Costi di produzione in crescita fino a 160 miliardi di dollari, un aumento che inevitabilmente ricadrà sui prezzi netti dei veicoli nuovi, che si prevede possano salire di anche 4.000 dollari a breve. Ma non si vive di soli aumenti: c’è anche il rischio di contrazione del mercato, tanto che le catene di approvvigionamento dei componenti sono in discussione, sempre che la guerra commerciale avviata da Donald Trump non rimanga solo un’inquietante anticipazione. E l’amministrazione americana sembra avere qualche riserva, tanto da considerare la possibilità di un ripensamento sui dazi al 25% nel settore auto. Le importazioni hanno già subito un colpo, con una previsione di 200.000 unità in meno dall’Unione Europea, e i nuovi dazi su componentistica sono dietro l’angolo. Come si sa, il settore è distante dal confort, a causa delle tariffe su acciaio e alluminio.
Cambiamenti imminenti
Le proiezioni sull’impatto finale dei prezzi e i costi aggiuntivi per i produttori sono così pessimistiche da indurre l’amministrazione Usa a considerare un passo indietro. Secondo il Boston Consulting Group, le spese delle case automobilistiche potrebbero aumentare tra 110 e 160 miliardi di dollari. Felix Stellmaszek, leader globale del settore auto e mobilità di BCG, ha definito il 2025 come “l’anno più significativo della storia per l’automotive” non solo per le attuali pressioni sui costi, ma anche perché le politiche di Trump stanno determinando “cambiamenti radicali nella crescita del settore”. Un bel contraddittorio, non credete?
Le ansie di Detroit
La Cameral di Commercio Regionale di Detroit avverte che potrebbe scattare una “frammentazione dannosa” della filiera. E mentre il settore implora la Casa Bianca di esentarlo dai dazi per preservarne la competitività, il Center for Automotive Research calcola che le spese per i principali produttori di Detroit (Ford, General Motors e Stellantis) aumenteranno di 41,9 miliardi di dollari. Peccato che giudichino i 107,7 miliardi previsti per i produttori statunitensi già un impatto che si traduce in un 20% sui ricavi totali dei veicoli nuovi. Chi dice che l’ottimismo non sia contagioso?
Chi resterà a galla?
Nessuno sembra immune da questa tempesta economica, neppure Ford, che produce in loco l’80% dei veicoli venduti negli Stati Uniti. Ma il peggio è riservato a General Motors (58%), Stellantis (43%), e Volkswagen, che naviga al 21%. È curioso notare come i titoli delle case automobilistiche abbiano festeggiato alla sola ipotesi di una “grazia” dai dazi! Sorpresa tra le righe: Stellantis, già sotto pressione, ha visto il suo CEO interinale John Elkann definire i dazi “dolorosi”, un termine che sembra più un lutto che un avvertimento.
Aumenti e circoli viziosi
Costruttori e fornitori potrebbero, bene o male, sostenere parte dell’aumento dei costi, ma gli analisti prevedono che la strategia più semplice sarà inevitabilmente ritoccare i prezzi nei prossimi mesi, una volta esauriti gli stock di auto prodotte prima del 3 aprile. Secondo Goldman Sachs, ci aspetta un aumento compreso tra 2.000 e 4.000 dollari per veicolo nei prossimi sei-dodici mesi. Il rischio? Un circolo vizioso di aumenti che potrà solo affossare ulteriormente le vendite. Ma chi ha mai detto che la logica sia di casa in questi frangenti?
Riflessioni e possibili risposte
In un clima di promesse di cambiamento e riforme mai davvero decollate, ci si potrebbe chiedere se questa spirale negativa possa essere alleviata con una visione più pragmatica e lungimirante. Forse meno diktat e più ascolto? Una semplificazione delle pratiche burocratiche e un sostegno reale alle industrie? Dopotutto, potrebbe essere l’ora di sostituire le parole vuote con azioni concrete, altrimenti ci toccherà rimanere in questa giostra infinita di aumenti e crisi. Ironia a parte, le soluzioni stentano a spuntare all’orizzonte, ma non ci resta che aspettare – e sperare.