C’è qualcosa di straordinariamente affascinante nel livello di supercazzole raggiunto dal mondo della finanza che ha deciso di vestirsi con l’acronimo ESG. Queste tre lettere, che dovrebbero evocare un’idea di responsabilità e sostenibilità, si sono trasformate in un grande serbatoio di contraddizioni. Dovrebbero rappresentare investimenti “responsabili”, ma, ironia della sorte, ormai sotto questa bandiera viene accolto di tutto, persino investimenti in combustibili fossili e armi, comprese quelle nucleari. Potremmo definirla tranquillamente una finanza insostenibile.
Infatti, con il passare del tempo, le tanto pubblicizzate transizioni green hanno perso il loro fascino (e i finanziamenti) in favore di enormi piani di riarmo. Siamo giunti al paradosso in cui alcuni gestori si prendono la briga di giustificare la sostenibilità degli investimenti in armi, perché “i missili servono anche a difendere la democrazia”. Uno degli ultimi colpi di scena ci viene da Euronext, il gruppo che gestisce gran parte dei mercati finanziari della zona euro, incluse le borse di Parigi, Milano e Amsterdam. Hanno introdotto un nuovo ESG, dove la “G” finale non rappresenta più “Governance” ma “Geostrategia”. È come dire armi, bombe e missili senza chiamarle col loro nome; un vero trionfo di eufemismi! Come recita il comunicato ufficiale: “Euronext ha annunciato il lancio di una serie completa di iniziative legate a Energia, Sicurezza e Geostrategia, il ‘New ESG’, per rafforzare l’autonomia strategica europea.” Un vero capolavoro di retorica!
La brillante amministratrice delegata di Euronext, Stéphane Boujnah, ci illumina sul senso di queste iniziative: “In un contesto di tensioni globali, l’Europa deve difendere i propri valori, interessi e stile di vita (…). Gli investitori sono sempre più desiderosi di aumentare la loro esposizione alle crescenti opportunità legate agli investimenti in settori aerospaziale, difesa, energia e infrastrutture strategiche in Europa.” E chi non vorrebbe guadagnare a palate investendo in aziende come Leonardo o Rheinmetall che hanno visto aumentare il loro valore in maniera stratosferica?
A dire il vero, la “proibizione” di investire in armi non è mai esistita. Come spiegato da un esperto che non ha paura di fare chiarezza, Alfonso Del Giudice, professore di Finanza all’Università Cattolica di Milano, “si tende a fare confusione tra finanza etica e quella sostenibile dei prodotti ESG. Non c’è mai stato un divieto esplicito di investire in aziende che producono armamenti, tranne nei casi definiti come ordigni controversi, come le bombe a grappolo, vietate da molti trattati internazionali.” (E ci sono fondi che stanno pensando di rimuovere anche questo vincolo, giusto per essere chiari).
“Molti gestori,” prosegue Del Giudice, “hanno fino ad ora evitato di investire in questo settore per timore di danneggiare la loro reputazione. Le iniziative di Euronext e le dichiarazioni della Commissione UE sull’importanza di coinvolgere i capitali privati nel piano di riarmo, sono destinate a renderli più accettabili.” Certo, non possiamo rischiare di perdere l’occasione di guadagnare su un mercato così fruttuoso!
Tra le innumerevoli criticità del piano Rearm Ue, la difficoltà nel coinvolgere i capitali privati spicca come un faro di confusione. Jeroen Rijpkema, che guida il colosso della finanza sostenibile Triodos, ha il coraggio di affermare che gli investimenti in armi sono incompatibili con la sacra filosofia ESG, dato che “il loro fine ultimo è comunque quello di fare male a qualcuno”. Ma, a quanto pare, questa è solo la punta di un iceberg soggettivo, come fa notare Del Giudice, dove persino le armi usate dalle forze dell’ordine o dai peacekeeper potrebbero far parte della grande esclusione.
È interessante notare che il comparto della finanza sostenibile non è mai stato un esempio di chiarezza e coerenza. Infatti, mentre i tassi di interesse erano a zero e trovare un rendimento decente era una vera lotta per qualsiasi società di gestione, la scritta ESG ha fatto un ottimo lavoro di marketing: “Non guadagnerete tantissimo, ma almeno potrete stare tranquilli sapendo di fare qualcosa di buono per il pianeta e per la società”. Un messaggio tranquillizzante non solo per i piccoli risparmiatori, ma anche per gli investitori istituzionali, come i fondi pensione, che fanno da padrone assorbendo un sorprendente 94% dei prodotti ESG.
Ma ora, grazie a una comoda combinazione di confusione, migliori performance dei prodotti tradizionali e, ovviamente, l’incertezza regolamentare legata agli orientamenti dell’amministrazione Trump, la finanza sostenibile sembra essersi arenata. È un colpo di scena incredibile: per la prima volta in Europa, i deflussi hanno superato le sottoscrizioni. Ma chi avrebbe mai pensato che ciò potesse accadere? Eppure, come sottolinea Del Giudice, “in passato c’è stata quella che potremmo definire un’ondata di piena del comparto che ha portato dentro un po’ di tutto, incluso molto greenwashing”. Forse questa fase di stagnazione potrebbe rivelarsi un’opportunità per riqualificare il settore e incoraggiare l’emergere di prodotti più affidabili e trasparenti, come già fanno alcuni green bond o soluzioni di impact investing.



