Trump e il suo inquietante gioco: tasse ad alta voce per i poveri ricchi, mentre i veri miliardari restano al sicuro

Trump e il suo inquietante gioco: tasse ad alta voce per i poveri ricchi, mentre i veri miliardari restano al sicuro

L’idea ha sempre affascinato Steve Bannon, l’ideologo del movimento Maga e stratega della prima amministrazione Trump. Ma ora non è più un semplice pensiero da caffè: molti membri del partito Repubblicano e lo stesso presidente stanno prendendo in considerazione quest’ipotesi. Stiamo parlando della possibilità di aumentare l’aliquota dell’imposta sul reddito dal 37% al 40% per chi dichiara oltre 1 milione di dollari all’anno. La Casa Bianca avrebbe intenzione di presentare questa manovra come un modo per raccogliere fondi, contribuendo così a coprire i costi astronomici del rinnovo degli sgravi approvati durante il primo mandato del tycoon. E come se non bastasse, si promette un ampliamento di queste agevolazioni per mantenere promesse elettorali, come l’azzeramento delle tasse sulle mance a favore della working class. Ma la verità è che questa nuova misura farà solo un leggero grattino ai miliardari sostenitori del presidente, mentre gli permetterà di rubare allo slogan dei Democratici: “Tax the rich”, che stanno faticando a risollevare il partito dopo la recente figuraccia elettorale. E, naturalmente, questo è un modo perfetto per distraerci dai tagli in arrivo sul welfare, compensando le riduzioni fiscali che continueranno a favorire i più abbienti in modo sperticato.

Puntiamo un attimo il riflettore su questo contesto: la decisione di aumentare le tasse andrebbe in direzione contraria all’ortodossia del Grand Old Party, il quale ha sempre avuto un avversione quasi patologica verso ogni incremento fiscale. A livello interno, uno degli obiettivi cruciali per Donald Trump è l’approvazione del budget per l’anno fiscale 2025. La prima mossa dell’amministrazione è assicurarsi che nel pacchetto si trovi il rifinanziamento del Tax Cuts and Jobs Act (TCJA) del 2017, una legge che ha, tra l’altro, ridotto l’aliquota dell’imposta sulle società, tagliato cinque aliquote sul reddito, inclusa la più alta, raddoppiato la detrazione standard e consentito agli autonomi e piccole aziende di dedurre il 20% del reddito d’impresa dall’imponibile. Di passi avanti ce ne sono stati, ma la maggior parte delle misure per individui e famiglie scadrà a fine 2025, a meno di un rinnovo, che adesso sembra una scommessa più che audace. I Repubblicani al Congresso hanno faticato a far passare una risoluzione ad hoc, ma il percorso verso l’approvazione finale (senza i voti dei Democratici, eh!) è in salita: secondo il Joint Committee on Taxation, l’estensione del TCJA costerebbe la stratosferica cifra di 4.600 miliardi in dieci anni, che diventa 5.500 miliardi considerando gli interessi sul debito, un negócio che Jerome Powell, il presidente della Fed, ha etichettato come “insostenibile”. E l’ala conservatrice del partito, nel suo fervente amore per l’austerità, sta premendo per tagli ingenti alla spesa pubblica, il che significa dare la zappa sui piedi a grandi programmi federali come Medicaid e l’assistenza alimentare, di cui, ironia della sorte, beneficiano molti elettori dei vari stati repubblicani.

Un’alternativa per recuperare qualche centinaio di miliardi potrebbe quindi essere quella di riportare l’aliquota più alta per i redditi superiori ai 626.000 euro al 39,6% dal 37% attuale. L’opzione, a quanto pare, ha trovato un certo favore: il presidente USA durante conversazioni con vari senatori avrebbe anche espresso una certa apertura, secondo quanto riportato dal Semafor. Recentemente, Bloomberg ha messo sul piatto che, dopo ulteriori valutazioni, la proposta è di fissare l’aliquota al 40% ma solo per i redditi superiori a 1 milione di dollari. E mentre tutto ciò accade, ci sentiamo obbligati a evidenziare come in Italia un’aliquota ancora più alta (43%) si applichi a partire da 50.000 euro. Ma evidentemente, in questo gioco di potere e politiche fiscali, la coerenza è solo un optional.

Certo, una grande rivelazione. Come sottolineano i maghi dell’economia e i ferventi sostenitori della tassa minima sui grandi patrimoni, in particolare Gabriel Zucman, questa mossa non cambierebbe nemmeno di un millimetro gli incommensurabili vantaggi offerti dalla legge trumpiana – che, sorpresa sorpresa, continuerà a farlo se dovesse essere rinnovata – per l’1% più privilegiato della popolazione. Perché, si sa, chi si trova al vertice della piramide dei redditi prospera principalmente grazie a dividendi o plusvalenze dalla vendita di beni (azioni, immobili). E indovinate un po’? Quei profitti resterebbero tassati a un incredibilmente vantaggioso 20%. Ma questo non è tutto: permane in vigore la tanto criticata deduzione del reddito d’impresa, che consente a un imprenditore di pagare proporzionalmente meno imposte di un semplice dipendente. Ma non finisce qui: i Repubblicani stanno progettando di aumentare il tetto di 10.000 dollari per la deduzione dalle tasse federali di quelle statali e locali. Il risultato? Un bel regalo per i contribuenti ad alto reddito che risiedono in aree particolarmente ricche (su scala elettorale, magari!).

In poche parole: i miliardari possono continuare a dormire sonni tranquilli, sereni come sempre. E Trump, che si trova in difficoltà nei sondaggi dalla sua avventura autolesionista di guerra commerciale, che sembra promettere un aumento dei prezzi e, incredibilmente, di danneggiare il suo stesso elettorato della classe lavoratrice, potrebbe decidere di puntare su una carta pesante. È curioso notare che, a marzo, un sondaggio del Pew Research Center ha rivelato che quasi sei americani su dieci sono favorevoli a un aumento delle aliquote sui redditi superiori ai 400.000 euro. E se da un lato non sorprende che l’81% dei Democratici supporti un tale aumento, le risposte dei Repubblicani sono decisamente inaspettate: la maggioranza relativa (43%) è favorevole all’incremento, mentre il 28% preferirebbe mantenere le aliquote invariabili e il 27% le ridurrebbe. Resta ora da vedere se tutto ciò sarà sufficiente a convincere il tycoon a rinnegare la sua sacra promessa di ridurre le tasse per (tutti) i benestanti, secondo la disconosciuta e fumosa teoria dello “sgocciolamento” dei benefici ai lavoratori.

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