Oggi, tra una lezione meravigliosamente noiosa e l’altra nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza, è stato presentato l’inesauribile miracolo tecnologico chiamato portale “L’infrastruttura di Ricerca Rome Technopole“. Per chiunque voglia perdere tempo prezioso, è raggiungibile a questo imperdibile indirizzo: https://infrastrutture.rometechnopole.it/it.
Il portale, una sorta di piscina olimpionica dove si fanno immergere attrezzature scientifiche, talenti specializzati e tecnologie futuristiche, promette di mettere tutto in comune, come un mercatino rionale di strumenti di ricerca all’ultimo grido. Insomma, una rete aperta di laboratori che dovrebbe (in teoria) rendere più facile l’accesso a un mondo scientifico segretissimo e misteriosamente complicato.
Ma aspetta, perché accontentarsi di un semplice sito quando si può avere un’emozionante giungla di competenze tecnologiche in condivisione? Immaginate scienziati, ricercatori e – perché no? – anche qualche curioso, che si ritrovano virtualmente attorno a questa tavola rotonda digitalissima, pronti a scambiarsi segreti, metodi e, naturalmente, i loro fantasiosi risultati da far brillare nelle pubblicazioni più autorevoli (o almeno così si spera).
Quando la scienza si autopromuove con un tocco di farsa digitale
Il portale non è solo una vetrina, ma un vero e proprio coltellino svizzero per chi non ha niente da fare e molta voglia di curiosare tra dati, esperimenti falliti e qualche geniale intuizione. Peccato che, dietro il luccichio tecnologico, spesso si nascondano procedure burocratiche lente come una lumaca imbottita di piombo. Ma nessuno lo dice, perché rovinerebbe la festa.
In pratica, si tratta di mettere a disposizione di chiunque (o quasi) apparecchiature scientifiche e competenze che altrimenti resterebbero sepolte in stanza chiuse e polverose. Peccato che l’accesso a questo tesoro abbia tutte le complicazioni di una missione spaziale, giusto per stimolare quel sano workout cerebrale tanto amato da funzionari pubblici e accademici.
Infrastrutture condivise o scuse per girare a vuoto?
Dietro all’idea lodevole si cela il solito dramma italiano fatto di burocrazia assurda e una rete di accordi informali che pare uscita da un film di prostrazioni e di inciuci scientifici. Insomma, non basta un sito carino: serve qualcuno che realmente apra i rubinetti della condivisione senza lasciarti impantanare nell’infinito limbo delle autorizzazioni.
In più, la definizione di “rete aperta” sembra più una questione dialettica sognante che una realtà palpabile. Perché, per aprire veramente, a volte bisogna chiudere altri occhi e scavalcare montagne di scartoffie che nessun ricercatore ha davvero tempo o voglia di affrontare.
Ma non disperate: la presentazione è qui per distrarvi e far credere alla comunità scientifica e non che si stia abbattendo un muro di incomunicabilità, mentre nella realtà si sta solo arredando di nuovi poster un labirinto già ben noto.
Un futuro scintillante? Più probabile un eterno presente dipinto di burocrazia
Naturalmente, i promossi di questa infrastruttura continueranno a dichiarare a gran voce l’inizio di una nuova era per la ricerca italiana. Certo, con tanto di siti web che sembrano usciti da un’estate di workshop creativi, ma senza davvero rivoluzionare nulla nella pratica quotidiana di chi quella ricerca dovrebbe farla davvero.

