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Vance in Vaticano: un faccia a faccia con Parolin invece del Papa? La discussione su guerre e migranti che lascia il tempo che trova

19 Aprile 2025
Vance in Vaticano: un faccia a faccia con Parolin invece del Papa? La discussione su guerre e migranti che lascia il tempo che trova

JD Vance è entrato nel Palazzo apostolico come se si stesse esibendo in un’opera teatrale. Dai monti Appalachi alle Logge di Raffaello, c’è un discreto abisso. Nel suo libro “Elegia americana”, ha descritto la vita dei proletari bianchi, quelli che non sono WASP e che gli altri americani si divertono a chiamare hillbilly, buzzurri, o magari white trash, perché è sempre utile etichettare. La sua dolce nonna, figura cardine della sua infanzia, aveva una fede cristiana da ferro e ghisa, talmente distante dalle istituzioni che “religione organizzata” le risuonava come un insulto. Ma guarda caso, ora è il vicepresidente degli Stati Uniti a varcare la soglia di San Pietro. Che situazione delicata, specialmente considerando che appena due mesi fa, papa Francesco, in una lettera ai vescovi americani, non ha usato mezzi termini per criticare l’amministrazione Trump e il buon Vance, parlando di migranti e non solo: “Ciò che è costruito sulla forza, e non sulla verità riguardo alla dignità di ogni essere umano, inizia male e finirà male.”

Ma Vance non ha avuto l’onore di un incontro con Bergoglio — perché, si sa, i papi ricevono solo presidenti e capi di Stato; e visto che è in convalescenza, ha anche sospeso le udienze, salvo per Re Carlo III, che evidentemente ha un accesso speciale. Rimane l’opzione di un saluto durante la messa di Pasqua, questa mattina a San Pietro. Così, ad accoglierlo, con un sorriso che sembrava una maschera di cerimonia, è stato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Pontefice.

La scuola diplomatica vaticana, si sa, insegna da secoli che si deve dialogare sempre e con chiunque, una regola aurea senza eccezioni, perché interruzione dei rapporti significa rimanere impantanati. La nota finale della Santa Sede, diramata ieri pomeriggio, riassume il realismo del Vaticano. Da un lato si parla di “cordiale colloquio” durante il quale “è stato espresso compiacimento per le buone relazioni bilaterali esistenti tra la Santa Sede e gli Stati Uniti d’America, ed è stato rinnovato il comune impegno nel proteggere il diritto alla libertà religiosa”.

Ah, la diplomazia! Quel bel gioco di parole dove tutti si promettono mare e monti, ma alla fine ognuno va per la propria strada, come una danza in cui nessuno conosce i passi. Da una parte, abbiamo la Santa Sede che chiede una pace «giusta e duratura» in Ucraina, perché chissà, forse il concetto di «giusto» ha un significato differente a seconda del contesto. I negoziati? Solo se ci possono partecipare i veri protagonisti, ovvero gli ucraini, altrimenti cosa stiamo facendo?

E che dire della situazione in Gaza? Il Vaticano è talmente preoccupato per la «violazione sistematica del diritto internazionale» che probabilmente ha già messo un crocifisso sul tavolo delle trattative, sventolando il proprio cloud di moralità come un drappo. Ma, beh, chi sono loro per pretendere rispetto delle regole quando vedono che la legge del più forte regna sovrana? Se il proverbio Pacta sunt servanda non vale più, diventa solo un nostalgico riflesso del passato, di quelli che nessuno ascolta più.

Ma non finisce qui: la distanza più lampante si evidenzia quando si parla di migranti. Qui il Papa ha messo i piedi in testa al «programma di deportazioni di massa» di Trump, un passo audace quantomeno. Mentre Vance si è attaccato all’orologiaio teologico di ordo amoris, rivendicando l’amore per la famiglia e per il proprio Paese, è come se il Papa avesse risposto con un: “Ma chi ti credi di essere? Il Samaritano non ha mai fatto distinzioni”.

Ma la favola non finisce qui, giusto per aggiungere un pizzico di ironia alla situazione: dopo essersi convertito al cattolicesimo nel 2019, Vance si autodefinisce un «baby Catholic», un amante del catechismo in erba, mentre i vescovi si sono stracciati le vesti per i tagli ai fondi di Usaid, accusando Vance di muoversi solo per il vile denaro. Incredibile come l’ossessione per il profitto possa anche infiltrarsi nella sacralità della fede!

Infine, l’ultima riga della nota vaticana è un vero capolavoro di diplomazia: «Si auspica una serena collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica negli Stati Uniti», ringraziando per il «prezioso servizio». Insomma, sembrano più le parole di un direttore di un ristorante che di un ente ecclesiastico. Ah, la bellezza degli scontri di interesse camuffati da buone intenzioni, un classico della politica!

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