Se l’Italia non ti piace, vai in Austria. Ah, che frase poetica! Negli ultimi giorni, migliaia di italiani hanno speso parole di fuoco su questo tema, con commenti ben più taglienti. Il gesto di Katharina Zeller, che ha deciso di togliersi la fascia tricolore, ha suscitato un indignazione degna delle cronache più drammatiche. Reazioni emotive? Certamente, come sempre accade nelle situazioni di alto impatto mediatico. Ma questo commento, “vai in Austria”, ci riporta immediatamente alle “Opzioni”: un capitolo non certo glorioso della storia dell’Alto Adige, dove l’Italia ha parecchio da espiare.
Era il lontano 1939 quando, nella provincia di Bolzano, si svolse quello che si potrebbe definire un “referendum” di dubbia legittimità. E chi l’avrebbe mai detto che una simile scelta avrebbe segnato profondamente la memoria collettiva dei sudtirolesi? Scegliere tra l’Italia, con tutto il bagaglio di italianizzazione forzata che portava in dote, o la Germania. Restare significava accettare di abbandonare la propria lingua e di cambiare persino nome. L’alternativa? Iniziare una nuova vita altrove, un trauma epocale per una comunità di contadini che aveva sempre vissuto in quelle montagne. Certo, all’epoca c’era il fascismo e il tricolore aveva un aspetto diverso, sfoggiando lo stemma dei Savoia in bella vista. Ma è proprio quel periodo che ha piantato nella testa dei sudtirolesi il seme dell’odio verso lo Stato italiano.
L’inizio della stagione delle bombe
Nel dopoguerra, la situazione sembrava promettere bene, ma, incredibilmente, le cose non erano così straordinarie. Nel 1957, migliaia di persone si radunarono a Castel Firmiano per protestare contro l’italianizzazione forzata. La Südtiroler Volkspartei, il partito che rappresenta i sudtirolesi di lingua tedesca e ladina – un “fiore all’occhiello” della democrazia, se possiamo chiamarla così – si trovava in una crisi interna tra pacifisti e estremisti. Mentre alcuni volevano negoziare, altri credevano che solo la forza avrebbe potuto strappare il rispetto dell’accordo di Parigi del ’46 e ’47, che prometteva di tutelare i diritti della minoranza austriaca nel Sudtirolo.
Ma anche i sostenitori dell’uso della violenza erano dividiti: Sepp Kerschbaumer, considerato un “eroe della patria”, scriveva nel suo diario le sue idee per azioni dimostrative, come far esplodere monumenti fascisti o, addirittura, la tomba di Ettore Tolomei a Montagna. Dall’altro lato, Jörg Klotz e il gruppo più radicale sognavano una vera e propria guerriglia. Certo, un’ideale di lotta ben romantico, se non fosse che, si sa, i bei sogni spesso portano a esiti abbastanza drammatici.
Alcuni anni dopo, nella notte tra l’11 e il 12 giugno del 1961, il BAS (Befreiungsausschuss Südtirol, o Comitato per la liberazione del Sudtirolo, per gli amanti delle traduzioni lunghe e noiose) decise di dare il via a una piccola festa, che gli storici non hanno esitato a ribattezzare la «notte dei fuochi». E noi sappiamo che i fuochi d’artificio non sono mai così spettacolari come quando scoppiano decine di tralicci. Ecco, inizia la stagione delle bombe, un vero e proprio festival del terrore.
Il giorno dopo, un povero malcapitato trova un pacco misterioso lungo una strada. Spoiler: non è un regalo di compleanno. Infatti, mentre cerca di spostarlo, ha anche la brillante idea di farlo esplodere. Giovanni Postal diventa così la prima vittima di questa sfortunata saga sul terrorismo sudtirolese. E come reagisce lo Stato? Con un abbraccio amoroso, naturalmente: arresti di massa, interrogatori e torture a volontà. Ma dai, cosa c’è di meglio in una democrazia se non torturare per smascherare i terroristi? Un vero capolavoro di giustizia sociale!
Parlando di capolavori, la famiglia di Anton Gostner potrebbe dire qualcosa in merito all’«omicidio di Stato». La sua vita è finita prematuramente grazie ai «trattamenti speciali» che i carabinieri riservano ai sospetti. E non parliamo di Franz Höfler, il quale riesce a fuggire dalla dolorosa esperienza della caserma, ma solo per morire in ospedale dopo le percosse. A chi serve la tortura, se non a far «cantare» i prigionieri? Ed è così che in pochi giorni il BAS viene ridotto in miseria: 150 attivisti arrestati, pochi appena riescono a scappare oltre confine. Compresi Klotz e i «bravi ragazzi della valle Aurina», i «Puschtra Buibm» per i più intimi.
Non sorprende quindi che il BAS non si faccia intimidire. Entra in scena anche il gruppo neonazista austriaco, guidato dal leader di turno, Norbert Burger, che decide di allargare i propri orizzonti con una serie di attentati in tutta Italia. Davvero, chi non ama una buona dose di terrorismo internazionale? Tuttavia, il suo sogno di diffondere la lotta armata si spegne rapidamente e Burger si ritrova a fare compagnia alle sbarre in Austria. Una storia d’amore che finisce male.
I processi, le condanne e le infiltrazioni
Nel 1963 parte il grande spettacolo dei processi: il maxiprocesso di Milano accoglie 91 imputati, di cui 23 latitanti. Oh, quanto è emozionante! Luis Amplatz, considerato il grande stratega, si becca 26 anni. E nel frattempo, sbucano anche i neofascisti italiani, i quali collaborano con i servizi segreti a comando del generale dei carabinieri Giovanni de Lorenzo. Un vero e proprio plot twist nella trama di questa storia.
In Alto Adige, le provocazioni e le esplosioni si moltiplicano, rendendo l’atmosfera davvero elettrizzante. Ecco quindi che nel 1964 un carabiniere di nome Vittorio Tiralongo incontra il suo destino a Selva dei Molini, abbattuto da una fucilata. Ma i Buibm si rifiutano di prendersi la colpa, perché, si sa, il bello del terrorismo è sempre dare la colpa agli altri. Lo Stato, intanto, lancia una vera guerra all’infiltrazione del movimento, promettendo avventure con provocatori del calibro di Christian Kerbler, il quale, con una dissennata idea, decide di uccidere Amplatz mentre Klotz riesce a scappare — tutti giovano da un po’ di vendetta.
Il biennio terribile esplode poi nel 1965. Il 26 agosto, la caserma di Casies subisce un attacco che costa la vita ai carabinieri Palmerio Ariu e Luigi De Gennaro. Proseguendo il tedioso copione, il 23 maggio del 1966 un’altra caserma, questa volta della finanza in val di Vizze, viene colpita da una trappola esplosiva. E chi è che si aggiunge alla lista delle vittime? Il finanziere Bruno Bolognesi, perché negli affari del terrorismo non c’è mai un momento di pausa.
Nel frattempo, il secondo processo a Milano non è da meno e termina con 51 condanne tra cui i quattro Puschtra Buibm, ritenuti colpevoli ma sempre in fuga. E per aggiungere pepe alla situazione, la banda di Burger colpisce di nuovo: il 9 settembre, a Malga Sasso, rimangono sul campo il doganiere Martino Cossu, il suo compagno Herbert Volgger e il finanziere Franco Petrucci. Poi, il 25 giugno del 1967, la strage di Cima Vallona lascia il segno, con il povero Armando Piva che salta su una mina, seguito dai restanti membri delle forze dell’ordine. Un vero e proprio “gioiello” di strategia terroristica, se solo ci fosse da ridere in questa triste commedia.
Che clamorosa scoperta sul treno da Monaco a Roma: un pacchetto esplosivo fa saltare in aria la stazione di Trento, portando via con sé i due malcapitati poliziotti, Filippo Foti e Edoardo Martini, che avevano l’ardire di provare ad aprirlo. Ma, naturalmente, le indagini si dirigono su un percorso ben noto: i terroristi neri, ovvero il braccio armato di Gladio, diligentemente assoldato dal generale de Lorenzo, con le loro sigle più altisonanti: Mia (Movimento italiano Alto Adige) e Api (Associazione protezione italiani). Che originali!
Ma passiamo alla politica, sempre pronta a tirarsi su le maniche, con Aldo Moro che inizia a trattare con il ministro austriaco Kurt Waldheim. Le trattative sono così difficili che potrebbero benissimo essere descritte in un thriller, portando all’approvazione del «pacchetto» — una meravigliosa serie di misure autocompiacenti per concedere una ‘ampia autonomia all’Alto Adige. Ma la festa non dura a lungo; i terroristi, sia italiani che sudtirolesi, ricominciano a colpire verso la fine degli anni ’70, facendosi notare con esplosioni di tralicci e alberghi. A volte i bersagli sono simboli italiani, altre quelli sudtirolesi. Ma tocca al segretario della Svp, Silvius Magnago, proseguire le trattative, perché chi ha tempo non aspetti tempo. E così, nel 1969, dopo una drammatica seduta, il partito approva il «pacchetto». Ma, naturalmente, qualche ribelle decide di escludersi e continua la sua lotta armata. Paradiso in terra!
Nella seconda metà degli anni Ottanta, le bombe di Ein Tirol illuminano le notti di Bolzano. Ordigni che scoppiano davanti alla Rai, sotto casa di Magnago e del leader Dc Remo Ferretti. Anche in via Manci, di fronte al liceo Classico, a cento metri da casa di chi scrive. Ah, che ricordi! Un attentato fallito alla ferrovia del Brennero segnerà la fine della stagione delle esplosioni: il tritolo trovato è un prodotto esclusivo di uno stabilimento tirolese, e le indagini portano a Karl Ausserer, prontamente arrestato in Austria. È la fine di Ein Tirol e, ironia della sorte, l’inizio della tanto agognata convivenza.
Ma, naturalmente, l’Alto Adige, pacificato, diventa una meta turistica eto e la ricchezza inizia a scorrere come se non ci fosse un domani. Ma non preoccupatevi, perché il benessere e i fondi dello Stato italiano mettono fine alla violenza. Nonostante tutto, nel 2022 il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, decide di concedere la grazia a Heinrich Oberleiter, uno dei “bravissimi ragazzi” che potrà tornare a casa. E indovinate un po’? È stata la figlia a chiedere la grazia, per non infrangere il giuramento dei Puschtra Buibm: mai scusarsi con l’Italia! Ma i familiari delle vittime dei bombaroli sudtirolesi non apprezzano affatto, anche perché chi ha mai chiesto loro scusa? Attualmente, in Alto Adige, non esiste un momento ufficiale per onorare coloro che hanno perso la vita nella fatidica lotta per l’Autonomia. Eppure, per molti sudtirolesi, soprattutto i più anziani, il tricolore è sinonimo di persecuzioni. I giovani, però, dovrebbero rendersi conto che l’Italia è riuscita a concedere un’Autonomia che viene frequentemente adoperata come modello a livello mondiale. Che sia un paradosso?


