Le compagnie minerarie si leccano i baffi di fronte all’orgia di investimenti provenienti dal Medio Oriente

Le compagnie minerarie si leccano i baffi di fronte all’orgia di investimenti provenienti dal Medio Oriente

Che sorpresa, il Medio Oriente si è improvvisamente innamorato dei minerali rari, quei materiali tanto essenziali alla transizione energetica quanto difficili da reperire senza rischiare crisi di approvvigionamento. Oro, rame, litio, cobalto, elementi delle terre rare: una lista di metalli che adesso fanno girare la testa ai potentati del Golfo, nonostante la mancanza di giacimenti propri. Ma chi se ne importa, se si può giocare d’anticipo e infilarsi nelle fila del business globale con un po’ di soldi e pretese?

Tony Sage, CEO di Critical Metals, una società quotata negli Stati Uniti specializzata in terre rare, ha ammesso candidamente durante un viaggio d’affari in Medio Oriente: “L’interesse qui è fenomenale”.

“Non me lo aspettavo, dato che, sapete, non possono mica estrarle. Qui non c’è praticamente nulla da scoprire, ma vogliono comunque partecipare a valle.”

Quale modo migliore per mettere in scena questo nuovo teatro d’affari se non radunando politici, imprenditori e speculatori alla Future Investment Initiative di Riyadh, elegantemente soprannominata “Davos nel Deserto”? Un evento annuale con tema nobile e forse un po’ ironico: “La chiave per la prosperità: aprire nuove frontiere di crescita”. E naturalmente, tra un cocktail e l’altro, si parlerà d’intelligenza artificiale, perché il ricco regno petrolifero non perde occasione per ricordarci quanto voglia smarcarsi dal petrolio. Immagino che il sogno sia: diventare i padroni anche quella frontiera.

Nel frattempo, lontano dal deserto, in California, una ruspa carica minerale alla miniera di terre rare di Mountain Pass. Scenari lontani ma con un unico filo conduttore: la corsa ai minerali critici.

Gli esperti notano con un certo stupore che negli Emirati, in Arabia Saudita e dintorni si sta facendo sul serio. Non bastano i giacimenti inesistenti, si punta a usare la potenza finanziaria e la posizione geografica per frammentare e spartirsi il mercato dei minerali critici, tradizionalmente dominato dagli attori occidentali. Il piano? Accordi strategici, acquisizioni mirate e partnership internazionali, con la faccia tosta di proporsi come partner “alternativi” al solito Occidente che ci ha sempre spiegato come vanno le cose.

«Abbiamo persino stretto un accordo con il Gruppo Obeikan dell’Arabia Saudita», annuncia fiero Critical Metals, permettendo così la costruzione in medio oriente di un impianto per processare idrossido di litio su larga scala. Fantastico, una titanica spinta strategica che fa sembrare banale la ricerca di depositi minerari, quando basta mettere mano al portafoglio.

La spinta strategica dietro l’interesse per i minerali rari

Kevin Das, consulente tecnico senior di New Frontier Minerals, una società australiana dedicata soprattutto alle terre rare, ha individuato la vera spinta dietro a questo interesse crescente: l’intelligenza artificiale. Sì, proprio quel campo che dovrebbe trasformare il mondo e, guarda caso, far lievitare la domanda di questi elementi tanto specialistici quanto difficili da reperire.

«Non stupisce affatto che non si veda più l’interesse solo in Occidente, ma che si stia estendendo anche ai Paesi del Golfo. La ragione è semplice: stiamo entrando nell’era dell’IA», ha detto Das alla CNBC.

«Con la robotica che prenderà piede, ogni singolo robot avrà bisogno di queste terre rare. E credetemi, l’offerta si farà solo più stretta.»

Elementi chiave nel gioco geopolitico tra Stati Uniti e Cina, le terre rare sono materiale prezioso in questa partita tra titani. Per non parlare dell’ampio scalpore mediatico che ha suscitato la prospettiva – quasi una fiaba – che la Cina potesse tempisticamente rimuovere alcune barriere all’esportazione di questi materiali in vista di un summit tra Donald Trump e Xi Jinping. In effetti, elementi magnetici con nomi da fantascienza che trovano spazio sui camion autonomi, nei robot o negli armamenti non potevano mancare nello scacchiere diplomatico più spietato.

Shaun Bunn, amministratore delegato della società quotata londinese Empire Metals, non nasconde il proprio entusiasmo per l’attenzione ricevuta dagli investitori mediorientali.

«Credo che questa attenzione sia perfettamente in linea con la strategia del regno per diversificare l’economia, riducendo la dipendenza dal petrolio. Certo, il greggio non sparirà da un giorno all’altro, ma si può sempre iniziare a guardare oltre…»

Quindi, mentre il mondo si avvia – tra ironie e giochi di potere – verso la nuova frontiera energetica, il Medio Oriente fa i calcoli e schiera la sua posta in gioco: soldi, ambizione e, ovviamente, qualche briefing ben organizzato nei lussuosi saloni di Riyadh. Dopo tutto, nessuno vuole rimanere a guardare mentre altri crescono sulle spalle di mercati che un tempo sembravano inviolabili.

Il petrolio non è più la gallina dalle uova d’oro, almeno per ora, ma non temete: i protagonisti del Golfo stanno correndo ai ripari, cercando di diversificare con le loro mirabolanti ambizioni sulle materie prime critiche.

Sì, proprio così, quei Paesi che per anni hanno avuto il coltello dalla parte del manico con il petrolio ora vogliono farsi largo anche nel mercato delle materie prime essenziali per le tecnologie del futuro. Peccato che, come hanno ben sottolineato gli analisti, il loro ruolo sia ancora da comprimari.

La giornalista Asna Wajid, che si fa sentire dall’istituto IISS, è più che chiara: molte delle iniziative di mining di Arabia Saudita sono ancora in fase embrionale o addirittura solo su carta. E, ciliegina sulla torta, questi signori dipendono ancora dai partner stranieri per il know-how. Quindi, a meno che non abbiate una macchina del tempo, ci vorranno anni prima che l’Arabia Saudita e i vicini del Golfo possano scalfire il predominio cinese o soddisfare pienamente le esigenze occidentali.

Il bello è che l’Occidente, che si lamenta di dipendere troppo dalla Cina, potrebbe ritrovarsi a cambiare un padrone con un altro. Perché, ricordiamolo, i Paesi del Golfo hanno già un enorme potere strategico grazie alle loro riserve di petrolio e gas, e non hanno certo intenzione di mollare il colpo facilmente.

La Cina, intanto, resta il dominatore incontrastato nel commercio delle materie prime critiche: produce circa il 70% delle terre rare del mondo e ne processa quasi il 90%. Tradotto, la Cina importa materiali da altri Paesi per poi rielaborarli a suo piacimento, mantenendo così un controllo totale sulla catena del valore.

Le autorità statunitensi non hanno nascosto la loro crescente preoccupazione per questo dominio quasi incontrastato, vista la spinta globale verso fonti di energia più sostenibili. Per loro, la dipendenza cinese da materie prime essenziali si traduce in un rischio strategico che deve essere fronteggiato al più presto. Bela sfida, considerando che le alternative sembrano solo vapori di miraggi nel deserto del Golfo.

Le Contraddizioni del Futuro Minerario dei Paesi del Golfo

La narrazione ufficiale racconta che i Paesi del Golfo vogliono trasformarsi, diventare “green”, evolversi, insomma, uscire dall’età del petrolio come se fosse stata solo una brutale parentesi storica. Peccato che la realtà sia un po’ diversa: non solo non hanno ancora il know-how necessario, ma si trovano davanti una montagna di sfide che li rendono, è proprio il caso di dirlo, “minerali grezzi”.

Questo mentre la nomea di potenze energetiche rischia di trasformarsi in un soprannome da bar, perché senza la capacità di processare e valorizzare queste materie prime, continueranno a fare la parte degli eterni consumatori e dei subalterni nelle catene globali di produzione.

Noi spettatori possiamo solo mostrare un sorriso ironico davanti a questo valzer di promesse e ambizioni, consapevoli che la vera partita si gioca altrove: in Cina, ancora e sempre. La quale, nonostante tutti i drammi geopolitici, ha ancora ben saldo il timone di una risorsa strategica fondamentale, mentre gli altri cercano di scalfirlo, armati più di speranza che di sostanza.

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