma, un invito – o una condanna? – a non trasformare queste strutture in lager moderni, perché tutti ne hanno sentito parlare ma pochi conoscono davvero cosa accada dietro quei cancelli.

In ogni caso, ci piace pensare che il sindaco abbia compreso che anche una città “inclusiva” deve saper maneggiare con cura argomenti che toccano la dignità umana. Ma forse è chiedere troppo?

Ah, la cittadinanza, quel tema soave che fa scappare gli elettori più velocemente di un politico colto in flagrante. Si dice che se non ci fosse stata tutta questa astensione, magari i risultati sarebbero stati diversi. Ma conosciamo tutti la prevedibilità degli esiti, un vero thriller dell’incertezza.

Qualcuno ha notato che una parte del Partito Democratico ha votato contro al quinto quesito? Ah, sorpresa delle sorprese! Ma sarà davvero colpa loro? I dati suggeriscono che in realtà è stata solo una piccola fetta di elettori Pd insieme agli aficionados dei Cinque Stelle. Che shock! Ma aspetta, il vero dettaglio da non perdere è il solito limite dello strumento referendario: voti sì, ma per qualcosa che non è esattamente quello che pensavi.

Il vero tocco di genio sarebbe introdurre lo ius scholae, ovvero quel principio rivoluzionario che ti regala la cittadinanza se completi il ciclo di studi in Italia. Fantascienza, vero? Invece siamo qui a dibattere se abbassare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale per ottenere la cittadinanza. Come se la lentezza burocratica e la confusione legislativa fossero la quintessenza della modernità.

E non finisce qui: dai un’occhiata al programma elettorale dove è stata infilata l’istituzione di quella che chiamano “cittadinanza comunitaria”. Non è un titolo giuridico, ma un “principio” (quanto suona altisonante…), pensato per riconoscere un’appartenenza immaginaria ai giovani che finiscono la scuola e magari sono pure nati qui, ma devono aspettare i fatidici 18 anni per essere cittadini veri. Capitale meraviglia dell’ipocrisia politica!

Non ci sorprende affatto che il voto rifletta questa dissonanza: nei territori con elettorato più legato al centrosinistra c’è stata una partecipazione maggiore. Il politico medio, infatti, adora la coerenza a giorni alterni.

Il centro città, terra di inclusività nonostante tutto

Il dato più interessante viene dal centro città, dove una sezione ha registrato un micidiale 88,26% di sì al quinto quesito. Tutto ciò mentre i residenti convivono con degrado e criminalità, spesso associati alla presenza straniera. Ma ehi, niente paura: qui si continua a essere inclusivi, come se niente fosse. Chapeau!

Che ci dice questo? Che chi ha studiato – e si spera abbia anche sviluppato un po’ di senso critico – tende ad aprire le braccia più facilmente. Basti vedere Povo, quartiere benestante e popolato da professori, dove oltre il 70% di chi ha votato si è espresso a favore. Un’assemblea ideale di buona coscienza progressista.

Referendum: strumento politico o trappola per ingenui?

Chiedersi se il referendum sia lo strumento corretto per affrontare un tema così delicato porta a un’amara riflessione. In Italia, la magica terra del 40% di astensionisti cronici, alle ultime comunali ha votato il 49%. Politici illuminati, invece di convincere la gente a recarsi alle urne, hanno preferito suggerire di andare al mare. Consiglio politico degno di un premio Nobel per la democrazia.

L’idea che le istituzioni dovrebbero promuovere il voto pare quasi una novità. Ma niente panico: il risultato, per quanto deludente, non dovrebbe essere motivo di disperazione. Piuttosto, la solita scusa per rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare (o almeno far finta).

Accoglienza e dialoghi fittizi

Capitolo accoglienza: il dialogo con la Provincia sulla Residenza Fersina? Sembrerebbe un mistero. Il “noi” protagonista del racconto si dichiara aperto al confronto, peccato che in realtà non si sappia nulla né dei progetti né delle iniziative in cantiere. Che grande trasparenza!

Quanto al CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), è il classico tema a dividere gli animi. Occorre un sistema di migrazione “efficace”, si ama dire, evitando di ammettere che funziona solo l’ingresso di chi ha già un lavoro garantito, un privilegio di pochi eletti. Gli altri si inventano protezione internazionale come unico escamotage per varcare la frontiera. Le espulsioni? Necessarie, eh, ma – per favore! – quei centri dovrebbero essere “dignitosi”, con tutte le condizioni migliori possibili. Magari non come la Residenza Fersina, dove la “dignità” sembra essere un optional da tempo scaduto.

La domanda principe: “Sei favorevole al CPR?”. Risposta standard: “Io non decido, è il governo che comanda.” Tradotto: è una patata bollente passando il cerino a chi comanda davvero. E la speranza di non sparire in luoghi di completa “assenza e indifferenza” rimane l’unico faro.

Autonomia territoriale: un’occasione o solo un altro cliché?

Il Trentino, terra d’autonomia, potrebbe fare da apripista creando centri di accoglienza dignitosi da mostrare come esempio nazionale. Sarebbe un colpo di scena, vero? Ma mentre qualcuno perde tempo a sperimentare mandati e strategie politiche di dubbia efficacia, la possibilità di usare l’autonomia per migliorare davvero qualche cosa resta spesso un sogno nel cassetto.

Ah, la solita meraviglia italiana: ogni settore si vanta di avere elementi “più avanzati” rispetto alle politiche di Stato. Una frase che, se la analizziamo con un po’ di sano cinismo, ci dice tutto sulla confusione e il caos che regnano sovrani nei nostri palazzi del potere. Insomma, più che una strategia, sembrerebbe un’ammissione velata di incapacità politica, accompagnata da un’overdose di presunzione.

Ma chi dovrebbe fare da guida, che fa? Esattamente l’opposto: si crogiola nell’immobilismo mentre gli altri settori si sforzano di andare avanti — a modo loro, certo — senza troppo chiedere ai grandi strateghi di turno. Del resto, è molto più facile dire “siamo i migliori” che mettersi al lavoro, no?

E allora, invece di una visione coerente e progressista, cosa otteniamo? Una danza scomposta di iniziative isolate, frammentate e spesso in netto contrasto con le politiche nazionali. Supplementalmente, questa supposta superiorità “avanzata” si traduce in un pittoresco festival di contraddizioni: si vantano delle proprie presunte innovazioni e poi si lamentano che lo Stato non li segue.

In altre parole, una sinfonia di autoreferenzialità e fraintendimenti dove tutti cantano la propria parte, ma nessuno sente l’orchestra intera. E così Trento (o qualsiasi altra città o regione vogliate inserire a piacere) diventa il perfetto esempio di come non coordinarsi possa diventare un’arte nazionale.

Per chi ancora spera in un sistema di governo efficace, meglio abbassare le aspettative. Nel frattempo, ci si può sempre consolare con la splendida newsletter che promette aggiornamenti tempestivi: perché se non si capisce cosa succede realmente, almeno si può leggere molto, molto spesso… senza cambiare nulla.

Ma il nostro sindaco non poteva non parlare anche del delicatissimo tema dei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), quei luoghi tanto applauditi da chi teme addirittura un’invasione aliena.

La sua richiesta è tanto semplice quanto manichea: “Non si tratta di luoghi di indifferenza”. Quindi, per inciso, dovrebbero essere posti dove non si ignora la sofferenza umana e dove – miracolo! – si fa qualcosa di più di misure securitarie sterili e inutili.

Insomma, un invito – o una condanna? – a non trasformare queste strutture in lager moderni, perché tutti ne hanno sentito parlare ma pochi conoscono davvero cosa accada dietro quei cancelli.

In ogni caso, ci piace pensare che il sindaco abbia compreso che anche una città “inclusiva” deve saper maneggiare con cura argomenti che toccano la dignità umana. Ma forse è chiedere troppo?

Ah, la cittadinanza, quel tema soave che fa scappare gli elettori più velocemente di un politico colto in flagrante. Si dice che se non ci fosse stata tutta questa astensione, magari i risultati sarebbero stati diversi. Ma conosciamo tutti la prevedibilità degli esiti, un vero thriller dell’incertezza.

Qualcuno ha notato che una parte del Partito Democratico ha votato contro al quinto quesito? Ah, sorpresa delle sorprese! Ma sarà davvero colpa loro? I dati suggeriscono che in realtà è stata solo una piccola fetta di elettori Pd insieme agli aficionados dei Cinque Stelle. Che shock! Ma aspetta, il vero dettaglio da non perdere è il solito limite dello strumento referendario: voti sì, ma per qualcosa che non è esattamente quello che pensavi.

Il vero tocco di genio sarebbe introdurre lo ius scholae, ovvero quel principio rivoluzionario che ti regala la cittadinanza se completi il ciclo di studi in Italia. Fantascienza, vero? Invece siamo qui a dibattere se abbassare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale per ottenere la cittadinanza. Come se la lentezza burocratica e la confusione legislativa fossero la quintessenza della modernità.

E non finisce qui: dai un’occhiata al programma elettorale dove è stata infilata l’istituzione di quella che chiamano “cittadinanza comunitaria”. Non è un titolo giuridico, ma un “principio” (quanto suona altisonante…), pensato per riconoscere un’appartenenza immaginaria ai giovani che finiscono la scuola e magari sono pure nati qui, ma devono aspettare i fatidici 18 anni per essere cittadini veri. Capitale meraviglia dell’ipocrisia politica!

Non ci sorprende affatto che il voto rifletta questa dissonanza: nei territori con elettorato più legato al centrosinistra c’è stata una partecipazione maggiore. Il politico medio, infatti, adora la coerenza a giorni alterni.

Il centro città, terra di inclusività nonostante tutto

Il dato più interessante viene dal centro città, dove una sezione ha registrato un micidiale 88,26% di sì al quinto quesito. Tutto ciò mentre i residenti convivono con degrado e criminalità, spesso associati alla presenza straniera. Ma ehi, niente paura: qui si continua a essere inclusivi, come se niente fosse. Chapeau!

Che ci dice questo? Che chi ha studiato – e si spera abbia anche sviluppato un po’ di senso critico – tende ad aprire le braccia più facilmente. Basti vedere Povo, quartiere benestante e popolato da professori, dove oltre il 70% di chi ha votato si è espresso a favore. Un’assemblea ideale di buona coscienza progressista.

Referendum: strumento politico o trappola per ingenui?

Chiedersi se il referendum sia lo strumento corretto per affrontare un tema così delicato porta a un’amara riflessione. In Italia, la magica terra del 40% di astensionisti cronici, alle ultime comunali ha votato il 49%. Politici illuminati, invece di convincere la gente a recarsi alle urne, hanno preferito suggerire di andare al mare. Consiglio politico degno di un premio Nobel per la democrazia.

L’idea che le istituzioni dovrebbero promuovere il voto pare quasi una novità. Ma niente panico: il risultato, per quanto deludente, non dovrebbe essere motivo di disperazione. Piuttosto, la solita scusa per rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare (o almeno far finta).

Accoglienza e dialoghi fittizi

Capitolo accoglienza: il dialogo con la Provincia sulla Residenza Fersina? Sembrerebbe un mistero. Il “noi” protagonista del racconto si dichiara aperto al confronto, peccato che in realtà non si sappia nulla né dei progetti né delle iniziative in cantiere. Che grande trasparenza!

Quanto al CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), è il classico tema a dividere gli animi. Occorre un sistema di migrazione “efficace”, si ama dire, evitando di ammettere che funziona solo l’ingresso di chi ha già un lavoro garantito, un privilegio di pochi eletti. Gli altri si inventano protezione internazionale come unico escamotage per varcare la frontiera. Le espulsioni? Necessarie, eh, ma – per favore! – quei centri dovrebbero essere “dignitosi”, con tutte le condizioni migliori possibili. Magari non come la Residenza Fersina, dove la “dignità” sembra essere un optional da tempo scaduto.

La domanda principe: “Sei favorevole al CPR?”. Risposta standard: “Io non decido, è il governo che comanda.” Tradotto: è una patata bollente passando il cerino a chi comanda davvero. E la speranza di non sparire in luoghi di completa “assenza e indifferenza” rimane l’unico faro.

Autonomia territoriale: un’occasione o solo un altro cliché?

Il Trentino, terra d’autonomia, potrebbe fare da apripista creando centri di accoglienza dignitosi da mostrare come esempio nazionale. Sarebbe un colpo di scena, vero? Ma mentre qualcuno perde tempo a sperimentare mandati e strategie politiche di dubbia efficacia, la possibilità di usare l’autonomia per migliorare davvero qualche cosa resta spesso un sogno nel cassetto.

Ah, la solita meraviglia italiana: ogni settore si vanta di avere elementi “più avanzati” rispetto alle politiche di Stato. Una frase che, se la analizziamo con un po’ di sano cinismo, ci dice tutto sulla confusione e il caos che regnano sovrani nei nostri palazzi del potere. Insomma, più che una strategia, sembrerebbe un’ammissione velata di incapacità politica, accompagnata da un’overdose di presunzione.

Ma chi dovrebbe fare da guida, che fa? Esattamente l’opposto: si crogiola nell’immobilismo mentre gli altri settori si sforzano di andare avanti — a modo loro, certo — senza troppo chiedere ai grandi strateghi di turno. Del resto, è molto più facile dire “siamo i migliori” che mettersi al lavoro, no?

E allora, invece di una visione coerente e progressista, cosa otteniamo? Una danza scomposta di iniziative isolate, frammentate e spesso in netto contrasto con le politiche nazionali. Supplementalmente, questa supposta superiorità “avanzata” si traduce in un pittoresco festival di contraddizioni: si vantano delle proprie presunte innovazioni e poi si lamentano che lo Stato non li segue.

In altre parole, una sinfonia di autoreferenzialità e fraintendimenti dove tutti cantano la propria parte, ma nessuno sente l’orchestra intera. E così Trento (o qualsiasi altra città o regione vogliate inserire a piacere) diventa il perfetto esempio di come non coordinarsi possa diventare un’arte nazionale.

Per chi ancora spera in un sistema di governo efficace, meglio abbassare le aspettative. Nel frattempo, ci si può sempre consolare con la splendida newsletter che promette aggiornamenti tempestivi: perché se non si capisce cosa succede realmente, almeno si può leggere molto, molto spesso… senza cambiare nulla.

Il risultato del referendum sulla cittadinanza ci regala una città che, a quanto pare, vuole farsi vanto di essere “inclusiva”. Per la serie: la maggior parte di chi ha deciso di trascinarsi fino alle urne ha detto sì alla riduzione degli anni di residenza necessari per ottenere la benedizione cittadina. Nella circoscrizione di Gardolo, addirittura, tra il 65 e il 70% degli elettori si è espresso a favore. Un dato interessante, soprattutto pensando ai “problemi” del quartiere e all’alta presenza di stranieri. Come dire: benvenuti, ma solo dopo un certo numero di anni di applausi e pazienza.

Il sindaco Ianeselli, ovviamente, rivendica il merito come se avesse scoperto l’acqua calda. Ma no, ci tiene a precisare che non è un suo “miracolo”, bensì un trionfo collettivo. Grazie a una presidente di circoscrizione tanto attiva (che roba, una che fa il suo lavoro?), un consiglio diligente e le associazioni sempre presenti, “siamo stati fra la gente” e questo ha pagato. Se si guarda ai numeri delle comunali a Gardolo, la roccaforte più ostica per il centrosinistra, la coalizione guidata dal nostro eroe ha fatto il botto: un aumento di 10 punti percentuali tra il 2020 e il 2025.

Insomma, se il futuro è il voto amministrativo e politico, guardiamoci con fiducia verso le provinciali. Eh già, niente lamenti il giorno dopo il referendum che ha more o meno sedato gli entusiasmi, ma bisogna lavorare, lavorare e, tesoro, “essere radicati nella comunità”. Meglio tardi che mai, no?

Il referendum, però, da un punto di vista dell’affluenza è stato un capolavoro di… flop.

La risposta del sindaco? Ma cosa vi aspettavate? Solo il 30% a livello nazionale si è degnato di partecipare, quindi non è mica una tragedia. Il dato coincide, guarda caso, con i voti tradizionali del centrosinistra allargato ai Cinque Stelle (sempre loro).

Sulla città di Trento, ad allontanare il popolo dagli urne sono stati purtroppo quesiti “molto tecnici e complicati”. Eh già, perché far votare la gente su roba complicata è sempre un’idea segnata dalla genialità. Per fare un paragone: alle comunali il sindaco si era beccato 27 mila voti, aggiungendo quelli dei Cinque Stelle ci siamo. Per il referendum? Solo 32 mila persone, ma vabbè, cosa sono 5 mila voti in più o in meno?

Ovviamente, Ianeselli sostiene che sarebbe stato molto diverso con un solo quesito, ma di cosa starà parlando? Forse teme che la maggioranza del paese non sia abbastanza sveglia da affrontare le sfide burocratiche da referendum multiplo? Sicuramente un’ipotesi affascinante nel suo paternalismo intellettuale.

Una stilettata sul terzo mandato e sull’autonomia

Con la stessa delicatezza di un elefante in una cristalleria, il sindaco lancia una frecciatina sul fatidico tema del terzo mandato: “l’autonomia andrebbe usata per altro”. Una frase che, tradotta dal politichese, significa più o meno “Basta con l’autocelebrazione e le poltrone affidate a vita, usiamo questo benedetto potere per qualcosa di utile”.

Una critica che arriva – guarda un po’ – proprio da chi siede comodamente nella sua… autonomia, ma che però già si prodiga nel fare l’indignato moralista. Un po’ come quando il pesce si lamenta dell’acqua.

E senza neanche accennare a come, invece, questa autonomia si traduca molto spesso in giochi di potere, clientelismi imbarazzanti e tanta propaganda. Ma per ora non vogliamo essere troppo cinici.

Il Cpr? Per piacere, non luoghi di indifferenza

Ma il nostro sindaco non poteva non parlare anche del delicatissimo tema dei CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), quei luoghi tanto applauditi da chi teme addirittura un’invasione aliena.

La sua richiesta è tanto semplice quanto manichea: “Non si tratta di luoghi di indifferenza”. Quindi, per inciso, dovrebbero essere posti dove non si ignora la sofferenza umana e dove – miracolo! – si fa qualcosa di più di misure securitarie sterili e inutili.

Insomma, un invito – o una condanna? – a non trasformare queste strutture in lager moderni, perché tutti ne hanno sentito parlare ma pochi conoscono davvero cosa accada dietro quei cancelli.

In ogni caso, ci piace pensare che il sindaco abbia compreso che anche una città “inclusiva” deve saper maneggiare con cura argomenti che toccano la dignità umana. Ma forse è chiedere troppo?

Ah, la cittadinanza, quel tema soave che fa scappare gli elettori più velocemente di un politico colto in flagrante. Si dice che se non ci fosse stata tutta questa astensione, magari i risultati sarebbero stati diversi. Ma conosciamo tutti la prevedibilità degli esiti, un vero thriller dell’incertezza.

Qualcuno ha notato che una parte del Partito Democratico ha votato contro al quinto quesito? Ah, sorpresa delle sorprese! Ma sarà davvero colpa loro? I dati suggeriscono che in realtà è stata solo una piccola fetta di elettori Pd insieme agli aficionados dei Cinque Stelle. Che shock! Ma aspetta, il vero dettaglio da non perdere è il solito limite dello strumento referendario: voti sì, ma per qualcosa che non è esattamente quello che pensavi.

Il vero tocco di genio sarebbe introdurre lo ius scholae, ovvero quel principio rivoluzionario che ti regala la cittadinanza se completi il ciclo di studi in Italia. Fantascienza, vero? Invece siamo qui a dibattere se abbassare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale per ottenere la cittadinanza. Come se la lentezza burocratica e la confusione legislativa fossero la quintessenza della modernità.

E non finisce qui: dai un’occhiata al programma elettorale dove è stata infilata l’istituzione di quella che chiamano “cittadinanza comunitaria”. Non è un titolo giuridico, ma un “principio” (quanto suona altisonante…), pensato per riconoscere un’appartenenza immaginaria ai giovani che finiscono la scuola e magari sono pure nati qui, ma devono aspettare i fatidici 18 anni per essere cittadini veri. Capitale meraviglia dell’ipocrisia politica!

Non ci sorprende affatto che il voto rifletta questa dissonanza: nei territori con elettorato più legato al centrosinistra c’è stata una partecipazione maggiore. Il politico medio, infatti, adora la coerenza a giorni alterni.

Il centro città, terra di inclusività nonostante tutto

Il dato più interessante viene dal centro città, dove una sezione ha registrato un micidiale 88,26% di sì al quinto quesito. Tutto ciò mentre i residenti convivono con degrado e criminalità, spesso associati alla presenza straniera. Ma ehi, niente paura: qui si continua a essere inclusivi, come se niente fosse. Chapeau!

Che ci dice questo? Che chi ha studiato – e si spera abbia anche sviluppato un po’ di senso critico – tende ad aprire le braccia più facilmente. Basti vedere Povo, quartiere benestante e popolato da professori, dove oltre il 70% di chi ha votato si è espresso a favore. Un’assemblea ideale di buona coscienza progressista.

Referendum: strumento politico o trappola per ingenui?

Chiedersi se il referendum sia lo strumento corretto per affrontare un tema così delicato porta a un’amara riflessione. In Italia, la magica terra del 40% di astensionisti cronici, alle ultime comunali ha votato il 49%. Politici illuminati, invece di convincere la gente a recarsi alle urne, hanno preferito suggerire di andare al mare. Consiglio politico degno di un premio Nobel per la democrazia.

L’idea che le istituzioni dovrebbero promuovere il voto pare quasi una novità. Ma niente panico: il risultato, per quanto deludente, non dovrebbe essere motivo di disperazione. Piuttosto, la solita scusa per rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare (o almeno far finta).

Accoglienza e dialoghi fittizi

Capitolo accoglienza: il dialogo con la Provincia sulla Residenza Fersina? Sembrerebbe un mistero. Il “noi” protagonista del racconto si dichiara aperto al confronto, peccato che in realtà non si sappia nulla né dei progetti né delle iniziative in cantiere. Che grande trasparenza!

Quanto al CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), è il classico tema a dividere gli animi. Occorre un sistema di migrazione “efficace”, si ama dire, evitando di ammettere che funziona solo l’ingresso di chi ha già un lavoro garantito, un privilegio di pochi eletti. Gli altri si inventano protezione internazionale come unico escamotage per varcare la frontiera. Le espulsioni? Necessarie, eh, ma – per favore! – quei centri dovrebbero essere “dignitosi”, con tutte le condizioni migliori possibili. Magari non come la Residenza Fersina, dove la “dignità” sembra essere un optional da tempo scaduto.

La domanda principe: “Sei favorevole al CPR?”. Risposta standard: “Io non decido, è il governo che comanda.” Tradotto: è una patata bollente passando il cerino a chi comanda davvero. E la speranza di non sparire in luoghi di completa “assenza e indifferenza” rimane l’unico faro.

Autonomia territoriale: un’occasione o solo un altro cliché?

Il Trentino, terra d’autonomia, potrebbe fare da apripista creando centri di accoglienza dignitosi da mostrare come esempio nazionale. Sarebbe un colpo di scena, vero? Ma mentre qualcuno perde tempo a sperimentare mandati e strategie politiche di dubbia efficacia, la possibilità di usare l’autonomia per migliorare davvero qualche cosa resta spesso un sogno nel cassetto.

Ah, la solita meraviglia italiana: ogni settore si vanta di avere elementi “più avanzati” rispetto alle politiche di Stato. Una frase che, se la analizziamo con un po’ di sano cinismo, ci dice tutto sulla confusione e il caos che regnano sovrani nei nostri palazzi del potere. Insomma, più che una strategia, sembrerebbe un’ammissione velata di incapacità politica, accompagnata da un’overdose di presunzione.

Ma chi dovrebbe fare da guida, che fa? Esattamente l’opposto: si crogiola nell’immobilismo mentre gli altri settori si sforzano di andare avanti — a modo loro, certo — senza troppo chiedere ai grandi strateghi di turno. Del resto, è molto più facile dire “siamo i migliori” che mettersi al lavoro, no?

E allora, invece di una visione coerente e progressista, cosa otteniamo? Una danza scomposta di iniziative isolate, frammentate e spesso in netto contrasto con le politiche nazionali. Supplementalmente, questa supposta superiorità “avanzata” si traduce in un pittoresco festival di contraddizioni: si vantano delle proprie presunte innovazioni e poi si lamentano che lo Stato non li segue.

In altre parole, una sinfonia di autoreferenzialità e fraintendimenti dove tutti cantano la propria parte, ma nessuno sente l’orchestra intera. E così Trento (o qualsiasi altra città o regione vogliate inserire a piacere) diventa il perfetto esempio di come non coordinarsi possa diventare un’arte nazionale.

Per chi ancora spera in un sistema di governo efficace, meglio abbassare le aspettative. Nel frattempo, ci si può sempre consolare con la splendida newsletter che promette aggiornamenti tempestivi: perché se non si capisce cosa succede realmente, almeno si può leggere molto, molto spesso… senza cambiare nulla.

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