Mercoledì scorso, la Russia ha messo in atto una febbrile gara di rattoppamenti per salvare i preparativi di una riunione che, a quanto pare, non doveva neanche iniziare. Trump ha dichiarato, con la delicatezza che lo contraddistingue, di non voler “perdere tempo” in un incontro con Putin precedentemente programmato in Ungheria. Tutto questo mentre si faceva chiaro che Mosca non gradisce affatto l’idea di un cessate il fuoco immediato in Ucraina.
In seguito a una telefonata tra il segretario di stato americano, Marco Rubio, e il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, Trump ha lanciato un lapidario “Vedremo cosa succede”, liquefacendo ogni altra speranza di un vertice imminente.
Dal canto suo, appena arrivato davanti ai giornalisti a Mosca, il diplomatico russo non ha perso occasione per ripetere che la posizione della Russia rimane immutata rispetto all’incontro di agosto in Alaska, ovvero: pace sì, ma non quella “istantanea” che tutti auspicano, perché sarebbe solo un bluff finito male.
Ovviamente, dopo questi “leggerissimi” ripensamenti, il Kremlin si è affrettato — come un bravo pompiere alle prese con un incendio diplomatico — a sottolineare che le date per l’incontro a Budapest “non sono mai state stabilite” ma i preparativi vanno avanti con calma felpata. Insomma, niente panico, solo un po’ di gossip sparso e alcune bugie ben dosate.
Dmitry Peskov, portavoce del presidente Putin, ha gelidamente dichiarato alla stampa:
“Non c’è nulla di definitivo; serve tempo e preparazione prima di qualsiasi cosa. Le voci sono solo rumor e quasi tutte sono false.”
Il classico dietrofront americano: il film che non stanca mai
Questa sospensione del dialogo con la Russia è il solito spettacolo di mille giravolte e volteggi della politica americana, degno di un film d’azione a basso budget. Dopo mesi di ambiguità, cambi di rotta, e soprattutto tanta fuffa, l’amministrazione USA non si decide su una linea chiara riguardo al conflitto in Ucraina e alle sue soluzioni.
A Mosca, ovviamente, la risata è stata più di gusto che preoccupazione: chi non si godrebbe vedere il presidente Volodymyr Zelenskyy uscire dal tanto acclamato incontro con Trump con le tasche vuote? Niente missili Tomahawk a lungo raggio, nessun grosso colpo da mettere sul tavolo, solo qualche parola e il malcelato timore di dover capitolare su territorio ucraino occupato.
Non si può non notare l’assist imponente fatto da Putin, che con una telefonata “molto produttiva” (come da lui definita) ha messo il sigillo sulle tensioni, chiudendo la scena a favore della sua strategia mediatico-politica.
Sembra quasi un balletto dove l’orbita di sostegno a Zelenskyy vacilla, e l’effetto domino è ben visibile: Trump ha espresso la sua opinione sul Donbas con questa brillante perla di pragmatismo domenicale sull’Air Force One:
“Il Donbas è già tagliato a pezzi. Penso che il 78% dei territori sia nelle mani dei russi. Dovrebbero fermarsi esattamente lì. Basta uccidere gente, tornate a casa e chiudiamo la faccenda.”
Romanticismo puro. Peccato che Ucraina e vari alleati europei, con la grazia e la diplomazia che li contraddistinguono, hanno esitato a lasciar crollare il palazzo e hanno risposto con un comunicato congiunto pieno di quelle care, vecchie frasi fatte sulla sovranità nazionale e sul rispetto dei confini internazionali. Ma ben attenti a non offendere il nuovo sovrano della diplomazia improvvisata.
In sintesi, hanno detto: Sì, sosteniamo l’appello di Trump a fermare i combattimenti e a prendere come base per i negoziati la situazione attuale, ma, per carità, senza cambiare i confini con la forza. Una posizione di comodo che, come sempre, lascia molto spazio a interpretazioni e poca sostanza, dirimente però per chi vuole mantenere la pace almeno a parole.
Il contrattacco della “informazione veritiera” secondo Mosca
Ora però, dopo questa girandola di smentite e scuse, Mosca ha deciso di calare la carta del complotto: secondo loro, le notizie “vere” sono un’invenzione della stampa occidentale. Insomma, se l’informazione è fake news, allora anche le critiche e i fallimenti diplomatici possono essere facilmente archiviati come “rumore di fondo”.
Come dire: il Grande Fratello russo sta guardando, ma solo quello che conviene guardare. Restate sintonizzati, perché tra un passo avanti e due indietro, e tra un “noi vogliamo la pace” e un “cessate il fuoco subito no”, questi giganti del teatro mondiale non smettono mai di regalarci spunti per una risata amara, ma inevitabile.
Nel frattempo, a Mosca, i fedelissimi di Putin non si fanno mancare nulla, accusando i media di spargere “fake news” su una presunta “cancellazione” del summit in Ungheria. Ovviamente, con l’obiettivo infallibile di sabotare l’incontro. Che sorpresa.
Kirill Dmitriev, l’amministratore delegato del Fondo Russo per gli Investimenti Diretti e ambasciatore d’investimenti di Putin, ha commentato su X – la ragnatela sociale controllata – che i media stanno “stravolgendo i commenti sull’immediato futuro per minare il summit.” Ma, udite udite, i preparativi proseguono speditamente.
Come in una sceneggiata teatrale, la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha aggiunto il suo tocco teatrale a bordo delle onde di Radio Sputnik. Parole che definiscono questo dibattito mediatico come un vero e proprio “circo dell’informazione,” uno spettacolo che, ovviamente, “non si è ancora concluso.” Insomma, si tratta di una girandola di “fake leaks,” “auto-correzioni,” conferme e smentite, il tutto pensato con cura per fornire il massimo supporto informativo al buon Zelenskyy. Peccato che tutto questo teatrino sia tradotto per l’Occidente da NBC News, l’altra parte del giochino.
È davvero confortante sapere che tra giocatori globali del calibro dei due presidenti tutto è gestito con professionalità e sobrietà, mentre intorno ruotano teatrini di falsità, accuse e mezze verità. Perfetto per una guerra mediatica che si svolge tra finti accordi e presunte trattative, tutte rigorosamente spettacolari e ben copiate dal manuale della propaganda più vintage.



