Dentro il magico regno delle terre rare di Neo dove il futuro si costruisce tra miraggi e misteri

Dentro il magico regno delle terre rare di Neo dove il futuro si costruisce tra miraggi e misteri
Cina, producendo i suoi magneti proprio sulla soglia della Russia.

Nel cuore della piccola e non proprio celebre città industriale di Narva, Estoniaccia orientale, si erge la nuova, scintillante fabbrica di magneti per terre rare, l’impianto più grande del continente in questa lingerie tecnologica. Di lì a poco, promette di sfornare magneti che alimentano tutto, dai veicoli elettrici alle turbine eoliche (sì, quei giocattoli high tech che tanto dipendono dai magneti per funzionare).

Questa operazione miracolosa è sponsorizzata dal canadese Neo Performance Materials, che ha deciso che non c’era posto più adatto di Narva – proprio lì dove il fiume delimita il confine tra Unione Europea, NATO e Russia. Atmosfera tranquilla, insomma, per sviluppare tecnologia ultra-strategica.

Il CEO di neo-industria dei magneti, Rahim Suleman, si sbilancia, non senza un certo ottimismo imbarazzante: la loro fabbrica dovrebbe sfornare ben 2.000 tonnellate di magneti quest’anno, per poi raggiungere le 5.000 tonnellate e continuare a salire, inseguendo “un mercato che cresce con una rapidità forsennata”. Tradotto: “È roba che vale miliardi ed è indispensabile per industrie che girano in trilioni. Quindi, mica male come scommessa”.

Intanto, l’Europa importa quasi TUTTA la sua roba magnetica dalla Cina (perlomeno finora), ma il nostro eroe di Narva pensa di coprire almeno un 10% di quella richiesta. Ovvero: business in crescita e la speranza che i clienti europei vogliano smettere di fidarsi solo del dragone asiatico.

Rahim Suleman puntualizza:

“Non stiamo parlando di voler diventare indipendenti da qualche Stato, ma di costruire catene di approvvigionamento robuste e variate, per ridurre l’ovvia dipendenza da pochi fornitori.”

Per ora, hanno già prenotato qualche cliente grosso, tipo Schaeffler e Bosch, che poi forniscono le auto tedesche dei giganti Volkswagen e BMW. Niente male, vero? Peccato che la strada verso l’autonomia europea sia più piena di ostacoli di qualsiasi serie tv thriller.

Dai fondi quasi magici che non ci sono, alle normative che sembrano studiate apposta per bloccare tutto, passando per una filiera europea ridicolmente frazionata e costi di produzione alti tanto quanto i sogni. Insomma, la montagna di leggi, paletti e crisi rende il progetto Europa più una favola a lieto fine da sceneggiatura hollywoodiana che una realtà concreta.

Non ci crede troppo nemmeno Caroline Messecar, analista di Fastmarkets, che via email taglia corto:

“L’Europa ha bisogno di un enorme incremento nella capacità di produrre magneti in terre rare se vuole solo sognare una filiera diversificata per i suoi costruttori di automobili.”

La ghigliottina è sempre lì

Una volta argomento obscuro per specialisti, le terre rare sono diventate la nuova pedina di pressione nella ormai celebre partita di scacchi geopolitici tra Stati Uniti e Cina.

Batticuore: a ottobre, Cina ha fatto sapere che posticipa le ulteriori restrizioni alle esportazioni di questi minerali rari, dopo una chiacchierata amichevole tra il suo presidente Xi Jinping e l’allora presidente Donald Trump. Peccato che le limitazioni già in vigore rimangano rigide come una dieta ferrea. L’ombra della ghigliottina commerciale pende ancora sui mercati.

Ryan Castilloux, direttore di Adamas Intelligence, ne ha fatto la sua personale ossessione, raccontando:

“La minaccia è sempre lì; la ghigliottina incombe. Questo senso di precarietà ha finalmente svegliato Occidente, utenti finali e governi, rendendoli almeno vagamente consapevoli dei rischi.”

E si torna al punto dolente: “È un problema miliardario che impatta industrie da trilioni. Quindi, sì, è meglio risolverlo.”

Insomma, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, potrebbe aver parlato a un Parlamento più interessato alle chiacchiere che ai fatti, ma la verità è che quella corsa al magnete di Narva non sarà proprio una passeggiata nel parco sotto il cremlino.

L’Europa, come sempre in prima linea quando si tratta di essere vittima delle sue stesse ambizioni, si ritrova di nuovo nel mezzo del caos tariffario. La Commissione Europea, quel brillante organo esecutivo dell’Unione Europea, nella sua brillante previsione economica d’autunno 2025, ha finalmente ammesso che i controlli cinesi sulle esportazioni stanno mandando in tilt le catene di approvvigionamento in settori chiave come l’automobile e le energie verdi. Chissà perché nessuno ci aveva pensato prima!

Questo grande balzo in avanti nella consapevolezza sposta finalmente sotto i riflettori il tema della diversificazione delle forniture, visto che la domanda continuerà a crescere fino al 2030 – o almeno è quello che ci dicono – e l’UE resta ostinatamente dipendente da un solo fornitore. Geniale, no?

Così, in ottobre, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha annunciato un nuovo piano dal nome accattivante “RESourceEU”, un’idea nata per emulare il successo di “REPowerEU”, la strategia furba per risolvere la dipendenza energetica. Il tutto mentre un progetto chiamato Narva, che arriva a gran velocità con 18,7 milioni di euro di fondi europei (tradotti in bellezza con 21,7 milioni di dollari), diventa il fiore all’occhiello di questa aspirazione europea di produrre magneti senza dover chinare la testa a Pechino.

Purtroppo, la produzione è ridicola se confrontata alla domanda totale, ma hey, almeno possiamo dire che stiamo tentando di aumentare la capacità del blocco e rompere le catene con la Cina. Innovazione political-style.

Immagine di una fabbrica magnetica NEO a Narva, una città nel nord-est dell’Estonia mano nella mano con un autoritarismo prossimo a sorpresa.

Per chi non lo sapesse, la Cina è la regina incontrastata del mercato: controlla il 60% delle miniere di terre rare globali e più del 90% della produzione di magneti. Nel frattempo, l’Europa si distingue per il suo ruolo di cliente paziente e affezionato, essendo il più grande mercato di esportazione cinese per le terre rare. Bravi, bravi a mantenere questi rapporti diplomatici così … quasi simbiotici.

Una posizione strategica a dir poco… stimolante

Poi, c’è la strepitosa scelta di Narva, sito della nuova fabbrica di magneti di NEO. Il gioiellino industriale europeo si trova a due passi da quel piccola deliziosa sorpresa chiamata Russia. Già, proprio quella nazione che, dopo aver brindato alla “operazione speciale” in Ucraina, non ha risparmiato parole dolci sull’Estonia, reclamando la città come parte storica del proprio patrimonio. Un pensierino nostalgico di Vladimir Putin che è tutto un programma.

Quando gli è stato chiesto perché scegliere proprio Narva, Suleman di NEO ha candidamente spiegato che avevano già infrastrutture in zona e, ovviamente, “il posto giusto era stare in Europa”.

Per non farsi mancare niente, ha aggiunto: “Siamo profondamente colpiti dalla qualità delle persone in Estonia, dal loro livello d’istruzione e dalla dedizione al lavoro… Tutto sommato, tra il supporto locale e quello dell’UE è stata una scelta fantastica”. Quel supporto che significa soldi europei spesi con zelo per competere con i cinesi, in pratica.

Non sorprende che i parlamentari estoni abbiano accolto con entusiasmo la notizia della fabbrica, vedendo in essa un faro di sviluppo per il Paese e – perché no – per tutta la regione circostante. Ovviamente, siamo di fronte a prospettive brillanti e a scelte geopolitiche di spessore… o almeno così vogliono farci credere.

Jaanus Uiga, segretario generale aggiunto per l’Energia e le Risorse Minerarie in Estonia, ha sottolineato che la fabbrica è arrivata proprio “al momento giusto”.

In una chiacchierata con la stampa, Uiga ha riconosciuto con una sincerità disarmante le tensioni economiche tra Stati Uniti e Cina sulle terre rare, e ha ammesso che l’Estonia e la UE devono “adattarsi a una situazione in continua evoluzione”. Tradotto: prepariamoci a cambiare spartito ogni cinque minuti.

Ha infine fatto sapere che si tratta di una capacità di lavorazione davvero unica costruita in Estonia, sottolineando che è un traguardo significativo specie in una regione impegnata a lasciare alle spalle le fonti fossili. Come se questo bastasse a giustificare una scommessa così rischiosa.

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