Il ministero delle Finanze svizzero, sempre pronto a giocare a carte scoperte, ha deciso di impugnare una sentenza che aveva osato dichiarare illegittimo lo stop ai bonus per i dirigenti di alto rango di Credit Suisse, la banca che ha pensato bene di schiantarsi nel 2023 e poi farsi salvare da UBS, tutto grazie al generoso intervento del governo elvetico e con i sacrosanti soldi dei contribuenti. Ma chi l’avrebbe mai detto?
I giudici, con quel che resta di saggezza, hanno sostenuto che la legge bancaria svizzera non prevede indennizzi come pena per i comportamenti poco trasparenti dei dipendenti di una banca in difficoltà finanziaria, rendendo così la responsabilità di questi esimi manager assolutamente invisibile, non “giuridicamente rilevante”, come un diamante in un campo di fango. E tu che pensavi che la responsabilità individuale esistesse!
Inoltre, non c’è stata alcuna prova sufficientemente robusta per dimostrare che questi altolocati manager avessero un ruolo attivo nel bel mezzo della tempesta che ha travolto la loro banca. Il ministero, nel suo ricorso alla Corte suprema, ha affermato che il tribunale non ha preso in considerazione il “momento epico” che ha portato all’acquisizione di Credit Suisse, una situazione tanto unica che nemmeno il più navigato dei legislatori elvetici avrebbe potuto prevedere. Chi lo avrebbe mai potuto immaginare?
La decisione finale riguardante i 12 manager, che potrebbe influenzare le vite di circa 1.000 ex dipendenti di Credit Suisse (che potrebbero o meno reclamare i loro pagamenti decurtati), si presenta quindi come un vero e proprio girone infernale di incertezze. Il portavoce di UBS ha affermato, con una sorprendente dose di nonchalance, che la banca prende atto del ricorso del Dipartimento federale delle finanze. E chissà, magari un giorno si divertiranno anche a parlarsi addosso.



