Mediobanca, il grande banchetto: quando il potere si spartisce le spoglie del sistema finanziario

Mediobanca, il grande banchetto: quando il potere si spartisce le spoglie del sistema finanziario

La finanza italiana non è un gioco per i deboli di cuore. Quando pensi che sia solo questione di numeri, titoli e percentuali, ecco che dietro l’angolo sbucano i soliti noti, quelli che con un paio di strette di mano e qualche colpo di telefono riscrivono le regole senza battere ciglio. Questa volta il palco è Mediobanca, la storica cassaforte del capitalismo italiano, e gli attori sono più che mai famelici. Caltagirone, gli eredi Del Vecchio e persino Fratelli d’Italia si muovono sulla scacchiera, ognuno con la sua strategia, ognuno con i suoi obiettivi.

Un’istituzione sotto assedio

Mediobanca non è una banca qualunque: è il tempio del potere economico, il cuore pulsante di un sistema che da decenni decide il destino di aziende e interi settori. Non è un caso che oggi sia al centro di una lotta senza esclusione di colpi. Caltagirone non ha mai nascosto la sua ambizione di avere un peso maggiore nella governance dell’istituto, mentre gli eredi Del Vecchio vogliono difendere l’eredità di un uomo che ha costruito un impero senza mai farsi troppo intrappolare dalla politica.

E poi c’è la variabile Fratelli d’Italia, che con il suo peso crescente vuole dire la sua in un settore dove le scelte si riflettono direttamente sulla capacità di controllare l’economia reale.

Il capitalismo di relazione: cambiano i nomi, il metodo resta lo stesso

Questa vicenda ha il sapore del deja vu. Da decenni la finanza italiana vive sotto l’ombra del cosiddetto capitalismo di relazione, un sistema in cui chi conta davvero non sono gli azionisti, non sono i piccoli investitori, ma i grandi manovratori che dietro le quinte si scambiano favori, posti nei consigli di amministrazione e appoggi politici.

Non c’è innovazione, non c’è trasparenza: c’è il solito giochino opaco dove a perdere sono sempre i risparmiatori e le imprese che avrebbero bisogno di una banca solida e indipendente, non di un feudo spartito tra le solite famiglie.

Chi vince e chi perde davvero

A sentire certi analisti, questa sarebbe solo una battaglia tra investitori istituzionali. Ma chi si beve questa narrazione? Il vero problema è che ogni volta che una grande banca diventa preda di interessi incrociati, l’effetto si scarica su tutto il sistema. Si riducono gli investimenti, si privilegiano le operazioni speculative rispetto al credito alle imprese, si moltiplicano le manovre oscure per consolidare il controllo.

E il cittadino comune? Il risparmiatore che magari ha qualche azione o un fondo pensione? Non conta nulla. Il suo futuro finanziario viene deciso in stanze dove le logiche sono completamente scollegate dalla realtà economica del Paese.

Soluzioni? Solo se cambia il sistema

Parlare di soluzioni è quasi ridicolo. Finché il sistema resta in mano a questi professionisti del potere, l’unica cosa certa è che tutto continuerà come prima. Si potrebbe pensare a regole più stringenti sulla governance, a una maggiore trasparenza nei processi decisionali, magari persino a un ruolo più attivo delle istituzioni di controllo. Ma sappiamo già come andrebbe a finire: un bel convegno, qualche dichiarazione di circostanza e poi tutto esattamente come prima.

Il problema non è trovare la soluzione: il problema è che chi ha il potere non vuole cambiare nulla.


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