Entro il 16 giugno, oltre 25 milioni di proprietari di immobili diversi dalla prima casa si troveranno a dover pagare la bella cifra di quasi 10 miliardi di euro di Imu, l’ormai immancabile tassa municipale che non perdona nessuno.
Non si tratta solo di ricchi milionari o signori delle seconde case al mare: il 41% di questi contribuenti sono lavoratori dipendenti e pensionati, quei fortunati che si vedono prelevare una fetta consistente del proprio portafoglio per seconde case, negozi, terreni agricoli e aree edificabili. Certo, l’abitazione principale resta esente – a meno che non si tratti di un appartamento di lusso, ma questa è un’altra storia all’insegna dell’incoerenza fiscale.
Quelle che una volta sembravano eccezioni – case popolari e immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa utilizzati come casa principale – si salvano ancora per un pelo. Le risorse che si raccolgono? Vanno dritte dallo Stato e dai comuni, a conferma che l’Imu è davvero la tassa sempreverde dell’italiano medio.
Parliamo di cifre che fluttuano a seconda della città, naturalmente. Per l’acconto Imu sulle seconde case, la media italiana si aggira intorno ai 488 euro, un vero piacere per il portafoglio. Mentre a Roma e Milano ci si vanta di pagare rispettivamente 1.749 e 1.479 euro, quasi come una piccola vacanza pagata con i propri sudati risparmi. Seguono dalla parte lusso Venezia con 1.168 euro, Torino con 992 e Firenze con 986 euro. Al contrario, città come Palermo e Pesaro regalano uno spiraglio con tasse decisamente più ridotte, rispettivamente 195 e 197 euro. Meno male che esistono gli estremi della bellezza e della convenienza in Italia: da Cosenza a Enna, si scende sotto i 230 euro.
Sull’abitazione principale di lusso, la media è di 458 euro, ma con i soliti squilibri pazzeschi: a spuntarla è Venezia con 1.501 euro, seguita da vicino da Roma con 1.444 e Milano con 1.388. Chi invece abita nel meno scintillante Sud, come Agrigento, si “accontenta” di 139 euro e cifre simili a Caltanissetta o Cosenza. Visto che parliamo di soldi, ogni centesimo fa la differenza – anche se non troppo per chi ha la fortuna di essere nel tridente delle metropoli più affamate.
Se poi avete qualche cantina o accessorio di seconda pertinenza, preparatevi a scalare questa imposta: la media nazionale si ferma a 44 euro, con punte da record a Roma a 175 euro, mentre montagne e pianure meridionali vi tirano la mano con solo 9 euro ad Avellino. Insomma, perfetto per chi ama pagare “a seconda della città che muove il portafoglio”.
Santo Biondo, segretario confederale della Uil, ha commentato questa delizia fiscale chiedendo una “profonda riforma del catasto”, incluso in un sistema fiscale che voglia farsi chiamare “equo e progressivo”.
Secondo lui, è assurdo mantenere un catasto basato su valori risalenti a oltre quarant’anni fa, che crea ingiustizie e disparità clamorose tra contribuenti con situazioni abitative quasi identiche, ma trattamenti fiscali completamente diversi. Ma chi si stupisce più di queste storture in Italia? Sono diventate il pane quotidiano dei proprietari immobiliari e dei cittadini in generale.