In questi giorni, i media hanno avuto il privilegio di documentare l’incredibile balletto interno al centrodestra, culminato con la meravigliosa decisione di togliere la vicepresidenza a Francesca Gerosa. Le opposizioni, che evidentemente stanno avendo un po’ di divertimento, si sentono in dovere di esigere spiegazioni da Maurizio Fugatti: «Dobbiamo sapere perché ha preso una decisione così illuminata», tuonano, come se il consiglio fosse un’arena dove si sfidano gladiatori invece di un palco politico.
Non contenti, hanno già in mente un bel referendum contro la legge sul terzo mandato, un vero e proprio romanzo di formazione politico che ha spaccato il centrodestra. Le minoranze non perdono occasione per chiamarla “salva-Fugatti” — un titolo che meriterebbe sicuramente un posto d’onore in un film di Hollywood. Non è meraviglioso come la politica possa trasformare una legge in una questione di vita o di morte per alcuni? «Abbiamo già individuato una data con Claudio Soini per l’autenticazione delle firme», dichiarano da palchi e scranni, mentre si preparano a sospendere tutto, giusto in tempo per un’apparente alzata di spalle della Corte Costituzionale.
Quando Fugatti sarà costretto a rendere conto delle sue scelte in aula, ci si aspetta un clima da guerra civile. Le opposizioni, unite come non mai — mentre il resto del centrodestra affonda nel caos — si preparano a lanciarsi in un concerto di critiche che sicuramente farà venire i brividi ai più sensibili, come un film dell’orrore. Francesco Valduga dei Campobase commenta astutamente il demansionamento di Gerosa: “È una vendetta” e ogni parola sembra un colpo di scena in un feuilleton. È tutto così tragico perché, come lui stesso osserva, non si è discusso del modo in cui Gerosa ha gestito le sue competenze; no, si tratta solo di disobbedienza nei confronti del presidente.
Ed ecco il colpo di grazia: per un partito, Fratelli d’Italia, che è sempre stato contrario al terzo mandato — bravo, complimenti per l’incoerenza! — Gerosa è stata coerente, un raro esemplare in un habitat politico in continua mutazione. La preoccupazione sull’isolamento della figura in giunta è palpabile: “Ma alla meloniana è stata lasciata la delega all’istruzione, che è importante!”, esclamano, come se avessero appena scoperto l’acqua calda. Perché in politica, si sa, l’importante è avere un titolo e un posto, anche se è da ultimi nei giochi di potere.
«È davvero sorprendente che Gerosa sia ancora al suo posto e non si sia dimessa dopo essere stata umiliata: all’inizio del suo mandato, non voleva nemmeno sedersi sui banchi dell’esecutivo se non in qualità di vicepresidente», commenta con un cinico smalto Filippo Degasperi (Onda). E prosegue a colpire anche Diego Binelli (Lega): «Ora dice che ci si può finalmente dedicare al programma. Prima hanno sistemato il destino di Fugatti e adesso pensano al programma, rimasto per mesi in un cassetto polveroso».
Non si fa attendere la risposta di Lucia Coppola (Avs), che sostiene che «È un vero e proprio spettacolo indecoroso». E prosegue, accettando la sfida: «Queste ritorsioni personali mettono in seria pericolo la credibilità dell’intero consiglio: il discredito si riversa su tutti noi e aumenta la distanza tra cittadini e politica». Alessio Manica (Pd) non può fare a meno di farsi sentire, ribadendo: «Non ho mai visto una gestione con ritorsioni similari». Rievocando le parole della ministra Santanché, spiega: «Se Fugatti ha dei problemi, li risolva con me o con la premier, non con Gerosa».
Manica condivide il pensiero e aggiunge: «Se il tema è il rapporto con il governo, allora è con il governo che ci si deve relazionare». Tuttavia, come osserva, «la guerra tra Lega e Fratelli d’Italia per le poltrone ha caratterizzato l’intera legislatura». E i tempi lunghi per comporre le giunte provinciali e regionali non fanno altro che confermarlo. In una situazione dove, nota Manica, «non esiste una vera maggioranza, ma solo una compagnia di collaboratori fedeli al presidente».
Una riflessione che trova supporto in Lucia Maestri (Pd), la quale chiarisce che Fugatti, riguardo all’impugnativa, «ha avuto una reazione scomposta e pesante», punendo «la coerenza di Gerosa». Ma è una coerenza che, come sottolinea Maestri, è «una donna, peraltro nel silenzio imbarazzante delle donne del centrodestra». Se fosse in Gerosa, conclude, «lascerei la giunta».
Eppure, concludendo il coro di critiche, Paola Demagri (CasaAutonomia) sottolinea: «Non è affatto un fulmine a ciel sereno»: «La fiducia di Fugatti verso Gerosa era minata fin dall’inizio». E per «silurarla», la Lega ha atteso i ballottaggi: «Servivano i voti di Fratelli d’Italia per vincere alcune sfide». Come in Cles, dove Demagri era candidata a sindaca, o a Mori. «È tutto un baratto, solo potere e poltrone. Ma chissà, magari dopo questo sgarbo ci sarà qualche sorpresa».


