Invece di limitarsi a sfruttare qualche brevetto miracoloso, questa azienda svizzera ha deciso di tenersi occupata comprando oltre 35 società nell’ultimo anno. L’ultima mossa da maestro? Un’acquisizione da quasi 12 miliardi di dollari, quella della biotech americana Avidity Biosciences, che dovrebbe garantirle un futuro pieno di farmaci sperimentali promettenti. Eccoli lì, gli investimenti di chi sa che, tra qualche anno, due su tre farmaci di punta di Avidity potrebbero fruttare miliardi a palate.
Vas Narasimhan ha detto:
“Siamo guidati dalla scienza e dalla tecnologia, e in questo caso si tratta di un abbinamento perfetto. Guardando al nostro flusso di cassa libero che si avvicina ai 20 miliardi di dollari all’anno, abbiamo il potere di fare operazioni come questa e rinforzare il profilo di crescita della società.”
La solita favola del denaro che scorre a fiumi, mentre le vendite nel terzo trimestre toccano i 13,9 miliardi di dollari, in crescita del 7%. Il reddito netto è addirittura salito del 25% a 3,9 miliardi, peccato che gli analisti si aspettassero un po’ di più, precisamente 4,4 miliardi. Non tutti possono essere così ottimisti, vero?
Naturalmente, questa notizia ha fatto scendere le azioni Novartis del 3,4% all’apertura della borsa di Zurigo. Ma non preoccupatevi, da gennaio sono ancora cresciute del 17%, ben più del modesto 8% dell’indice svizzero. Del resto, non si può avere tutto dalla vita, solo qualche miracolo.
Qual è il segreto di tanta crescita? Semplice: farmaci anti-cancro come Kisqali, Pluvicto e Scemblix, affiancati dal farmaco per la sclerosi multipla Kesimpta. Tutti con un aumento di fatturato che fa invidia a qualsiasi start-up tecnologica.
Questo straordinario trend positivo ha spinto l’azienda a rialzare le previsioni di crescita per ben dieci trimestri consecutivi, di cui due solo quest’anno. Gli analisti di UBS aspettavano un’ulteriore spinta in questa tornata. Indovinate? Nessun cambio di rotta: le stime restano su una crescita delle vendite a “una percentuale elevata a una cifra” e dei profitti operativi in “bassa doppia cifra”. Quel tanto che basta per sfuggire all’insoddisfazione generale.
Naturalmente, c’è anche chi fa piangere: i farmaci Entresto, Promacta e Tasigna stanno perdendo l’esclusività negli Stati Uniti, un piccolo dettaglio che ha tolto ben 7 punti percentuali di crescita, mentre le aggiustature sui ricavi, soprattutto negli USA, hanno tolto un altro paio di punti percentuali per via dei prezzi, come se fosse un enorme, pittoresco gioco di sottrazioni.
Prezzi farmaci USA: Il grande spettacolo delle promesse
Gli investitori hanno lo sguardo incollato su ogni nuovo aggiornamento globale sui prezzi dei farmaci e sulle mirabolanti iniziative di Donald Trump per ridurli negli Stati Uniti. Mentre la realtà è che le grandi case farmaceutiche come Pfizer e AstraZeneca hanno siglato un accordo denominato “nazione più favorita” (MFN) con l’amministrazione statunitense, che dovrebbe miracolosamente tagliare i prezzi dei farmaci negli USA legandoli a quelli molto più bassi all’estero.
Il bello? Questo “miracolo” garantisce a Pfizer e AstraZeneca una pausa di tre anni dalle tariffe punitive, cioè un vero e proprio salvadanaio momentaneo. Gli analisti di UBS si aspettano che presto anche Novartis salti sul carrozzone per un accordo simile e sono curiosi di conoscere l’opinione dell’azienda su come questo potrebbe influire sugli utili dal 2026 in poi.
A settembre Novartis aveva addirittura promesso di eliminare le differenze di prezzo tra USA e altri paesi industrializzati. Un colpo di scena degno di Hollywood.
Quando gli è stato chiesto dei famigerati accordi MFN di Pfizer e AstraZeneca, Vas Narasimhan ha risposto candidamente di aver intrattenuto dialoghi con la Casa Bianca dall’inizio dell’anno.
“Stiamo ovviamente cercando di trovare una soluzione ai problemi che ci hanno posto. Inoltre, stiamo anche tentando di affrontare alcune questioni strutturali più grandi… al di fuori degli Stati Uniti, l’innovazione non viene adeguatamente premiata.”
Ha proseguito a spiegare che se dovesse essere raggiunto un accordo con gli USA e i prezzi dovessero calare, ciò porterebbe a “meno lanci di farmaci nei mercati pubblici, nei paesi target fuori dagli Stati Uniti”.
“Credo che i prezzi negli USA si aggiusteranno, ma in modo modesto. Il vero problema sarà che, a meno che paesi esteri – specialmente quelli su cui l’amministrazione americana sta puntando, come il G7 più Svizzera e Danimarca – non alzino i prezzi per premiare l’innovazione e tenerli allineati con quelli USA, le aziende non lanceranno i propri farmaci nei mercati pubblici di quei paesi.”
E per concludere il siparietto, a settembre Novartis ha assicurato di non temere la tariffa del 100% sull’export di prodotti farmaceutici con marchio annunciata dalla Casa Bianca, grazie a un robusto investimento da 23 miliardi di dollari nell’infrastruttura americana. Un modo furbo per mettere un cappello da cowboy sulla testa di questo gigante farmaceutico.



