In principio fu il «Piano D’Alpaos», un ambizioso delirio di grandezza che un certo Luca Zaia, allora presidente in un primo mandato, ha saputo rivendicare con un certo sarcasmo: «Dopo il 2010 ho ottenuto il primo miliardo minacciando lo sciopero fiscale così come abbiamo portato a casa il secondo, dopo Vaia, oltre ai fondi Fsc». Ah, che uomo, Luca, un vero leader che, dopo l’epico disastro del 2010, ha deciso che il Veneto avrebbe avuto 23 enormi bacini di laminazione, capaci di deviare decine di milioni di metri cubi d’acqua. Perché sì, non bastano solo le parole, servono anche le enormi piscine pubbliche che potrebbero salvare il mondo!
Ma non è solo una questione di enormi invasi; no, ci sono anche le casse di laminazione minori e una bella «ragnatela» di arginature, diaframmi e briglie, una vera opera d’arte per rinsaldare il fragile Veneto dei fiumi in pericolo, di quelli che, appena girano il cielo di blu, iniziano a piangere creando situazioni imbarazzanti. E mentre il costo iniziale di questo capolavoro era di 2,5 miliardi di euro, guarda caso adesso parliamo di 3,5 miliardi, ma chi se ne frega? Circa un quarto di questa somma, beh, è destinato a questi famosi bacini. Economisti in erba, preparatevi a voter delle risate!
Analizziamo quindi i bacini principali. Delle 23 strutture, a parte il Piave — il grande massacro di fiumi completamente vulnerabili, per carità — tutti i bacini principali sono stati realizzati. Da Trissino al Muson dei Sassi, passando per viale Diaz a Vicenza. E tra questi, spiccano quelli in fase di realizzazione, con finanziamenti già in tavola — non è un dettaglio, eh? — come il bacino sul Tasso e quello sull’ Onte (grazie all’«inserimento» nelle opere compensative della Tav). E non possiamo dimenticare l’Anconetta e Pra’ dei Gai, destinati a mettere in sicurezza il Livenza.
Dopo il Piave (oh, di lui parleremo più tardi), Pra’ dei Gai con i suoi 25 milioni di metri cubi si preannuncia come il secondo bacino più grande del Veneto. E non vogliamo dimenticare il quasi raddoppio del bacino di Montebello, passando da meno di 5 milioni di metri cubi a 9. Sorprendente, vero? Tutto nell’arco di tre lustri: un esempio lampante di quanto possano essere lungimiranti i politici quando si tratta di «progettare» una bella valanga di problemi!
Ma eccoci di fronte ai bacini «minori», quelli che ora sono in un limbo mistico chiamato progettazione — o meglio, purgatorio. Questi non possono ancora contare su alcun finanziamento: parliamo di Dioma, Meda, i due sull’Astico, il Tesina, San Vito (che, giustamente, esiste e funziona solo con periodiche rotture arginali), le Valli Mocenighe e, ovviamente, …
Le casse di espansione alla Grave di Ciano sul Piave… Ah, la bellezza dell’inefficienza! Abbiamo parlato dei 3,5 miliardi di euro previsti per questo progetto meraviglioso. Con migliaia di cantieri disseminati ovunque, già sono stati spesi la bellezza di 2,2 miliardi, ma non temete, resta ancora un miliardo e 200 milioni da reperire. E di quelli, solo “modici” 300 milioni serviranno per completare il piano dei 23 bacini. Che affare!
E a proposito di sicurezza del Piave, parliamo di quei 200 milioni: 200 milioni destinati appunto a mettere in sicurezza il fiume. Ma tutto questo nonostante la nomina di un commissario? Oh sì, la Marina Colaizzi, presidente dell’Autorità di bacino delle Alpi orientali, è qui per salvare la situazione! O per complicarla ulteriormente? Dopo anni di stallo, causati dai ricorsi dei sindaci del Montello (tutti, per inciso, respinti), la nostra eroina è stata nominata a fine ottobre. E, ovviamente, ha subito ricevuto dalla Regione piles di documenti… fantastiche tre soluzioni progettuali che nessuno avrà mai tempo di realizzare.
E mentre la nostra commissaria si imbatte in una lunga serie di riunioni con i tecnici della Regione, il riassetto dei dirigenti della struttura commissariale rallenta ulteriormente il processo. Che bello, vero? Nel frattempo, il tempo è il nemico. Siamo già ai titoli di coda: dobbiamo approvare il Pfte, la progettazione di fattibilità tecnico-economica, e il termine è fissato per il 12 maggio. Occhio, se non ci riusciamo ci toccherà avviare una nuova progettazione e indovinate un po’: i tempi si allungheranno…
Ehi, ma non dimentichiamoci delle precipitazioni sempre più estreme! I fenomeni meteorologici stanno diventando sempre più drammatici, richiedendo un’accelerazione per realizzare almeno il primo stralcio del progetto. Cosa significherebbe? Ridurre la portata della piena del Piave da 5.000 metri cubi al secondo a solo 2.800 a valle di Ponte di Piave. Ah, e nel frattempo, dobbiamo affrettarci a rivedere la normativa riguardante le dimensioni dei tombini per lo smaltimento delle acque piovane. Ma certo! Le “bombe d’acqua” che ci piovono addosso non vengono calcolate nemmeno lontanamente nei piani attuali. Ma chi se ne frega? Stiamo parlando di tombini, dopo tutto.