Il grande annuncio è arrivato dal Dipartimento del Tesoro USA in pieno stile “colpisci duro e lascia il tempo di organizzarsi”. La scadenza fissata per mettere la parola fine alle attività con le due compagnie è il 21 novembre, sostanzialmente un regalo di quasi un mese per concludere o disdire accordi già in piedi. Pare proprio una strategia studiata a tavolino per evitare il caos totale – almeno per ora – mentre si premono i bulloni sulle casse del Cremlino.
Bob McNally, presidente del Rapidan Energy Group, ci rassicura: è solo una questione di dosare la pressione senza far saltare tutto immediatamente. Che magnanimità.
Il Cuore Energetico Russo Continua a Pulsare (Per Ora)
Rosneft e Lukoil detengono circa la metà dei più di 4 milioni di barili al giorno di esportazioni di greggio russe. E a chi vanno queste meravigliose forniture? Ovviamente ai mercati asiatici, che hanno abbracciato questo petrolio a prezzo calmierato fin dal 2022 quando l’Occidente ha imposto quel famoso tetto di 60 dollari.
Solo a settembre, la Cina ha importato circa 2 milioni di barili al giorno, mentre l’India ne ha richiesti 1,6 milioni. Insomma, un bel colpo per i fan del libero mercato.
Muyu Xu, analista senior di petrolio grezzo, non tratteggia certo uno scenario da picnic: questa “escalation potenzialmente molto significativa” potrebbe far sì che gli acquirenti principali riducano drasticamente i loro acquisti, o addirittura li blocchino del tutto nel breve termine. Che sollievo per il pianeta!
Il Fardello delle Raffinerie Indiane e Cinesi
In India, l’impatto delle sanzioni è una doccia gelata per molte raffinerie statali: Indian Oil, Bharat Petroleum, Hindustan Petroleum, e anche giganti privati come Reliance Industries e Oil and Natural Gas Corp rischiano di trovarsi in un bel pasticcio.
Persino Rosneft, detentrice quasi del 50% di Nayara Energy Ltd. che gestisce la raffineria di Vadinar, potrebbe fare fatica a commerciare prodotti raffinati, non solo a procacciarsi petrolio greggio.
Per non farsi mancare niente, le raffinerie indiane stanno ora frugando nel loro archivio di documenti per assicurarsi che nessuna delle forniture arrivi direttamente da Rosneft o Lukoil. Una caccia al tesoro burocratica nella speranza di trovare un alibi.
Emma Li, analista di mercato presso Vortexa, suggerisce con molto tatto che l’India probabilmente farà marcia indietro rispetto agli accordi marittimi a termine, mentre i flussi via pipeline della Cina potrebbero continuare senza troppi problemi. Poco cambia per le raffinerie cinesi, comunque molto caute nel toccare qualsiasi carico sospetto, tutte rigorosamente statali, ovviamente.
La China National Petroleum Corporation ha accordi con Rosneft soltanto per infrastrutture via pipeline, senza contratti a lungo termine per greggio trasportato via mare. Tradotto: qualche piccolo nodo di troppo ma nulla di insormontabile.
Muyu Xu non si sbilancia troppo, ma ipotizza con bonaria freddezza un “interruzione temporanea e immediata” delle forniture di greggio russo. Insomma, nemmeno troppo drastico, tanto poi si troverà sempre qualche trucchetto.
Lo Scopo Nascosto Dietro le Sanzioni
Perché tutto questo teatro? Ovviamente per creare nuovi, fastidiosi intoppi nel pagamento e nel trasporto di quel prezioso oro nero russo, con costi aggiuntivi e complicazioni che fanno tanto “dolore al portafoglio del Cremlino”. Che idee geniali!
Bob McNally lo dice senza giri di parole: l’obiettivo è stringere il cappio attorno ai profitti di Mosca senza bloccare del tutto le esportazioni. Ah, la delicatezza americana nel guidare questa operazione dall’aura di equilibrio quasi zen.
Nel frattempo, i diretti interessati come Indian Oil o Reliance Industries hanno fatto il classico silenzio da spiaggia quando sono stati interpellati. Il miglior modo per esprimere il proprio pensiero, ovviamente.
Il Dilemma Energetico di Pechino e Nuova Delhi
Per Cina e India la prospettiva è tutt’altro che rosea: se vogliono assicurarsi il flusso di greggio, dovranno rivolgersi quasi esclusivamente a fornitori come gli Stati Uniti e i paesi dell’OPEC. Non illudetevi, cari consumatori, questa mossa non farà che far salire i prezzi.
John Kilduff, partner di Again Capital, sottolinea infatti che, nonostante ci sia qualche capacità inutilizzata soprattutto in Arabia Saudita, la domanda globale per forniture “non sanzionate” farà inevitabilmente lievitare i costi.
Non sorprende che i prezzi del petrolio abbiano fatto un balzo del 5%, per poi assestarsi a rincari più contenuti pochi istanti dopo l’annuncio di Trump. Il Brent è salito a quasi 65 dollari al barile, e il greggio USA ha superato i 60 dollari. Che tempismo perfetto.
Vandana Hari, fondatrice di Vanda Insights, ci ricorda poi che la via d’uscita per Cina e India è un ritorno massiccio al petrolio mediorientale. Magari più facile a dirsi che a farsi, vista la complessità geopolitica.
La Grande Svolta o Solo un Blocco Totale?
Queste nuove imposizioni si discostano nettamente dal sistema “tetto al prezzo” adottato dal G7, che permetteva comunque l’acquisto di petrolio russo fintanto che il prezzo restava sotto i 60 dollari. Ora la musica è: “non compri, punto”. Un divieto totale, senza mezzi termini.
John Kilduff commenta con la sarcasmo che merita l’epoca: “È un vero e proprio blocco totale.” E se vi stavate chiedendo se Washington si preoccupa minimamente di sembrare a sua volta un “paper tiger”, ecco la risposta:
Vandana Hari ha dichiarato:
“Non c’è nulla di più in vista di questo, e Washington non può rischiare di apparire come un tigrotto di carta. Ma la domanda più grande rimane: le sanzioni reggeranno davvero? Una semplice telefonata tra Trump e Putin potrebbe ribaltare la situazione di 180 gradi ancora una volta.”
Insomma, in questo gioco di scacchi energetico, il prossimo mossa potrebbe arrivare da un cablaggio telefonico. Nel frattempo, resta il grande classico: colpire duro ma non troppo, far finta di niente ma con il pugno di ferro. Una commedia che dura, ormai, da troppi atti.



