Non è sorprendente come l’arrivo del sovrano britannico Carlo III in Italia riesca a provocare un’enfasi tale da far cantare perfino l’ inno di Mameli? È come se, ogni volta che un re o una regina varchino i confini, l’intero paese si sentisse obbligato a rinnovare la propria devozione attraverso un rituale di benvenuto che sembra più una danza di corte che una vera celebrazione. Gli inni nazionali si susseguono, e la Camera è il palcoscenico ideale per questa performance, dove la formalità sovrasta la sostanza.
Rituali e realtà: una contraddizione
Ma, a questo punto, viene quasi da chiedersi: quale significato ha tutto questo? Un sovrano che visita un paese straniero, accolto come una rock star, e i Ministri che cantano con fervore, mentre nel frattempo i cittadini affrontano problemi quotidiani che non si risolvono con un applauso o una cerimonia. Il contrasto è lampante: un’accoglienza trionfale per un re, mentre l’attenzione per le questioni fondamentali langue nell’ombra.
Buone intenzioni e azioni assenti
In un’epoca in cui le parole scorrono copiose e le promesse di progresso si rincorrono, ci si potrebbe aspettare che le stesse istituzioni che applaudono il monarca siano pronte a garantire un miglioramento della qualità della vita per i cittadini. Tuttavia, la distanza tra la narrativa e la realtà pratica rimane abissale, creando una sorta di palcoscenico per marionette dove la politica si esprime attraverso gesti simbolici piuttosto che risultati tangibili.
Possibili soluzioni o solo utopie?
Se solo ci fosse un modo per trasformare l’entusiasmo in azioni concrete. Si potrebbe pensare a investimenti in infrastrutture, miglioramenti nei servizi pubblici o, azzardo, programmi che affrontino le vere esigenze della popolazione. Ma per raggiungere questi obiettivi, i nostri governanti dovrebbero spostare l’attenzione da palchi e aplausi a problemi quotidiani. In fondo, chi si occupa del riscaldamento economico mentre nei palazzi si canta? Forse è giunto il momento di un nuovo inno: quello del buon senso.