Il lusso si spacca ancora di più nel 2026 Ecco perché gli analisti non si capacitano

Il lusso si spacca ancora di più nel 2026 Ecco perché gli analisti non si capacitano

Dopo anni di profondo sonno, finalmente gli analisti si svegliano e si sentono ottimisti sul lusso. Per il 2026, dicono, il settore tornerà a crescere, anche se non tutti saranno destinatari di questo lieto evento: la performance delle aziende divergerà come al solito, in base a quale segmento di clienti scelgono di coccolare. Insomma, chi vuole investire nel lusso deve farsi furbo e scegliere con cura le azioni. Come dire: niente più scommesse a occhi chiusi tra martedì grasso e giovedì santo.

J.P. Morgan prevede che il settore si stabilizzerà nel 2026, dopo un 2024 da brividi e un 2025 a montagne russe. La magia arriverà grazie a un incremento della fiducia dei consumatori cinesi – oh, inaspettato! – e qualche innovazione nel prodotto, perché senza novità perfino i pezzi più luccicanti sembrano un deja-vu. Negli ultimi due anni, le grandi firme del lusso hanno visto cali di vendite da far impallidire persino i più avari tra gli italiani: dopo il boom post-pandemia, la gioia di spendere si è placata davanti all’aumento del costo della vita e alle preoccupazioni per il lavoro, roba che nemmeno negli horror si vede tanta ansia.

Per chi pensava che il lusso fosse una festa riservata a chi passeggia tra Mayfair a Londra o sfilando sulla Fifth Avenue di New York, sorpresa: no, c’è anche quella middleground di clienti cosiddetti “aspirational”, cioè quelli che si possono permettere qualche cosina entry-level senza essere milionari da copertina. E indovinate? Questi aspiranti compratori sono spariti come neve al sole. Michael Zakkour, il fondatore di 5 New Digital, ci illumina su Squawk Box di CNBC:

“La gioielleria di alta gamma, orologi – il cosiddetto lusso duro, ultra-lusso – va ancora bene, ma la fascia media è caduta, e la fascia bassa sta per cadere a picco.”

“L’acquirente del lusso aspirazionale è praticamente scomparso.” Come se non bastasse, quello che Zakkour chiama il “lusso morbido”, ossia pelletteria, borse e abbigliamento, sta in difficoltà, perché quei clienti che magari avrebbero risparmiato a lungo per una borsa da tremila dollari ora… beh, hanno cambiato idea. E chissà, magari si comprano un panino al formaggio invece.

Performance Bipolare

Gli analisti di J.P. Morgan prevedono che l’aumento della volatilità macroeconomica e la scarsa chiarezza sull’effetto ricchezza – quel concetto secondo cui si spende di più quando si sente la propria ricchezza aumentare grazie a investimenti immobiliari o azionari – provocheranno una prestazione a due velocità, o meglio, spartita in parti molto diseguali. La crema della crema? Richemont, con ottimo slancio per i suoi marchi Cartier e Van Cleef. E poi c’è la classica firma di Israeliano e Francesi con preferenza per Moncler, Ferragamo, LVMH e Prada. Insomma, un dream team che suona come una playlist di lusso senza tempo.

Da parte di UBS, la musica è simile, con la speranza che il peggio sia alle spalle e previsioni di una crescita organica intorno al 5% nel 2026, giusto per riassaporare un po’ di profitti dopo due anni tempestosi. UBS è più ottimista sul cosiddetto lusso morbido, sperando in un risveglio, ma anche lei non perde di vista la supremazia della gioielleria, che si regge sul portafoglio dei clienti più facoltosi, quelli veri.

Un punto di caduta degno di nota arriva da Burberry, il marchio britannico con le celebri sciarpe a quadretti. Mentre UBS lo indica come una “storia di rilancio chiave” e lo riempie di stelle da comprare, J.P. Morgan pensa che ce ne sia ancora per dubitare, tagliando il rating a “underweight” (sottopesato). I loro analisti ci avvertono che il consenso è troppo ottimista sulle migliorie attese per il brand nel prossimo anno:

“Burberry ha mostrato una stabilizzazione delle vendite nell’ultimo anno; tuttavia, riteniamo che il rischio di esecuzione aumenti da qui, dato che alcune correzioni facili, come rafforzare sciarpe e giacche e sistemare campagne marketing e messaggi aziendali, sono già state implementate.”

I Rischi Non Mancano

L’effetto ricchezza sostiene fortemente la domanda negli Stati Uniti, ma come ogni cosa, ha la sua faccia oscura: se la borsa si corresse, per usare un eufemismo, la domanda potrebbe evaporare più velocemente di un cocktail in un rooftop bar di New York. E proprio a causa delle recenti turbative sui mercati, con le paure su una bolla dell’intelligenza artificiale e valutazioni stellari ma traballanti, il rischio è diventato palpabile e concreto, non più solo un fantasma.

Occhio anche a Cina, altro campo minato. I consumatori cinesi mostrano segni di risveglio, soprattutto nell’ultimo ciclo di bilanci, ma la cautela è d’obbligo: parlare già di piena ripresa è un po’ come gridare al miracolo dopo il primo cucchiaino di zuppa. Chiara Battistini, responsabile del lusso europeo per J.P. Morgan, a novembre ha esordito così:

“È presto per parlare di una vera inversione di tendenza e di un’inflessione completa”

Inoltre, le pressioni macroeconomiche in Cina potrebbero rendere questa ripresa piuttosto accidentata. Nel frattempo, le aziende puntano sempre più all’innovazione delle linee di prodotto, sperando di rendere la moda una vera arena competitiva. Un modo per cercare di scacciare quella stanchezza da consumatore di lusso post-pandemia, che fatica a ingoiare prezzi sempre più salati senza percepire alcun miglioramento reale della qualità.

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