Le premesse sembrano promettenti: i fondi pensione e le piccole e medie imprese (Pmi) potrebbero collaborare per risollevare l’economia italiana. Da un lato, la crescita della previdenza complementare si propone di garantire maggiore stabilità economica alle famiglie; dall’altro, i fondi pensione sono pronti a investire nel potenziale di crescita delle Pmi, garantendo un aumento della produttività e del Pil. Il report “I fondi pensione e le Pmi italiane: il legame virtuoso tra crescita e previdenza” confezionato da Teha con Previdenza Italia ci presenta questo quadro, ma le promesse lasciano spazio a una riflessione più profonda.
Ideali vs. Realtà
Nino Foti, Presidente di Previdenza Italia, afferma che i fondi pensione custodiscono il “più grande patrimonio di lungo termine” nel panorama italiano. Eppure, per ottenere rendimenti adeguati, gran parte di queste risorse viene investita all’estero. Paradossalmente, dunque, mentre si promette un ritorno all’“economia reale” italiana, gli investimenti rimangono in gran parte privati di un impatto diretto sul nostro territorio. È come invitare un amico a cena e servirgli solo un’insalata: sicuramente salutare, ma probabilmente non molto soddisfacente.
Calcoli Demografici e Aspirazioni Economiche
La popolazione italiana è destinata a ridursi, si parla di 3 milioni di persone in meno entro il 2040. Secondo Lorenzo Tavazzi, Senior Partner di Teha, l’unico rimedio consiste nell’aumentare l’adesione alla previdenza complementare e orientare investimenti maggiori verso le Pmi. Ma quanto realistica è questa strategia? Non basta un’ottima idea per costruire una solida economia; se la base demografica continua a sparire, le aspettative sembrano un po’ illusorie.
Una Situazione Contraddittoria
Non possiamo ignorare la premessa che il successo delle Pmi è anche il risultato di un contesto favorevole. Se, da un lato, le Pmi sono state pionieri di una crescita occupazionale del 11% e un aumento degli investimenti in Ricerca e Sviluppo del 42% negli ultimi dieci anni, dall’altro, il costo del credito continua a essere in aumento: dal 2% nel 2019 al 5,6% nel 2023. Come si può pretendere innovazione e crescita da un ambiente sempre più asfittico?
Prospettive Future?
Di certo, le Pmi rappresentano la spina dorsale dell’economia italiana, occupando un terzo della forza lavoro e contribuendo con quasi il 40% del fatturato nazionale. Ma mentre si celebra questa resilienza, è difficile ignorare la distanza tra dichiarazioni e realtà. Gli ardenti appelli per una maggiore efficienza e produttività si scontrano con un sistema che sembra rimandare a decisioni concrete. Promesse senza azione sono come una carta di credito con un limite di spesa inesistente: utili da mostrare, ma piuttosto problematici per chi spera in un futuro migliore.
Possibili Soluzioni
Come possiamo realmente superare queste sfide? Potremmo abbracciare un approccio radicale nel supporto alle Pmi, riconsiderare le leggi sul credito per diminuirne il costo, o investire in iniziative di innovazione. Tuttavia, persino le migliori idee rischiano di rimanere in un limbo burocratico se non animati da un’azione decisa. Potremmo anche pensare a misure per attrarre investimenti esteri — non si sa mai, magari un pizzico di competitività internazionale potrebbe farci respirare un po’ meglio. In definitiva, la strada da percorrere è chiaramente tracciata, ma quanto siamo disposti a percorrerla? La vera domanda è, siamo pronti a trasformare le buone intenzioni in realtà tangibile?
Se gli investimenti di Private Equity rappresentano solo lo 0,3% del PIL in Italia, mentre in Francia e Regno Unito si attesta rispettivamente al 0,7% e al 0,6%, ci si potrebbe chiedere: dove stiamo andando? Questo scarto non è solo un numero, ma un campanello d’allarme per una nazione che aspira a crescere, ma che affida i propri destini a risorse sottoutilizzate.
Una miniera dimenticata
Le risorse della previdenza complementare, attualmente superiori a 240 miliardi di euro, rappresentano un’occasione strategica per migliorare l’accesso al capitale delle PMI. Tuttavia, nonostante il loro potenziale, rimangono intrappolate in un sistema che, oltre a garantire pensioni pubbliche, dovrebbe anche incentivare la produttività e la competitività del mercato italiano. Attualmente, i fondi investono circa 36 miliardi di euro, ma con oltre il 70% dedicato a titoli di Stato, la porzione di equity è misera, rappresentando solo il 5% del patrimonio.
Tra sogni e realtà
Un comunicato sottolinea che “un maggiore investimento in titoli di capitale italiani potrebbe realmente contribuire al finanziamento delle imprese”. Eppure, come possono i fondi pensare di sostenere l’innovazione se solo il 10% degli iscritti opta per il settore azionario? Qui risiede una contraddizione: da un lato, c’è la richiesta di diversificazione e maggiore investimenti, dall’altro, i fondi rimangono legati a scelte conservative.
Vantaggi persi nella burocrazia
La normativa italiana, pur essendo in linea con quella dei principali paesi europei, diventa un’arma a doppio taglio. Se da un lato offre opportunità come la deduzione fiscale fino a 5.164,57 euro, dall’altro, la tassazione sui rendimenti è ancora troppo elevata per incoraggiare un effettivo spostamento verso investimenti più audaci. Una situazione in cui il >doveroso equilibrio tra obbligazioni e azioni fa acqua da tutte le parti, lasciando scoperte le necessità reali delle PMI.
Progetti in sospeso
Il progetto di Previdenza Italia, attivato nel 2011 per promuovere la previdenza complementare, è un esempio lampante di buone intenzioni bloccate dalla burocrazia. Nonostante l’iniziativa per favorire l’impiego di risorse verso le PMI, l’effettiva operatività rimane in stand-by in attesa di decreti attuativi, una situazione che si riflette nella incerta prospettiva di attivare 2,3 miliardi di euro di investimenti dal 2026 al 2034.
Scenari futuri o chimere?
Secondo le proiezioni, se finalmente dovesse partire questo ciclo virtuoso, potremmo assistere alla creazione di oltre 250 mila posti di lavoro e un incremento di risorse gestite dei fondi pensione fino a 12 miliardi di euro entro il 2034. Ma in che misura queste promesse sono realistiche? La distanza tra la teoria e la pratica sembra sempre più un abisso incolmabile.
Possibili soluzioni? Forse investire in formazione per gli iscritti sui benefici delle azioni? Oppure incentivare il settore privato a offire opportunità più concrete? È ironico pensare che per far crescere davvero il tessuto produttivo, l’Italia debba ancora discutere su come passare da promesse a fatti concreti, un gioco di parole che, in questo caso, non fa ridere affatto.