La chiusura del ciclo di conferenze «Imperi. Sacralità e potere da Roma ai nostri giorni» è davvero un momento di grande risonanza, soprattutto per quanto ci si aspetta da un filosofo come Massimo Cacciari. Perché, si sa, non c’è niente di più affascinante di un filosofo che parla della fine degli imperi in una basilica storica. Ma chi ha bisogno di un drammatico contesto contemporaneo quando si può celebrare la grandezza di una chiesa antica?
Il signor Cacciari, tra un saluto dell’arcivescovo Matteo Maria Zuppi e un coro, si cimenterà in questa ardua impresa: spiegare a tutti noi comuni mortali come l’«unica speranza» risieda nella Chiesa. Questo è rassicurante, non trovate? Siamo così abituati a vedere le istituzioni religiose come bastioni di ragione, mentre il resto del mondo va in malora.
Ah, ma i dettami della storia si ripetono! Secondo il buon Cacciari, viviamo tempi che ricordano quelli che precedettero la Prima guerra mondiale. E qui, forse, si potrebbe azzardare una critica: e se tutto questo non fosse solo un modo per attirare gente in una stanza affollata? Ma certo, il richiamo da Bologna è innegabile, non c’è niente di meglio che discutere della crisi americana e russa dalla sinistra coscienza europea.
«La fine degli imperi» non è solo un tema profondo; è un’opportunità per riflettere sul nostro glorioso passato e sull’evidente declino odierno. Cosa dire dei «grandi spazi politici»? Forse un invito a tornare ai gloriosi giorni di potere? Non vorremmo mica che il dibattito sfoci in qualcosa di poco saggio. E gli imperi coloniali? Ah, non se ne parla abbastanza. Il loro disfacimento è stato, ahimè, un piccolo inconveniente nella grande narrativa del potere!
Ma torniamo a Cacciari: chi non vorrebbe ascoltare un’intensa lettura di Dostoevskij, accompagnata da melodie trascendenti in un luogo dove la sacralità aleggia nell’aria? Rimanere stupiti da passaggi di Ionesco mentre i cori risuonano: un vero toccasana per la nostra iperreflettiva società moderna dove tutto deve essere dibattuto, analizzato e, ora, anche celebrato.
In ultima analisi, attendiamo di vedere cosa avrà Cacciari da dirci su questa finale marcia degli imperi. Sarà un momento di grande ispirazione o la solita ripetizione di concetti triti e ritriti? Solo il tempo lo dirà, mentre la gente si accalca per sentirlo in un luogo che, ironia della sorte, è un monumento alla potenza scomparsa. Ma in fondo, chi non ama un bel paradosso?
In un mondo dove l’imitazione della forma stato europea sembra essere l’unico sport in voga, il risultato è un bel pasticcio. Ma chi ci ha mai detto che il caos non possa portare a nuove e scintillanti potenze globali? Certo, la Cina ha il suo piccolo e pittoresco percorso, ma chissà quale grande Europa potremmo scoprire alla fine di questo labirinto pieno di problemi noti e ignoti.
Ma che orizzonti ci riserva la politica? Ah, un disordine globale che, a quanto pare, non è esattamente la massima aspirazione della razza umana. Proprio come diceva il presidente Mao: “Il disordine sotto il cielo è grande, la situazione è eccellente.” Ma chi può dar retta a un tale ottimismo? Per me, l’attuale stato del mondo è più un incubo che un’opportunità, proprio come un film dell’orrore di produzione economica.
Alcuni diranno che il mio pessimismo è ingiustificato. Ma sapete, la mia unica speranza è che, in mezzo a questo caos, si possa trovare un modo per coordinare un riconoscimento delle sfere di influenza con qualche organizzazione multipolare. Ma con la realtà di oggi? Completamente cieca come un pipistrello in pieno giorno. Se non si realizza, ci aspetta uno stato mondiale o, come nella miglior tradizione, la completa degenerazione: dipenderà tutto da chi avrà la meglio.
Ma come no, oggi ci sono solo conflitti frammentati che fanno da contorno a questa festa del disordine. È proprio la stessa situazione che ha preceduto la Prima Guerra Mondiale. E chi ci prova a mettere un po’ di senno in tutto questo? La Chiesa, che pare essere l’ultima istituzione a gridare per la pace. Ah, non proprio con la stessa efficacia di Benedetto XV durante la Grande Guerra, che implorava i potenti di far cessare “l’inutile strage.” La voce della Chiesa sembra “disarmata” quanto un pugile sul ring senza guantoni.
E il conflitto tra Russia e Ucraina? Ah, un grande tema! Sarebbe necessario tornare allo status stabilito dai due accordi di Minsk. Ma sai, l’Europa sembra avere altre idee e, se non si muove in quella direzione, beh, ci ritroveremo tutti a combattere contro la Russia. Ma quale alternativa c’è? Se le posizioni di Kiev non lasciano speranze di vittoria, l’Europa deve decidere: o si imbarca in una guerra totale, oppure trova un compromesso. Ma francamente, l’Ucraina non può vincere nemmeno se piovessero missili a lunga gittata come se fossero coriandoli.
E la situazione in Palestina? È come dare una chiave di casa a un ladro, nel caso in cui vi fosse il dubbio: Netanyahu ha il via libera per agire a suo piacimento. Ci sono voci critiche in Israele, certo, ma sembra che la forte opposizione interna a lui sia molto più concreta rispetto a quella europea, che sventola bandiere dei diritti senza fare nulla di significativo. La vergogna di ciò che sta accadendo è palpabile, ma finché lui continuerà a godere dell’appoggio degli Stati Uniti e della latitanza europea, sarà in totale libertà d’azione. Israele è pur sempre una democrazia, ma se il governo è in torto, se Netanyahu è un vero mascalzone (e credetemi, lo è), in tempo di guerra si combatte. Il gioco è fatto.



