Il collegio della prima sezione civile del Tribunale ordinario di Cagliari ha avuto la brillante idea di respingere il ricorso della governatrice Alessandra Todde contro l’ordinanza-ingiunzione di decadenza. Un’ordinanza che le è stata notificata dal Collegio regionale di garanzia elettorale presso la Corte d’Appello il 3 gennaio, per chi non fosse a conoscenza di queste tempistiche da thriller. Ovviamente, il provvedimento si basa sull’esame delle spese impiegate dalla governatrice sarda durante la campagna elettorale per le regionali di febbraio 2024, che, a quanto pare, nasconderebbero irregolarità così evidenti da sembrare quasi comiche.
Ora, il destino politico della signora Todde si delinea su due binari: da un lato, il consiglio regionale, controllato dalla maggioranza di centrosinistra, potrebbe decidere di opporsi all’ordinanza del tribunale e permettere alla governatrice di continuare a regnare sulla Sardegna. Diciamo che la logica della «giustizia politica» qui è un po’ nebulosa—come del resto buona parte della politica italiana.
Dall’altro lato, c’è la Corte costituzionale, che il 9 luglio si riunirà (come se avessero di meglio da fare) per discutere il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione contro lo Stato in merito alla legge nazionale che disciplina i casi di decadenza per gli amministratori. Ora, la Corte dovrà decidere se quella legge possa essere applicata a una regione a statuto speciale come la Sardegna. Insomma, speriamo che non ci metta troppa «creatività»; non sarebbe la prima volta che si svincolano da questioni complicate.
Circa un mese fa, la procura di Cagliari, già presa dalla frenesia di risolvere i pasticci, nel depositare le conclusioni sul ricorso ha affermato che l’ordinanza dovrebbe essere annullata. Certo, per un attimo pare quasi che la giustizia stia prendendo una direzione decente, finché non ci ricorda che siamo nella giungla burocratica della «politica».


