Mercoledì scorso, con il solito entusiasmo da stadio, il Parlamento Europeo ha deciso di dare il via libera ai negoziati con la presidenza danese del Consiglio per bloccare l’importazione di gas e petrolio russi. Ovviamente, tutto parte da un’idea brillante partorita dalle commissioni per il Commercio internazionale e per l’Industria, la ricerca e l’energia, che già il 16 ottobre avevano fatto i compiti e adottato la loro “posizione negoziale”.
La notizia di questa approvazione è stata strillata in Plenaria, aprendo i lavori con il classico annuncio trionfale del mattino, perché niente dice “importante” come un comunicato molto ufficiale in un’aula gremita di gente impegnata a sembrare interessata.
Il teatrino delle prossime mosse
Adesso, con occhi luccicanti e facce serie, i deputati e il Consiglio si accingeranno a discutere per trovare un accordo sulla norma in prima lettura. Pare che i ministri dell’UE abbiano già fatto la loro parte approvando una posizione negoziale—eh sì, perché tutto segue un copione rigidissimo, scritto e riscritto fino alla noia.
Un contesto di rara trasparenza
Tutta questa fretta e determinazione non sono certo casuali. La proposta nasce dall’evidente strategia del Cremlino, che ormai da quasi vent’anni usa l’energia come un simpatico strumento di ricatto. Questa tattica ha raggiunto il picco massimo quando la Russia ha deciso di invadere l’Ucraina su vasta scala nel 2022, trasformando lo strumento di energia in un’arma politica mica da ridere.
Nella lista delle infamie, c’è anche la manipolazione spudorata del mercato: immaginatevi Gazprom che si sveglia una mattina e decide “Oggi riempiamo gli stoccaggi europei a metà, tanto chi se ne accorge?” Poi taglia gasdotti all’improvviso, facendo salire i prezzi dell’energia fino a otto volte quello che si pagava prima che tutto questo caos iniziasse. Comodo, vero?



