Le relazioni tra Stati Uniti e Unione Europea quest’anno sono state un vero e proprio spettacolo di contraddizioni, con litigi su come sostenere l’Ucraina, tensioni commerciali e tariffe doganali che hanno dominato un periodo diplomatico da brividi tra le due grandi potenze. Ma, ahimè, nel grottesco teatrino della guerra in Ucraina, quella frustrazione condivisa e il sospetto verso il rifiuto di Russia di sedersi al tavolo dei negoziati ha avuto il magico potere di avvicinare Washington e Bruxelles.
Questa settimana, come in una di quelle commedie dell’assurdo in cui tutti improvvisamente si mettono d’accordo, U.S.A. e U.E. hanno sfoggiato fronte unito annunciando pacchetti di sanzioni complementari mirati all’industria petrolifera e del gas russa. Sembra quasi che il nemico comune funzioni bene, almeno politicamente.
Andrew Puzder, ambasciatore statunitense presso l’UE, ci ha detto, con tutta la grazia di un diplomatico incaricato di vendere speranza in un disastro:
“Il presidente Trump è stato categorico: vuole vedere la fine di questa guerra… Ma quando le trattative non vanno come previsto, è necessario intensificare la pressione.”
Ah, che novità! Non l’avevamo mai sentita prima. Puzder poi ha sottolineato, con un ottimismo che rasenta il grottesco, che le sanzioni quasi simultanee rappresentano “un segnale che dobbiamo aumentare i giri. Speriamo che Vladimir Putin riceva il messaggio e capisca che la guerra deve finire. Finora sembra che il messaggio non gli sia arrivato, ma speriamo che adesso sia chiaro”.
Il diplomatico non ha potuto evitare di tirare fuori l’ormai classico “bene ma non sempre d’accordo” sulla relazione transatlantica, chiarendo che, almeno su altri dossier geopolitici ed economici, l’U.S.A. e l’U.E. sembrano camminare – guarda un po’ – nella stessa direzione. I due giganti si scontrano, certo, ma sempre con “belle intenzioni”.
Il mercoledì infernale, con il Tesoro americano che annuncia nuove misure punitive contro colossi petroliferi russi come Rosneft e Lukoil, e l’U.E. che segue a ruota con il suo diciannovesimo pacchetto di sanzioni, vietando le importazioni di gas naturale liquefatto russo e colpendo industria finanziaria e militare di Mosca, è stato applaudito a gran voce da Kiev e Bruxelles. Un plauso alquanto sospetto, visto il recente teatrino di Trump che pareva schierarsi senza mezzi termini dalla parte del Cremlino, suggerendo non proprio diplomaticamente che l’Ucraina dovrebbe cedere territori occupati per un’ipotetica pace.
Ma poi, nel colpo di scena più hollywoodiano dell’anno, il presidente americano ha cambiato radicalmente registro, dichiarando:
“Ho capito che le trattative con Putin non portano da nessuna parte, così ho deciso di cancellare il vertice che avrebbe dovuto tenersi in Ungheria fra qualche settimana.”
Il risultato? Mosca ha risposto con un silenzio degno di una brutta recita, evitando accuratamente qualsiasi commento. In pratica, sanzioni, critiche e cancellazioni di incontri sono la nuova routine diplomatica. Fantastico.
L’ambasciatore Puzder ha poi fatto notare che, durante la sua permanenza al posto di comando, ha visto un crescente allineamento tra U.S.A. e Unione Europea anche su altri dossier spinati quali Cina e immigrazione. Un grande passo avanti, almeno secondo lui.
Ha pure lodato l’impegno di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, per aver ottenuto un accordo commerciale “migliore di quello raggiunto con qualsiasi altro Paese da Trump”. Immaginate un elogio con tanto di standing ovation da un presidente notoriamente poco diplomatico.
Un inizio col botto… e qualche tono sopra le righe
Va ricordato che all’inizio dell’anno, appena Trump è tornato a occupare il suo ufficio, ha subito puntato il dito verso l’Europa. L’accusa? L’Unione Europea applica pratiche commerciali vergognosamente sleali, con quel surplus commerciale che, a suo avviso, danneggia gli Stati Uniti. Un sospetto che, nonostante le smentite ufficiali dell’U.E., trova qualche fondatezza nei numeri.
Se si osservano le statistiche del Consiglio Europeo per il 2024, emerge come il totale degli scambi commerciali tra U.E. e U.S.A. sfiori i 1,68 trilioni di euro: un vero e proprio binge economico. Peccato che l’Europa faccia il boom con i beni, ma poi giochi in difesa sui servizi, generando un deficit in quel comparto. Mettendo tutto insieme, il risultato finale è un surplus complessivo di circa 50 miliardi di euro, roba da far girare la testa anche ai più pragmatici.
Questi numeri hanno fornito la scusa perfetta a Trump per imporre dapprima una tariffa del 30% sulle merci europee, scatenando un fisiologico malumore a Bruxelles. Successivamente ha avuto la magnanimità di ridurla al 15%, una cifra sempre più alta del 10% che gli europei avevano sperato di importare. Tanto per ridere un po’.
Come ciliegina sulla torta, l’U.E. ha accettato di acquistare energia americana per 750 miliardi di dollari e di investire altri 600 miliardi negli Stati Uniti: una handshake economica che profuma di compromesso elegante… o di resa strategica a seconda dei punti di vista.
L’ambasciatore Puzder, come fosse un gelataio entusiasta, ha concluso affermando che il futuro dei rapporti commerciali è roseo ora che questo schizzo di accordo si sta trasformando in un documento definitivo:
“Una volta trasformato questo framework in un accordo finale, porterà enormi benefici a entrambi i Paesi e rinsalderà una grande relazione transatlantica che dura da 250 anni.”
Detto ciò, il copione è pronto: tra sanzioni che si fanno a vicenda, dichiarazioni da campagna elettorale e improbabili slanci di armonia, la commedia U.S.A.–U.E. continua a regalarci sequenze da manuale di ironia geopolitica.



