È curioso notare come un evento di così rilevo come il Vinitaly possa rimandare un messaggio di esclusione impercettibile. Da anni, il vicepremier non aveva mai saltato questo appuntamento a Verona, ma quest’anno ha scelto di snobbarlo. Lungi dall’essere un’assenza casuale, sembra piuttosto una scelta ponderata, dato che i produttori di vino di fronte a questa mancanza hanno espresso un candido «Ha fatto bene, non lo avremmo accolto con gli applausi». Un’affermazione ironica che mette in evidenza il malcontento nei confronti delle attuali politiche.
Un’agenda quella di Matteo Salvini
Martedì, il ministro Matteo Salvini si trovava a Trieste e a Monfalcone, mentre mercoledì era a Pordenone. L’unico tassello della sua **agenda** ufficiale di lunedì era un’intervista di cinque minuti con Bruno Vespa su Raiuno. Facile intuire che il clamoroso salto dal Vinitaly in una simile situazione possa apparire come un atto di disinteresse totale verso un settore strategico come il vino. Gli incontri, i collegamenti e i palcoscenici televisivi sono stati sostituiti da un silenzio assordante.
Un settore in crisi
Il Vinitaly è non solo un’occasione commerciale, ma un vero e proprio luogo di celebrazione dell’industria vinicola italiana. È paradossale che il vicepremier, spesso presente in passato, ora si senta costretto a escludere una manifestazione così viva e vibrante. I ristoratori, dall’altra parte, lamentano un grave calo nel consumo di vino a table, tratto da nuove norme del codice della strada che sembrano mirare a costruire una società più sicura ma che, a conti fatti, colpiscono anche il nostro amato vino. Una fessura smisurata tra le leggi e la realtà di chi vive e lavora nel settore.
Una farsa istituzionale?
Bureaucraticamente parlando, il silenzio del vicepremier riflette un’imprecisione che fa scattare la curiosità: come può un settore così importante per l’economia nazionale esser relegato a una mera questione di secondaria importanza? La coerenza e il supporto a un’affermazione di valore come il vino italiano sembrano essere solo belle parole nei discorsi ufficiali, mentre la realtà pratica sembra raccontare un’altra storia. Infatti, l’assenza di un videocollegamento, a differenza dell’altro vicepremier, Antonio Tajani, aumenta la sensazione di un cambiamento in atto che potrebbe predire un futuro di ulteriori esclusioni.
Soluzioni plausibili o promesse vuote?
Che fare di fronte a tutto ciò? In primis, una rivalutazione delle politiche sul consumo di vino è d’obbligo. E perché non considerare l’ipotesi di un tavolo di lavoro con i produttori e i ristoratori? Magari, l’idea di trasformare il Vinitaly in un evento stabilmente aperto ai decisori politici non sarebbe così peregrina. Snonternalizzandosi dalla ritualità, si potrebbe dare un messaggio chiaro sul valore del vino per l’Italia. Ma, considerando la distanza tra teoria e azione, chissà se queste proposte si trasformeranno mai in realtà.