Non c’è niente come una bella crisi di chip semiconductori per rinfrescare l’umore dell’industria automobilistica globale e ricordarci che la geopolitica sa essere un intrattenimento spettacolare quanto disastroso. La scorsa settimana, Honda ha fatto il gran debutto da protagonista annunciando una riduzione della produzione, tutta colpa di una mancanza di chip forniti da Nexperia, azienda olandese con radici cinesi in Wingtech Technology Co. Ovviamente, i drammi si intrecciano perfettamente con le tensioni tra Stati Uniti e Cina, come se avessimo bisogno di un altro capitolo di questa telenovela internazionale.
L’industria sperava ingenuamente che l’incontro tra i potentissimi Donald Trump e Xi Jinping in Asia potesse risolvere l’impasse, ma, spoiler alert: niente di fatto sulla questione chip. Intanto, Volkswagen si concede un po’ di respiro, dichiarando che le forniture reggeranno almeno fino alla prossima settimana, mentre gli altri big del settore orchestrano possenti “war room” h24 per arginare il disastro con ogni mezzo, non escludendo salti mortali e forse qualche preghiera.
Antonio Filosa, il CEO di Stellantis, ha ben descritto il quadro durante una chiamata agli investitori, dicendo:
“La situazione con i chip di Nexperia è seguita da una ‘war room’ cross-funzionale qui vicino, dove è il lavoro principale. Ogni giorno spingiamo azioni e progetti per allungare i tempi. Si tratta di una gestione quotidiana di un problema globale che riguarda tutta l’industria.”
E se pensavate che le ‘war room’ fossero un’esclusiva militare o da film di spionaggio, vi siete sbagliati di grosso. Nel mondo automobilistico, soprattutto dopo il caos pandemico che ha squassato le catene di approvvigionamento, sono diventate la nuova normalità. Le aziende si armano di task force per cercare soluzioni miracolose: dall’andare a caccia di fornitori alternativi al fare shopping sfrenato sul mercato aperto.
Il più grande sindacato dei fornitori americani ha voluto ricordarci con piglio professionale (e un pizzico di ipocrisia) che chip e diodi non sono mica dettagli da poco: servono persino per i pomelli delle portiere e i sistemi di infotainment. Eh sì, anche un minuscolo pezzo fuori posto basta a far saltare la produzione di un’intera vettura.
La favola triste di Nexperia e del governo olandese
La questione è degenerata quando il governo della Paesi Bassi, in un atto che qualcuno definirebbe “totalmente normale e senza precedenti”, ha deciso di mettere le mani su Nexperia. Perché? Pare che gli Stati Uniti abbiano alzato il sopracciglio sopra la sicurezza nazionale, e i loro amici olandesi si sono subito precipitati a difendere il sacro suolo europeo dal rischio tecnologico, con la giustificazione mossa dalla possibile indisponibilità di quei chip in casi di “emergenza”.
Come risposta degna dei grandi scenari hollywoodiani, la Cina ha sbattuto la porta esportando un bel no ai prodotti finiti di Nexperia. Il risultato? Terrore e crisi fra i produttori di auto europei, specialmente tra i nostri amici tedeschi, che tanto adorano i fornitori “locali”, quei mitici “Tier 1” dai quali pretendono qualità e affidabilità, salvo poi ritrovarsi incastrati con produzioni spostate in tutta Asia e grane politiche annesse.
L’Associazione Europea dei Produttori di Auto (ACEA), in un raro momento di chiarezza, ha ammonito che le linee di assemblaggio stanno per fermarsi da un momento all’altro, a quattro anni da quel celebre benvenuto chiamato pandemia, che già ci aveva insegnato quanto fossero fragili le catene globali. La direttrice generale Sigrid de Vries ha espresso un concetto semplice, quanto mai necessario:
“Siamo prossimi a interruzioni sulle linee di produzione. Invitiamo tutti a intensificare gli sforzi per trovare una soluzione diplomatica a questa situazione critica.”
Insomma, tutto molto zen, come se bastasse una telefonata tra boss mondiali per sistemare il pasticcio creato da interessi incrociati, aziende inaffidabili e governi che giocano a Risiko con l’approvvigionamento di chip essenziali. Nel frattempo, i produttori di automobili possono solo incrociare le dita, riorganizzare le “war room” e sperare che il prossimo episodio di questa soap internazionale abbia un finale meno amaro.
Il portavoce della Nexperia, sempre incredibilmente conciso e diplomatico, ha richiamato una dichiarazione precedente in cui l’azienda spiega come sta cercando una graziosa esenzione alle restrizioni sulle esportazioni, nel frattempo tenta disperatamente di tamponare i guasti causati da questa decisione da far tremare i polsi.
Nel frattempo, la voce della Wingtech non si è fatta attendere: un autentico j’accuse contro il governo olandese, accusato di giocare sporco e di mettere a rischio il diritto alla proprietà aziendale. Testuale, dicono che soltanto “restituendo il controllo e i diritti di proprietà agli azionisti legittimi e alla direzione, e smettendo con queste ingerenze politiche nella governance aziendale, il governo olandese potrà sperare di lavare la macchia sulla sua reputazione e abbassare la tensione internazionale. Ah, e magari anche proteggere la propria sicurezza economica e quella europea.”
La situazione fluida delle industrie automobilistiche
Honda ha già cominciato a tagliare la produzione in tutte le principali fabbriche nordamericane, spargendo il disagio lungo gli Stati Uniti, il Canada e il Messico, come uno tsunami di carenza componenti. Del resto, gestire un “problema di forniture di semiconduttori a livello industriale” è proprio la frase da pronunciarsi quando sui numeri economici si rischia il disastro. Così, la casa giapponese si è arresa a una “situazione fluida”, un modo elegante per dire che il problema cambia volentieri direzione e che non si sa bene che pesci prendere.
E attenzione, perché se non si trova una soluzione – magari magica? – anche gli altri marchi automobilistici rischiano di vedere la propria catena di montaggio bloccata sul più bello.
Jim Farley, l’AD di Ford Motor, ha confessato al mondo intero che il problema dei chip è stato uno dei piatti forti della sua visita a Washington. Ovviamente, è una questione politica, perché sennò che gusto c’è? Nel frattempo, l’azienda “sta lavorando con le amministrazioni di USA e Cina per rimediare”, come se la geopolitica fosse un semplice caffè da sorseggiare durante le riunioni.
La sintesi di Farley è dolceamara: “È un problema dell’intera industria. Serve una soluzione rapida per evitare perdite di produzione nel quarto trimestre.” Nel frattempo, però, loro si vantano di essere diventati campioni nel massimizzare l’acquisto di chip dopo il picco di crisi del 2021: più o meno come chi si allena a nuotare dopo aver imparato a galleggiare in mezzo a uno tsunami.
Anche Mary Barra, a capo di General Motors, si è allineata al coro, definendo tutto “un problema dell’industria” risolvibile “presto, si spera”. Con un lieve sussurro da retorica aziendale rassicurante, afferma che “ci sono squadre che lavorano 24 ore su 24 per limitare i danni”. E comunque, ripete “la situazione è molto fluida”, forse più di uno specchio d’acqua in tempesta, e ci aggiorneranno via via. Che sollievo!
Se pensate che sia finita qui, non avete ancora sentito i CEO di Volvo e Mercedes-Benz, che si sono uniti alla festa per puntualizzare che la faccenda è “politicamente indotta”. Come dire che le colpe si spostano con la naturalezza di un passaggio di guerra civile, e la soluzione dipende principalmente dai governi di Stati Uniti e Cina, mentre l’Europa, come sempre, si ritrova a fare da tappezzeria in questa tragicommedia internazionale.
Ola Källenius, CEO di Mercedes-Benz, non ha potuto fare a meno di sottolineare durante una conference call che questa “è una situazione provocata dalla politica, con una soluzione che risiede nel gioco delle diplomazie”, lasciando intendere che il resto delle aziende può solo attendere e pregare.



