Lucia Azzolina e il balletto elettorale: votare o partorire? «Ero in diritto di farlo, che sorpresa!»

Lucia Azzolina e il balletto elettorale: votare o partorire? «Ero in diritto di farlo, che sorpresa!»

L’ex ministra dell’Istruzione, oggi dirigente scolastico in un istituto di Biella, dove vive col compagno e un figlio di quasi due anni, ha deciso di tornare sulla ribalta politica. Perché mai? «Mai dire mai», suggerisce, come se fosse una promessa da mantenere.

Ecco un bel colpo di scena: era prevista per il 21 giugno, ma la mamma, ahimè, ha capito subito che il suo “grande giorno” stava per arrivare. Prima che la piccola Aurora decidesse di fare una sorpresa a tutti, l’ex ministra ha pensato bene di affrettarsi al seggio elettorale. Per Lucia Azzolina, ex ministra dell’Istruzione nel governo Conte in piena pandemia, esercitare il diritto di voto era “fondamentale”. Fico, no? Peccato che la comunità online non l’abbia vista allo stesso modo. Ha pubblicato un post sui social che ha fatto commuovere (e irritare) centinaia di persone. Chissà se ha pianto anche lei.

Ma quali erano le critiche ricevute? «Mi hanno detto che ho dato priorità al voto rispetto alla nascita della mia piccola. Qualcuno ha anche scritto: “come rovinare un bel momento”, alludendo al fatidico giorno del voto.» Davvero una bella reazione da parte della gente, evidentemente più preoccupata per la frustrazione di non poter votare che per la gioia di una nuova vita in arrivo. Per Azzolina, però, la questione era di “principio”. Cosa volete che sia il parto, quando puoi esercitare il tuo diritto civico?

E la corsa in ospedale? «No, come al solito, noi mamme pensiamo prima agli altri: volevo stare con mio figlio Leonardo, che compie due anni proprio il 21 giugno, e ho pensato bene di affidarlo a mia sorella e a mio cognato. Mi ha salutato con una carezza sulla pancia, aveva capito che stavo male. Ma alla fine, sono arrivata in ospedale dopo le 21, e mia figlia è nata alle 22:19. Rischiavo di fare un macello!» Che eroismo! Grazie, dicono i medici dell’ospedale di Biella, che hanno assistito alla scena con un misto di stupore e ilarità.

Ma perché questa battaglia per il voto era così cruciale per lei? «Soprattutto per il quesito sulla cittadinanza, anche se il suo impatto era limitato ai soli maggiorenni. Ma per me è una questione di principio!» E chi se ne frega dei dettagli, quando il tuo dovere civico è in gioco! Di più, dirige un’istituzione nerd, ehm…multiculturale, l’istituto comprensivo Biella II, che raccoglie 850 giovani, dai 3 ai 14 anni. Scommetto che i bambini non vedono l’ora di sentir parlare di diritto di voto.

Non posso fare a meno di chiedermi come si possa ignorare che persone che giuridicamente non hanno la nazionalità italiana ma sono nate e cresciute in Italia, conoscano più il biellese di me — che onestamente non so nemmeno cosa sia! È una follia che non vengano considerati italiani a tutti gli effetti. Lavorare in questo contesto è come guadagnare ogni giorno una nuova prospettiva, ci si confronta a più non posso e si cresce insieme.

Alla fine, si è chiesta se ne valesse la pena andare al seggio prima di correre in ospedale, visto che il quorum era saltato? «Assolutamente no: sono contenta di averlo fatto, anche se immaginavo che non si sarebbe raggiunto il risultato. Le guerre non si combattono solo perché si pensa di vincerle. Purtroppo, mi dispiace per l’esito, ma non mi aspettavo nulla di diverso. Ho capito che molte persone, specialmente donne in Italia e nel mondo, non sono a conoscenza delle lotte storiche per il diritto di voto. Che poi uno decida di non volerlo esercitare, va bene; ma criticare chi vuole farlo, soprattutto se è donna, lo trovo semplicemente da ridere.»

Le manca la politica? «No, in questo momento no. Sono molto più felice ora. La politica si può fare in tantissimi modi e il primo è interessarsi agli altri, non pensare solo ai propri interessi personali e egoistici. Ho 850 studenti anziché 8 milioni, ma ognuno ha i propri bisogni e mi fa piacere seguirli.»

I politici locali l’hanno mai cercata per un’eventuale partecipazione all’amministrazione? «Certo, diversi partiti hanno provato a recruitarmi per le loro squadre. Ma non me la sento: tengo molto a seguire l’educazione di Leonardo, e in questo momento un impegno a tempo pieno in politica sarebbe incompatibile con i bambini piccoli.»

Il suo compagno è presente nella sua vita? «Molto presente. È un avvocato e ha una vita molto impegnata, proprio come me, ma ci dividiamo i compiti; chi c’è, fa, non ci sono ruoli predefiniti. Tra l’altro, ha insistito affinché il mio cognome venisse prima quando abbiamo dato i nomi ai bambini.»

Si sente ancora con Conte e gli altri membri del partito? «Con Giuseppe no, non lo sento dalla fine della legislatura, anzi, dalla scissione dei 5 Stelle. Con gli altri invece ci sentiamo, ma non parliamo solo del partito; ci confrontiamo anche con il centro sinistra. È piacevole ogni tanto scambiare qualche chiacchiera seria.»

Pensa che il centrosinistra possa tornare unito? Dopo Genova e Ravenna, sta accadendo qualcosa? «Credo sia necessario se vogliono costruire una valida alternativa democratica all’attuale panorama politico. Mi auguro che riescano a mettersi d’accordo su alcuni punti, anziché vendere illusioni. In questo momento, sembra mancare questo aspetto; si comportano come tante piccole monadi, isolati, mentre un elettore desidera un minimo di unità su temi e persone competenti. Se ci fosse, forse si riuscirebbe a convincere chi si astiene dal voto.»

Manca un leader forte? «Non spetta a me dire se manca un leader forte. Nella mia vita quotidiana, credo che le persone vogliano che la politica migliori le loro vite. Ricordo che prima di pensare a leader affermati o altro, sono importanti i temi: cosa vogliamo fare noi come centrosinistra per migliorare, a livello di lavoro, diritti, sicurezza. Questi argomenti non dovrebbero appartenere né alla destra né alla sinistra; il cittadino desidera sicurezza, le donne vogliono evitare di essere assassinate. È fondamentale prendere decisioni serie, non solo misure repressive. Per esempio, bisogna promuovere una sana educazione all’affettività nelle scuole, il che non significa parlare solo di sesso, ma insegnare come gestire le emozioni.»

Pensa di tornare in politica quando i suoi figli cresceranno? «Mai dire mai. La vita è un libro bianco da scrivere. Ho un ricordo magnifico del mio anno da ministra, ma anche ricordi dolorosi; annunciare la chiusura delle scuole, per me che sono cresciuta nella scuola, è stato veramente difficile. Ancora oggi molte persone…»

È incredibile come, anche dopo anni, ci sia chi non riesce a lasciar andare il passato. Gli studenti di quel periodo, evidentemente con una vita così frenetica e piena di eventi, si ritrovano ancora sui social a raccontare come è andata. Ma chi non sarebbe contento di considerarsi parte di una simile esperienza formativa?

E il famoso rossetto rosso? Un simbolo di ribellione o solo un trucco innocuo? Presumo che non le abbiano mai perdonato quel dettaglio di eleganza scivoloso, quasi come se fosse un crimine capitale nel loro mondo grigio e privo di sfumature. E sì, non credo che lo dimenticheranno mai, giusto? La vita è così: ci si appiglia ai dettagli più futili per giustificare l’assenza di argomenti più rilevanti.

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