Francesco, futuro santo? Il pellegrinaggio ‘attivista’ verso la tomba di Santa Maria Maggiore

Francesco, futuro santo? Il pellegrinaggio ‘attivista’ verso la tomba di Santa Maria Maggiore

Una giornata tra la folla di Santa Maria Maggiore: sguardi sereni, mani giunte, occhi luccicanti, ma sembra che l’energia che anima tutti non sia solo la fede: “È innegabile, Francesco ha riportato la Chiesa tra la gente, un vero atto rivoluzionario!”

C’è questa voglia di stare uniti, vicino a Francesco; un meraviglioso gregge che cerca il suo pastore, con progetti grandiosi e una benevolenza palpabile. “Devono farlo Santo!” Calma, calma. “Ha compiuto il miracolo di riportare la Chiesa tra la gente, capito?” Ripeto: calma. “Dov’è?” Laggiù.

Navata di sinistra. Una lapide di marmo bianco. Solo una piccola croce e un’incisione: Franciscus.

Basilica di Santa Maria Maggiore, domenica pomeriggio: siamo tutti qui, dentro un pellegrinaggio potente e inatteso, un evento senza precedenti, considerando l’ostinazione con cui, il giorno dopo le storiche esequie di piazza San Pietro e il funerale da “marciapiede”, le persone tornano a mettersi in fila, sotto nuvole basse, con una pioggerellina sporca e calda.

Il nostro sguardo attraversa la folla. Si intercettano frammenti di discorsi. “Temo che l’idea della santità di Bergoglio possa essere ostacolata da quel presidio di clero conservatore, ancora forte in Santa Sede,” dice, piena di rammarico, suor Lucia, dell’ordine di San Giuseppe, voltandosi per fare spazio a una mamma che accompagna la figlia disabile. Un volontario della Protezione civile distribuisce bottigliette d’acqua e un certo Alejandro Gorriz (il nome è scritto sul tesserino del suo gruppo turistico), uno spagnolo massiccio, con la camicia bianca zuppa di sudore, se ne svuota una intera sulla nuca. La moglie giura che è “loco” e, rassegnata, apre l’ombrello.

Si procede lentamente, a piccoli passi, verso la tomba di Bergoglio. Il servizio d’ordine è affidato alla polizia italiana e alla gendarmeria vaticana, molto vigile. Avvertono un americano che, una volta dentro, dovrà togliersi il cappello da cowboy e chiedono di abbassare il tono della voce. Una pellegrina si perde nei pensieri, sovrastata dalla sacralità del momento.

Arrivata da Matera, c’è chi sostiene che il Papa sia già in Paradiso e, mentre pronuncia queste parole con applausi e sguardi devoti, non può fare a meno di segnarsi con la croce. E con quale entusiasmo! Ma se si osserva più da vicino, ci si potrebbe azzardare a pensare che non tutti credano al Paradiso. Già, perché molti potrebbero pensare che sia solo un’invenzione dei religiosi. Eppure, c’è una cosa su cui tutti sembrano concordi: quanto fosse speciale quel prete gesuita che ora onorano.

Mentre finalmente stiamo per entrare nella basilica, varcando la Porta Santa, si percepisce un’atmosfera curiosa. Tra volti sereni e mani giunte, ci sono occhi lucidi e espressioni compiaciute. Questo pellegrinaggio, evidentemente, non è solo un evento di fede, ma ha anche un retrogusto di qualcosa di militante. Politico? Forse, sì, se vogliamo spingerci oltre. Il fatto è che Francesco ha saputo farsi amare perché è venuto dall’Argentina per stare con i perdenti e i deboli, rischiando di rivoluzionare lo stile del papato, i temi e il linguaggio. E poi, chi non sa che disprezzava i violenti e gli arroganti, i ricchi arroganti e il potere arrogante?

La sua voce, insomma, è stata quella dei credenti, sì, ma spesso anche quella dei laici. Ha parlato dei diritti degli omosessuali, ha denunciato la ferocia del capitalismo, ha affrontato situazioni delicate come la guerra in Ucraina e le crisi a Gaza, persino telefonando a quel parroco durante la sua degenza all’ospedale Gemelli.

La tomba di Bergoglio è ormai a pochi passi. Nella navata centrale si è appena conclusa una messa e i 112 cardinali, nel loro manto rosso, si sono riuniti per i Vespri. È probabile che, pensando a quanto accaduto ai funerali e a quello che stanno vedendo ora, si rendano conto del lavoro pastorale meticoloso di Bergoglio in questi dodici anni al soglio di Pietro. Il cardinale Jean Zerbo, arcivescovo del Mali, non ha esitato a rispondere alla domanda che aleggia attorno al Conclave: il prossimo Pontefice sarà un progressista? “Nella Chiesa non c’è colore”, ha sentenziato, “non esistono classificazioni. La Chiesa è in movimento”. Un’affermazione che potrebbe dire tutto e il contrario di tutto. Nota di merito per questi dilettanti della diplomazia della fede!

Ascoltate l’arcivescovo emerito irlandese, Sean Brady: “Vuole sapere se il Conclave sarà lungo o breve? Quello che posso dirle è che vi entreremo in un’atmosfera eccellente, amabile”. E con questa dichiarazione, sembra quasi che lo Spirito Santo debba abbracciare il loro parere. Giusto per capire: il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato – eccolo là in fondo, a destra – poco fa, durante l’omelia della messa di suffragio a San Pietro, ha abbozzato il “programma” per il prossimo Papa, invocando una solidissima continuità con Francesco. Perché, si sa, le rivoluzioni vanno bene, ma mai troppo audaci!

Ora Francesco riposa tra la Cappella Sforza e la Cappella Paolina, dove è conservata l’icona mariana dei Sales Populi Romani, a cui era profondamente devoto. Ha visitato quella Madonna per chiedere aiuto e forza ben 155 volte durante il suo pontificato. Ma ora, paradossalmente, tocca a noi chiedere speranza e coraggio a lui. E c’è chi, più semplicemente, si limita a ringraziarlo o a parlargli come si farebbe con unigenitore o un nonno.

“Ma se San Francesco già esiste, come possiamo chiamarlo?”. Una signora si arrende a queste domande metafisiche. Ma certo, ci penseremo dopo.

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