La solita retorica di Mattarella a Genova per il 25 Aprile: un vero shock!

La solita retorica di Mattarella a Genova per il 25 Aprile: un vero shock!

Il testo integrale del discorso tenuto dal presidente della Repubblica a Genova, per l’80esimo anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo non è proprio quello che ci si aspetterebbe. In effetti, quando pensiamo a un evento come questo, ci aspettiamo un po’ di pathos e riflessioni profonde, non le solite ridondanze e citazioni.

Ma andiamo al sodo: è l’80esimo anniversario della liberazione dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista. E dove si festeggia? A Genova, perché ovviamente, quando si parla di resistenza, la Liguria deve necessariamente avere la sua porzione di gloria.

Una regione, la Liguria, che tanto ha contribuito alla conquista della libertà del nostro popolo, o almeno così dicono. E rendiamo onore a chi ha sostenuto i partigiani, a quei coraggiosi che hanno osato opporsi a un regime che, apparentemente, sembrava immutabile. Genova, con la sua medaglia d’oro al valor militare, è un esempio lampante di come piegare la tracotanza nemica, perché in fondo, salvare il porto e le industrie è ciò che conta.

Ma aspetta, non dimentichiamo Savona, che con la sua medaglia d’oro si è distinta per “l’ostinazione a non subire la vergogna della tirannide.” Ostinazione, certo. Come se fosse una virtù in un contesto così drammatico.

Davvero un bel riconoscimento per il popolo che si opponeva a un conflitto nato per “difendere” la propria comunità, quando mai la difesa è stata sinonimo di aggressione ad altri popoli? Ma i partigiani, che si sono uniti sotto il Codice di Cichero, sembrano avere un’idea tutta loro di quello che significa rispettare e solidarizzare. Loro avevano anche la regola che il capo doveva mangiare per primo. Magari era quella che dava la forza per affrontare la Resistenza.

Prendendo spunto dalla lezione della Liguria, sarebbe bello avere una riflessione profonda su cosa significhi davvero resistere in tempi moderni. Ma chi ha bisogno di profondità quando si può far leva sul patriottismo e sulla resistenza dei tempi passati? Del resto, come diceva un noto pensatore: “la storia si scrive con le stesse matite con cui si riscrive.”

Ma certo, chi non ama una buona dose di ordine e disciplina prima di addormentarsi? Immaginatevi questo meraviglioso soldato che, prima di chiudere occhio, deve controllare che tutto sia perfetto: turni di guardia strazianti, nessuna bestemmia in vista, donne libere da molestie e, ovviamente, nessuna requisizione non pagata. Parliamo di un vero e proprio paradiso militare, non credete?

Ma lasciate che vi parli di Aldo Gastaldi, il “partigiano Bisagno”. Uomini come lui, protagonisti di un’epoca in cui il servizio alla patria era visto come un atto d’amore – sì, proprio così, amore per la patria, ma non chiedetemi come si concilia con il dover combattere. Morto tragicamente solo un mese dopo la Liberazione, è diventato una Medaglia d’oro al valor militare. E ora, sorpresa! La Chiesa di Genova ha deciso di avviare il processo di beatificazione di questo “Servo di Dio”.

Ah, ma che bel momento per rendere omaggio ai caduti del movimento della Resistenza! Proprio così, al cimitero di Staglieno, ho avuto l’onore di onorare i patrioti dei due Risorgimenti. Incredibile come nel 1945 l’Italia si riunisse finalmente – sud e nord – dopo che il nord era stato trattenuto prigioniero dai nazisti e dalla Repubblica di Salò. Una storia che si racconta da un paio di generazioni!

Le sofferenze e le originalità della Resistenza ligure sono davvero impressionanti, non trovate? Collegata saldamente ai centri di Torino e Milano, ha dovuto affrontare la barbarie nazista e fascista con un coraggio straordinario, eppure, le stragi della Pasqua di sangue del 1944, come quelle alla Benedicta e a Portofino, sono solo spoiler di una storia già drammatica.

Qui, nel bel mezzo di questa confusione, si sta svolgendo il processo di maturazione politica di patrioti che si assumono responsabilità di governo mentre sabotano l’occupazione. Davvero, chi può resistere a una simile dualità? Con la libera Repubblica di Pigna e di Triora per esempio, emergono incredibili prove di come le popolazioni e il regime fossero così lontani l’uno dall’altro. Basta pensare ai migliaia di uomini e donne deportati nei lager, come se il lavoro coatto fosse un’opzione vincente.

E, naturalmente, le fabbriche! Quei luoghi di solidarietà e di democrazia che esplodono in coscienza sindacale. Scioperi da Savona e Spezia nel 1943 e nel 1944 che danno un’indubbia spinta verso il consenso partigiano, ma tutto questo è solo il prologo a uno sciopero insurrezionale che ha preso piede nel 1945. Ah, le meraviglie della piccola politica!

Il regime, naturalmente, sapeva di essere in crisi: il Bando Graziani per arruolamenti nei reparti fascisti ha fatto un favore involontario ai partigiani. Tra l’alternativa di diventare repubblichini o scappare, molti hanno scelto la strada della montagna. D’altronde, chi non vorrebbe una camminata in montagna quando hai il regime che ti opprime?

Ma è qui che i partigiani si prendono gioco dei tentativi di organizzazione repubblichina. Bruciare i registri anagrafici: un eccellente modo per non pagare le tasse. Davvero brillante! Eppure c’è chi sostiene che il contributo militare della Resistenza non sia stato decisivo per mettere in ginocchio la Linea Gotica. Ah sì? Eppure nel 1944 l’Asse aveva già problemi a presidiare, ce ne si accorgeva. La storia ha quel modo ironico di vendicarsi, non è vero?

Allo stesso tempo, le forze alleate premevano mentre le aree interne affondavano sempre più nelle mani della Resistenza. Ma chi aveva davvero tempo per riflettere su questa suddivisione del potere? Le parole di Giuseppe Mazzini risuonano come una dolce melodia tra le grida di guerra del tempo: “Più che la servitù, temo la libertà recata in dono”. Chissà cosa avrebbe pensato della celebre aspirazione degli italiani alla pace, mentre il regime fascista trasformava la guerra in una quotidianità. Non la guerra per la vita, ma la vita per la guerra. Che bello, vero? Una vera chicca di vita!

La Resistenza, con il suo ardore inarrestabile, si prefiggeva l’obiettivo sublime di trasformare la pace in un normale stile di vita nelle relazioni tra i popoli. Era come un tentativo di resistere alla tentazione della morte celebrata dalle bande repubblichine, che la vedevano come una sorta di omaggio. Curioso, non è così? Combattere per la vita mentre l’altro lato si aggrappa alla morte come se fosse un trofeo.

In effetti, la Resistenza cresceva in tutta Europa, sotto la dura dominazione nazista. Da questa lotta comune spuntava una solidarietà che stranamente sembrava dimenticare il passato di conflitti recenti. Miracoli del tempo, poderia?

Anche nelle diverse Resistenze, si cominciò a pensare a un’“Europa dei popoli”, un’idea che oggi sembra una barzelletta vista la sovranità popolare che deve passare attraverso il Parlamento di Strasburgo. È curioso notare che furono esponenti antifascisti a concepire l’idea di un’Europa unita, proprio nel bel mezzo della ridda dei nazionalismi che avevano dato vita a guerre civili europee. Ma non era il caso di dire ‘meglio tardi che mai’?

Un nome che merita di essere ricordato in questo contesto è quello di Luciano Bolis, un esponente del Partito d’Azione, che, incredibilmente, sopravvisse a orrende torture inflitte dalle Brigate nere nel febbraio 1945. E non possiamo non mentire, l’onore di una Medaglia d’argento al valor militare è un ottimo modo per farlo riposare a Ventotene, vicino a Altiero Spinelli. Che emozione, una celebrazione di chi ha sacrificato la propria vita per ideali di libertà, mentre il mondo continuava a girare come se nulla fosse.

Difendere la libertà dei popoli europei è il compito che tutti pensano di prendere sul serio. Gli ideali di eguaglianza, dello Stato di diritto e della cooperazione sono diventati una sorta di mantra per i membri del patto dell’Unione Europea. Parafrasando, potremmo dire che la libertà delle varie patrie è diventata la liberazione dai tiranni. Ma chi l’avrebbe mai detto, vero? E fu una lotta così autentica da coinvolgere persino coloro che i nazisti immaginavano fossero in loro favore. Un’amichevole confusione, insomma.

Durante questo periodo, la solidarietà internazionale si misurava tra le montagne liguri e altrove con l’arrivo di tanti che, da terre lontane, si unirono alla Resistenza. Che gesto magnanimo! Tra questi, si distingue la figura di Fiodor Andrianovic Poletaev, un partigiano che morì nella battaglia di Cantalupo il 2 febbraio 1945. La Repubblica Italiana ha pensato bene di conferire a lui la Medaglia d’oro al valor militare. Una strada di Genova porta il suo nome, perché ovviamente ci piace ricordare i nostri eroi di tanto in tanto.

La vita democratica stava fiorendo con un carattere ben definito grazie alle forze antifasciste genovesi, che si trovavano al fianco di ben cinque partiti nei CLN del nord Italia. E chi non vorrebbe una sesta forza politica in più, giusto? Ma certo, ecco che spunta il partito mazziniano repubblicano. Luccicante come una moneta d’oro. Va detto che, per affrontare questa questione di vitale importanza, dal CLNAI venne inviato Sandro Pertini, che divenne poi il settimo Presidente della nostra Repubblica. Oggi, nella sua regione, cosa più che giusta si vuole onorare la sua memoria.

La sua figura ci ricorda che la partecipazione politica è ciò che distingue la nostra democrazia. È questa l’azione che rende concreta la nostra libertà. E qui arriva un appello: non possiamo semplicemente arrenderci all’assenteismo dei cittadini dalla cosa pubblica, al noto astensionismo degli elettori e a una democrazia che sembra un po’ raffreddata. Dopo tutto, dobbiamo anche avere rispetto per i sacrifici che il nostro popolo ha dovuto sopportare per riconquistare i diritti di libertà.

Il rovinio del fantomatico regime di Salò e la graduale sconfitta del nazismo sembravano ormai irreversibili, e a Genova, importante fortino industriale, si creavano le condizioni per un’insurrezione. Come abbiamo sentito dire, un esercito ben addestrato capitolava di fronte al popolo. Che grande controsenso, in un modo o nell’altro. Ridurre le forze tedesche a trattare con i partigiani non fu certo una passeggiata.

È stata la mediazione dell’Arcivescovo di Genova, il Cardinale Pietro Boetto – giustamente proclamato «giusto fra le nazioni» per il valore che ha avuto nel salvare gli ebrei – a portare alla storica resa del comando tedesco, firmata nella sua deliziosa dimora di Villa Migone, tra il generale Meinhold e il presidente del CLN, Remo Scappini (alias «Giovanni»). Che suggestione! Un tribunale di guerra sarebbe probabilmente sembrato meno macchinoso. Ma perché mai affrettarsi, giusto?

Il partigiano Pittaluga, conosciuto come Paolo Emilio Taviani, si è preso l’onore, il giorno successivo, di annunciare che Genova era finalmente libera. Ah, la libertà! Un concetto così ampio e sfuggente, tanto che il generale Meinhold, contrariamente a quello che ci si aspetterebbe da un traditore condannato a morte da Hitler, ha scritto: «era la sorte della città e, quello che più contava, la vita di migliaia di persone da entrambe le parti che doveva starci a cuore…. La mia coscienza mi vietava di sacrificare ancora un sol uomo». E noi, semplici mortali, ci chiediamo come sia possibile che così tanto umanitarismo si trovi in un uomo in una situazione così drammatica. Genova non è quindi Varsavia! Che sollievo!

Si apriva così la gloriosa era dei diritti umani per tutti, come se fosse un buono sconto su Amazon per prevenire conflitti e valorizzare la dignità umana, che stava per sbocciare al di fuori dei confini dello Stato di cui quei cittadini erano parte. Sì, perché dopotutto, non possiamo pretendere che la pace si distribuisca equamente a tutti, giusto? Solo alcuni meritano un bel centro benessere, mentre gli altri… beh, possono prendersi miseria e guerre. È la sublime lezione che ci ha impartito Papa Francesco. Nel suo opusccolo «Fratelli tutti», ha avuto l’ardire di dirci di superare questi intollerabili «conflitti anacronistici», invitandoci a ricordare che «ogni generazione deve far proprie le lotte e le conquiste delle generazioni precedenti» e portarle a mete ancora più alte. Qui, in un mondo perfetto, ci si aspetterebbe che i nostri eroi si ribellassero contro l’ingiustizia mentre noi ci limitiamo a leggere le cronache sui social media.

Quindi, dunque, è sempre tempo di Resistenza! Questi valori ispiratori, che a Genova si sono manifestati come un respiro di libertà, sono rimasti intatti nel tempo. Un’anima che non tradiremo mai! Un accordo sacro che non verrà mai meno, neppure quando, nei tumultuosi anni ‘70, il terrorismo tentò di mettere in discussione la nostra ben voluta democrazia. E fu così che dalle fabbriche, balzò una risposta effervescente e coraggiosa, personificata nel nome di Guido Rossa. La sua testimonianza oggi appartiene a quei valori di integrità e coraggio che hanno costruito la Repubblica, anche se noi continuiamo a discutere se sia bastato o meno il suo sacrificio.

Eviva la Liguria partigiana, eviva la libertà, eviva la Repubblica! Se solo potessimo trovarne un po’ di più in questo mondo.

Oh, e non dimentichiamo la newsletter “Diario Politico”! Se desideri rimanere “aggiornato” (perché ne abbiamo davvero bisogno, giusto?), puoi iscriverti. È una gemma dedicata agli abbonati e viene spedita due volte a settimana per illuminare le nostre propaggini nel buio della politica. Basta cliccare qui per una dose settimanale di saggezza politica!

Siamo SEMPRE qui ad ascoltarvi.

Vuoi segnalarci qualcosa? CONTATTACI.

Aspettiamo i vostri commenti sul GRUPPO DI TELEGRAM!