Ormai è diventato un format irresistibile. Trump invita alla Casa Bianca un leader straniero che odia con fervore e lo umilia davanti a tutti. Dopo Zelensky e il canadese Carney, è stata la volta di Ramaphosa, il presidente sudafricano, che ha pensato bene di portarsi dietro due golfisti bianchi, consapevole della passione di Trump per il golf e per i bianchi. Ovviamente, non è servito a nulla.
Con un cenno del padrone di casa, le luci della Sala Ovale si sono abbassate ed è iniziato un video con immagini ritoccate che accusava il governo sudafricano di aver sterminato decine di afrikaner. Proprio come Zelensky, anche Ramaphosa ha risposto con un aplomb degno di un attore consumato, persino con ironia, come se si aspettasse questo trattamento. Forse esiste una sala prove alla Casa Bianca, dove i leader destinati a subire bullismo vengono preparati da qualche invasato sparring partner che li travolge di insulti.
L’ospitalità spina di Trump contrasta fortemente con le teorie degli psicologi, secondo cui la comunicazione faccia a faccia è l’antidoto a quella social, che incoraggia rigidi atteggiamenti e riduce l’empatia. Lui, però, è riuscito a trasferire l’atmosfera delle chat nelle visite di Stato. Il suo schema è chiaro: «Con i forti faccio affari e dai deboli mi faccio baciare il cu… Tutti gli altri li maltratto».
Il mondo intero osserva con il fiato sospeso la lista dei prossimi sventurati leader che proveranno a visitarlo. La premier danese è sicuramente quella a maggior rischio, avendo finora avuto solo litigi al telefono con lui. Farebbe meglio a inventarsi un raffreddore diplomatico prima che Trump la degradi in diretta a vicegovernatrice della Groenlandia.


