Disertare le urne per i referendum dell’8 e 9 giugno su lavoro e diritto di cittadinanza? Ottima idea! Dopo i rumors lanciati dai Fratelli d’Italia, ora anche Forza Italia e Lega si uniscono a questa bizzarra farsa. Nel frattempo, i soliti noti hanno tirato fuori le unghie: PD, M5S, Avs e +Europa sbottano: «Chi governa non dovrebbe incentivare il non voto». E in un angolo, i moderati, la quarta forza di maggioranza, si schermiscono con la loro nobiltà: «Voteremo convintamente no», chiosa Maurizio Lupi.
Antonio Tajani, il segretario di Forza Italia e vicepremier, riesce a giustificare questa scelta sconcertante: «Non andare a votare a un referendum è una scelta politica, non dimostra disinteresse». Proprio come quando decidi di non andare a un matrimonio, non per disinteresse, ma perché non ti va di vedere gli sposi felici mentre tu sei solo. «Se c’è un quorum, significa che i cittadini devono riconoscere l’importanza di questa consultazione». Ah, certo, perché per normare il nostro rapporto con la democrazia ci serve solo un po’ di numeri. Tajani rincara la dose: «Illiberale è obbligare la gente ad andare a votare». Ma certo, questo per non vilipendere il sacro diritto di astenersi dal diritto di voto!
Ma non è finita qui! Igor Iezzi della Lega si schiera accanto al suo leader, sostenendo: «La nostra linea è quella dell’astensione. Non è certo un segnale di disimpegno. Anzi, è il massimo dell’impegno: vogliamo evitare che si raggiunga il quorum». Un vero paradosso: l’impegno massimo è non impegnarsi affatto. Un’interpretazione del tutto originale della partecipazione politica, che, evidentemente, testimonia di essere più in linea con la Costituzione di quanto si possa pensare.
È il segretario della Cgil, baluardo dei quesiti sul lavoro, a innescare la reazione di FdI. Maurizio Landini non si fa scrupoli e dichiara: «Grave e pericoloso che il partito di maggioranza del governo dica di non andare a votare, soprattutto considerando che il presidente della Repubblica ha appena sottolineato come la partecipazione politica sia l’essenza della nostra democrazia». E chi può dargli torto? Se non puoi dirlo senza scatenare reazioni, meglio danzare attorno alla questione, giusto?
Ma, come al solito, c’è sempre un esperto pronto a smentire il buon senso. Alberto Balboni, presidente meloniano della commissione Affari costituzionali, con un sorriso sardonico risponde: «Landini sarà un eccellente sindacalista ma zoppica in diritto costituzionale. Il voto non è un dovere, ma piuttosto un diritto». Un’affermazione che sembrerebbe panna montata sopra una torta avariata: la democrazia è sì un diritto, ma che strana posizione assumere quando il tuo diritto coincide con l’assenza di ogni responsabilità! La Costituzione prevede che l’astensione sia legittima: un lavaggio da abiti di sartoria per apparire ineccepibili mentre si esibisce una mancanza di senso civico a dir poco sconcertante.
Ma l’astensionismo invocato dal centrodestra, con l’eccezione dei Noi Moderati, viene accolto a gran voce da molte forze di opposizione. «Non hanno il coraggio di ammettere che desiderano continuare a sfruttare il lavoro», sostiene Nicola Fratoianni di Avs, lanciando un appello agli elettori di centrodestra: «Non ascoltateli». Del resto, si sa, il coraggio non è mai stato il forte di certi politici.
Se poi prendiamo le parole di Giuseppe Conte, presidente del M5S, possiamo notare che si tratta di un abile maestro nel dare la colpa agli altri: «I politici che invitano i cittadini a non votare desiderano aggravare le condizioni della democrazia». Che persino la democrazia stia correndo un brutto rischio sembra però non preoccuparlo più di tanto quando il suo partito è al centro della scena.
La stessa posizione viene assunta dal PD, dove Arturo Scotto rimprovera gli avversari: «Chi governa dovrebbe combattere l’astensionismo, non incentivarlo». Parola sante, se solo non si dimenticasse che il loro impegno ha anche un prezzo, magari in termini di promesse mai mantenute.
Entro il coro di polemiche, il segretario del PSI, Enzo Maraio, non si fa attendere e commenta con sarcasmo: «Tajani, che sui diritti di cittadinanza aveva posizioni coraggiose prima di essere sbugiardato dalla destra populista, adesso asseconda i desiderata degli alleati». A proposito di coerenza, davvero un esempio da seguire.
Infine, sulla questione di giugno, prende la parola anche la segretaria dem, Elly Schlein, che promette l’impegno del PD a «far salire la partecipazione in un appuntamento che non si può mancare» per «far valere la dignità e la sicurezza del lavoro». Peccato che, come ben si sa, l’ala riformista che esalta il Jobs Act, oggetto di contestazione in uno dei quesiti, non condivida affatto lo stesso obiettivo. Quindi il referendum diventa un vero e proprio snodo interno: se Schlein dovesse ottenere un buon risultato di partecipazione, potrebbe tentare di capitalizzare la situazione anticipando il congresso con il vento in poppa.