Dl Sicurezza, Nordio annuncia misure penali a protezione delle forze dell’ordine aggredite negli istituti penitenziari

Dl Sicurezza, Nordio annuncia misure penali a protezione delle forze dell’ordine aggredite negli istituti penitenziari

Quando si parla di giustizia e forze dell’ordine, è impossibile non imbattersi in una serie di affermazioni che, sebbene suonino rassicuranti, spesso celano contraddizioni sorprendenti. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha recentemente affermato che ci sono “tutele penali” per le forze dell’ordine aggredite, in particolare dentro le carceri. La premessa è chiara: chi è già in una situazione di detenzione non dovrebbe aggravare la propria posizione aggredendo chi indossa una divisa. Ma, fermiamoci un momento: quanto delle parole pronunciate ha una reale applicazione pratica?

Rassicurazioni vuote?

Molto spesso ci viene detto che misure severe contro la violenza in carcere sono in atto. Ma quanti di questi provvedimenti effettivamente raggiungono il loro scopo? In un panorama dove le statistiche sulle aggressioni non sembrano diminuire, è lecito chiedersi se siamo di fronte a un problema di bureaucracy o semplicemente di inefficienza. Si potrebbe pensare che una vera lotta alla violenza richieda non solo leggi ma anche un approccio più umano e meno punitivo.

Un esempio in tensione

Prendiamo, ad esempio, le esperienze di altri paesi europei, come i Paesi Bassi, dove l’approccio alle misure di sicurezza alternative nelle carceri ha portato a risultati senza dubbio migliori. Qui non si tratta solo di perseguire chi commette reati, ma di capire come interrompere il ciclo della violenza. La domanda, quindi, è: possiamo realmente applicare una tale strategia? Oppure ci limitiamo a dare seguito a politiche che sembrano più un discorso da conferenza stampa piuttosto che un piano d’azione?

Il contrasto tra teoria e pratica

Le affermazioni come quelle di Nordio tendono a suscitare speranze che ben presto si scontrano con la realtà. I piani sembrano esistere solo sulla carta, lasciando i poliziotti e gli agenti di custodia inermi di fronte a situazioni che sfuggono loro di mano. E mentre le promesse di tutele rafforzate si accumulano come polvere su una scrivania, in cosa si traduce tutto ciò per chi vive e lavora in una realtà penitenziaria precaria?

Possibili soluzioni: un approccio ironico

Cosa possiamo fare allora? Potremmo iniziare col dare la priorità a programmi che non si limitano a punire, ma cercano di riabilitare. Poi ci sarebbe forse il caso di considerare un incremento dei fondi per la sicurezza e la formazione del personale, un’idea rivoluzionaria, non credete? Certamente, nei prossimi anni, si verificherà una contraddizione quando i discorsi torneranno a essere vuoti e le politiche rimarranno imprigionate nelle aule decisive. Per non parlare della differenza fra ciò che viene proclamato e ciò che si attua effettivamente.

Insomma, la situazione del nostro sistema penitenziario è carica di ironia: mentre si parlano di tutele e diritti, il risultato sembra essere ben lontano dal creare un vero ambiente di sicurezza e rispetto. Non sarebbe il caso di alzare un po’ il sipario e vedere cosa c’è realmente dietro? O continueremo a rimanere intrappolati nel gioco delle parole senza sostanza?

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