Da oltre tre anni l’Europa attende con ansia il “collasso imminente” dell’economia russa, legato alle sanzioni imposte contro Mosca. All’inizio della guerra in Ucraina, alcuni erano giĂ pronti a festeggiare il tracollo russo, convinti che sarebbe arrivato in pochi giorni. Mario Draghi, durante il suo intervento all’assemblea generale dell’Onu nell’ottobre 2022, parlava di un “effetto dirompente” delle sanzioni sull’economia e la capacitĂ militare russa, come se i dati del Fondo Monetario Internazionale fossero la veritĂ rivelata. La previsione? Un crollo del Pil russo del 10%. Non solo, l’idea era che il potere devastante delle sanzioni sarebbe aumentato ogni giorno di piĂą. Ma, indovinate un po’? Sono passati piĂą di due anni e ora ritorna sulla scena il presidente statunitense Donald Trump, convinto anch’esso di un “collasso imminente” dell’economia russa.
Le affermazioni di Draghi, giuste come un orologio rotto, alla prova dei fatti si sono rivelate opinabili. L’impatto delle sanzioni è un mistero avvolto in un enigma, e raramente queste misure hanno effetti risolutivi per conto loro. Anzi, più il tempo passa, più un sistema economico si riadatta e mette in atto contromisure per fronteggiare le sanzioni. Questo effetto, come si può immaginare, tende a diminuire, soprattutto se il paese colpito ha la possibilità di dirottare i propri scambi commerciali verso altri alleati. E indovinate chi ha fatto esattamente questo? La Russia, naturalmente, approfittando del fatto che circa due terzi delle nazioni nel mondo non hanno messo in atto sanzioni. Con alleati come Cina, India, Turchia, Brasile, non è stato esattamente un’impresa impossibile per Mosca alleggerire l’impatto delle sanzioni.
Gli alleati occidentali, invece, sembrano aver preso dei granchi epocali, cominciando con una sterminata sottovalutazione delle vere dimensioni dell’economia russa. Se misurata in termini di paritĂ di potere d’acquisto, l’economia russa è paragonabile a quella della Germania, non a quella della Spagna. Risultato? Negli ultimi tre anni, la crescita economica della Russia ha regolarmente superato quella della zona euro e dei singoli stati membri. La corsa al riarmo, la conversione forzata delle industrie in ottica bellica, la sapienza nell’aggirare le sanzioni sul petrolio, e l’impossibilitĂ di escludere dal mercato il primo esportatore di gas al mondo hanno dato una bella spinta al Pil russo. Certo, un’economia di guerra può amplificare la crescita inizialmente, ma non può continuare all’infinito, e i tassi di inflazione si preparano a balzare.
Le Verità Scomode sull’Economia Russa
Ottenere informazioni precise sulle reali condizioni dell’economia russa è una missione da detective. Molti dati sono riservati per motivi strategici, e le valutazioni si devono basare su indicatori indiretti, il che porta a una bella dose di approssimazione. Non è raro leggere rapporti che sembrano contraddire ogni fondamenta logica. Negli ultimi due mesi, le stime sulla situazione di difficoltĂ sono aumentate come funghi dopo la pioggia. Una certezza c’è: dall’inizio dell’anno, le quotazioni del petrolio hanno subito un netto calo (circa 20 dollari in meno al barile), assestandosi intorno ai 60 dollari ( mentre il gas continua a mantenere valori storicamente alti). Dall’export di greggio, Mosca incassa la parte principale dei suoi proventi. Nel 2019, l’ultimo anno “normale”, il petrolio ha fruttato a Mosca 188 miliardi di dollari, contro i 50 miliardi del gas.
Per il 2025, la Russia ha già ridotto del 24% le sue previsioni sui ricavi da petrolio e gas. Con i flussi di denaro derivanti dagli idrocarburi che si affievoliscono, il governo prevede di chiudere l’anno con un deficit pari all’1,7% del prodotto interno lordo, oltre tre volte le stime iniziali. Il futuro sembra quindi brillante come un cielo in tempesta.
Le entrate complessive della Russia ammontano a 38,5 trilioni di rubli (che si traducono in circa 470 miliardi di dollari), un bel passo indietro rispetto all’obiettivo iniziale di 40,3 trilioni di rubli. Ma hey, la guerra deve pur avere un costo, giusto? E mentre il PIL si assottiglia, più del 7% di esso viene drenato per finanziare il conflitto. Un affare che non delude mai, insomma.
Il Fondo nazionale russo per il benessere economico, le riserve fantastiche per i giorni di pioggia che si sono trasformate in giorni di tempesta, ha visto un crollo di quasi 6 miliardi di dollari a maggio, equivalente a un 14% in meno. Secondo il ministero delle Finanze, le risorse pronte all’uso sono ora a 2,8 trilioni di rubli (circa 35,7 miliardi di dollari). Dall’inizio dell’invasione, questo “tesoretto” è diminuito di due terzi, ma che importa? Ci sarebbero ancora abbastanza fondi per un altro paio d’anni di guerra, basandosi su un petrolio a 50 dollari al barile. E siccome le aspettative su proventi energetici sono sempre così brillanti, la previsione di spesa è stata prontamente aumentata del 2%. Attualmente, siamo a quota 42,3 trilioni di rubli per spese che includono un record di investimenti militari, perchè la vera felicità consiste nel continuare a combattere contro l’Ucraina.
Dal inizio del 2025, il rublo ha deciso di mettersi a dieta e si è rafforzato. Adesso ci vogliono solo 79 rubli per un dollaro, rispetto ai più di 110 di inizio anno. Inevitabilmente, stiamo tornando a cifre che sembrano quasi normali, prima del caos. Una moneta più forte, oh miracolo!, frena l’inflazione poiché i beni importati costano meno. D’altra parte, se ne va anche un bel po’ delle esportazioni, poiché i prodotti russi diventano più cari per i compratori esteri. La stabilità del rublo è supporterata da tassi d’interesse stratosferici, mantenuti al 20% dalla Banca centrale russa, che ha persino deciso di tagliarli di un punto percentuale, l’unico dopo tre lunghi anni. E mentre l’inflazione è scesa ultimamente, rimane comunque attorno al 10%, come un viaggiatore intrappolato in un aeroporto. La governatrice, Elvira Nabiullina, ha piuttosto ottimisticamente parlato di “un inizio di uscita graduale dalla fase di acuto surriscaldamento” dell’economia, nonostante abbia anche notato un rallentamento della crescita, che nel primo trimestre del 2025 ha visto un -1,2%. Ma, dai, si stima che per l’intero anno si avrà bisogno di una crescita dell’1%.
Il rallentamento dell’economia, come un orologio rotto, è evidente: i consumi sono in caduta libera, specialmente quelli di auto e dispositivi elettronici, il cui finanziamento sembra sempre più un sogno lontano. I costi elevati dei prestiti pesano più di un macigno sui consumi non legati all’esercito, e gli investimenti aziendali hanno decisamente frenato. Anche i conti di molti colossi industriali statali sono in affanno, intrappolati tra tassi d’indebitamento vertiginosi e un rublo che non smette di alzarsi. Di conseguenza, si riducono dividendi e investimenti. Nei primi quattro mesi dell’anno, la produzione industriale è cresciuta dell’1,2%, una percentuale che nasconde però un abisso sempre più profondo: le aziende legate alla difesa sono in piena prosperità , mentre le altre stanno annaspando.
Nello scenario piĂą drammatico, possibilmente studiato da un professorino della Banca centrale, la Russia potrebbe trovarsi a fronteggiare un’inflazione che schizza fino al 15% in caso di crisi globale, deterioramento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, un crollo del prezzo del Brent a 55 dollari al barile e una pressione crescente delle sanzioni. Olga Belenkaya, un’economista di Finam a Mosca, ha affermato: “La sfida per la banca centrale ora sta nel scegliere tra due rischi”. Mantenere i tassi sui livelli attuali potrebbe far precipitare l’economia in recessione, mentre abbassarli potrebbe scatenare una spirale inflazionistica difficile da fermare.
Le stime ufficiali, sono sicuro, sono piĂą ottimiste, ma chi ha mai detto che la realtĂ debba coincidere con le previsioni? Il ministero dello Sviluppo Economico sforna una crescita del 2,5% nel 2025, una cifra che sembra fantasiosa quanto le promesse politiche. E nel frattempo, Vladimir Putin ha il coraggio di affermare che un raffreddamento dell’economia russa è inevitabile, mentre apostrofa tutti a “procedere con molta attenzione”. Che senso, vero?
La governatrice Nabiullina ha ottenuto applausi a scena aperta per aver stabilizzato l’economia russa subito dopo l’invasione dell’Ucraina. Ma ora, si trova schiacciata dalle pressioni politiche per ridurre i tassi, affinchĂ© l’economia prenda un po’ di slancio. Eppure, ha il timore che ciò possa aggiungere un bel po’ di deficit e debito al mix, propiziando così un’altra corsa dell’inflazione. Il taglietto di venerdì? GiĂ , ha placato le acque… ma solo per un attimo.
Nel frattempo, la Commissione Ue siede in cima alla sua torre d’avorio e dubita dei dati che filano dal Cremlino, sostenendo che la veritĂ sull’economia russa sia ben piĂą mortificante di quanto venga riferito. Il divario tra inflazione e tassi d’interesse (7% e 21%, guarda caso) sembra un po’ eccessivo, non credete? Non può trattarsi solo della necessitĂ di fronteggiare l’aumento dei prezzi. Ricordate però che, negli ultimi tre anni, le previsioni europee su Mosca hanno generalmente avuto un sapore piĂą di sogni ad occhi aperti che di analisi oggettive. Certo, l’economia russa non può resistere a questa situazione in eterno, ma ciò non significa che non possa continuare a farlo piĂą a lungo di quanto speri l’Europa.



