Il candidato di centrodestra, nonostante la sconfitta che ha subito, si presenta con un entusiasmo che solo un entusiasta ottimista potrebbe provare. Scopriamo così che Pietro Piciocchi ha una cordialità che, con ogni probabilità, non fa parte del manuale politico, specialmente dopo una batosta elettorale.
Ma, come si sente dopo la sconfitta? «Un po’ spaesato», confessa, come se si fosse perso nel centro storico di Genova durante una passeggiata. «Dopo otto anni di full immersion nel Comune e 25 deleghe, devo decidere se rimanere in Consiglio e fare opposizione». E certo, consultare la moglie sembra essere l’unica mossa strategica rimasta.
Intanto, nonostante il proverbiale detto che «la vittoria ha molti padri, mentre la sconfitta è un orfano», sembra che i telefoni non squillino molto in casa Piciocchi. «Oltre a Marco Bucci e Matteo Salvini, che mi ha scritto, ho ricevuto un bel gesto da parte del presidente del Piemonte, Alberto Cirio (a nome di Tajani)». E gli altri? «Nessuno. E mi dispiace». Certo, non ci si può aspettare che tutti si facciano sentire dopo una sconfitta, non è un matrimonio che finisce, giusto?
Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha osato pronunciare le fatidiche parole sul fatto che è stato sbagliato il candidato. Piciocchi, sorprendendo tutti con la sua reazione, dice: «Sono sorpreso che chi non mi ha mai conosciuto dica che non ero il candidato ideale». Una rivelazione che sicuramente porterà le masse a riflettere sul potere della conoscenza nei giochi politici.
Il sarcasmo sale alle stelle quando chiede se è arrabbiato in merito alla situazione: «Non serbo rancore a nessuno», afferma, ma anche lui ammette un rammarico: «Bastavano due punti in più dai partiti, FdI in primis, per andare al ballottaggio». Perfetto – un vero esempio di stabilità politica, non trovate?
Infine, in un tentativo di analisi delle ragioni della sua sconfitta, Piciocchi tira in ballo i sondaggi sfavorevoli e la «compattezza» dei suoi avversari, che hanno saputo presentarsi come un blocco unico. Per poi concludere con la frase che tanto risuona nel mondo della politica: «Poi vedremo…». Ecco, la vera arte del rimandare. Purtroppo per lui, non si vince le elezioni con un «vedremo», ma i politici non se ne accorgono mai.
Cosa significa tutto ciò? Si è frantumato il legame tra il corpo elettorale e i cittadini che Toti era stato così abile a cementare. Questo ridimensionamento ha avuto ripercussioni anche su Genova, dove l’operato di Bucci aveva ridato vita all’orgoglio di una città rintanata nel suo guscio. Quella vicenda ha risvegliato un’opposizione che sembrava “morta”.
E qual è la seconda causa? Un errore di comunicazione. Abbiamo focalizzato l’attenzione, anche nel messaggio rivolto ai cittadini, sulle infrastrutture (che certo servivano e serviranno), ma abbiamo trascurato in modo implicito i servizi e le risposte ai bisogni quotidiani della gente. Le abbiamo fornite, ma non le abbiamo mai messe in evidenza come un nostro punto di forza.
Insomma, il modello “del fare” risultava un po’ troppo sbilanciato. Certo, abbiamo corso, in parte per dare risposte al mondo produttivo che sicuramente non ci ha fatto mancare il suo sostegno alle urne. Ma, ironia della sorte, numericamente non si è rivelato premiante.
A questo punto, non si può negare che ci fosse un problema di arroganza. Ma chi lo dice? Io non ho questo difetto. Certo, ci sono persone che hanno avuto conflitti con Bucci, e qualcosa è inevitabilmente ricaduto su di me.
Anche il trasloco in Regione durante il mandato non è stato digerito da tutti. È vero, molti non lo hanno compreso. Lo ha ammesso anche Bucci. Ma, soprattutto, chiudere l’esperienza a metà mandato ci ha precluso la possibilità di completare alcune opere. I cittadini, per ora, hanno subito i disagi, ma i benefici arriveranno… più avanti, ovviamente.
Parliamo ora della deputata di Noi Moderati, Ilaria Cavo, indicata come vicesindaca: è stata d’aiuto? «Moltissimo, ha fatto incetta di preferenze e credo che sarà molto utile all’opposizione», e quindi? Era proprio quella l’intenzione?
E per quanto riguarda Silvia Salis? «Credo non abbia l’esperienza richiesta per un ruolo così delicato. Mi sembra che i genovesi stiano correndo un grande rischio. Lei ha certo i migliori propositi, ma i suoi compagni di viaggio sono preoccupanti. La sinistra che abbiamo visto in Consiglio comunale ha ben poco della cultura di governo». Ecco la verità, lasciamo cadere le illusioni.
Ma la sinistra si è davvero rinnovata? No, ahimè, è ancora prigioniera di un’ideologia obsoleta che guarda al settore privato come a un intruso da combattere a prescindere. Bravo progresso!
Infine, siamo giunti alla domanda fatidica: è finito un ciclo nel centrodestra iniziato con Toti? Beh, c’è una Regione che ha ancora quattro anni e mezzo di mandato. Tuttavia, c’è un’urgenza di rinnovamento. Bisogna essere più credibili e aggressivi. E sperare che qualcuno finalmente si accorga di cosa stia davvero accadendo!


