Alitalia quattro anni senza decolli e già bruciati 800 milioni per coccolare chi non vola più

Alitalia quattro anni senza decolli e già bruciati 800 milioni per coccolare chi non vola più

Per sostenere gli “eroici” ex dipendenti di Alitalia — quelli non reclutati dalla favolosa Ita Airways e quelli rimasti disoccupati da allora — negli ultimi quattro anni sono stati sborsati quasi 800 milioni di euro. Soldi usati per cassa integrazione e fondi vari, alimentati soprattutto da una deliziosa tassa sui biglietti aerei che pagano tutti i passeggeri ignari. Questi dati, magistralmente recuperati dagli eruditi del Corriere, coprono il periodo da gennaio 2022 a ottobre 2025 e provengono da rendiconti ufficiali e sindacali, quei luoghi dove il realismo fa a pugni con la buonafede.

Insomma, non si tratta solo di una grande compagnia aerea fallita, ma di un vero e proprio buco nero economico che risucchia fondi pubblici e pazienza collettiva, con la scusa di garantire un futuro dignitoso a chi sarebbe dovuto sparire dal mercato del lavoro da tempo.

Altri quattro anni di Naspi: perché accontentarsi del massimo, quando si può raddoppiare?

Negli angoli digitali più intimi delle chat e dei social network, monta la gioia – scusate, la rabbia – dei circa duemila “fortunati sopravvissuti” che hanno ricevuto la letterina di addio con la cessazione della cassa integrazione il 31 ottobre 2025, seguita da un bel licenziamento ben confezionato. La ciliegina sulla torta? Un generoso riconoscimento della Naspi, l’indennità mensile di disoccupazione, esteso fino a quattro anni – sì, avete letto bene: il doppio della durata massima prevista dalle sante regole nazionali.

E indovinate chi finanzierà questa genialata? Il sempre prodigo Fondo straordinario del trasporto aereo, ovviamente. Quel fondo che dovrebbe servire a garantire una qualche parvenza di competitività e innovazione, ma che invece si trasforma in una fonte inesauribile di nuovi e sostanziosi sussidi per chi è già stato ampiamente coccolato negli ultimi anni. Sacrifici posticipati e futuri pagati con il salvadanaio degli italiani volatili.

Questa è la “solidarietà” nel 2025: garantire una pensione anticipata ai disoccupati puntando sui sussidi infiniti, mentre si ignorano completamente le vere cause di un fallimento ciclico e clamoroso. La strategia sembra essere: più soldi, più tempo, meno responsabilità. E la cornice istituzionale applaude, perché dire “no” sarebbe politicamente scomodo.

Il paradosso di un sistema che premia il fallimento

Uno potrebbe pensare che dopo anni di finanziamenti e agevolazioni, qualcuno si sarebbe accorto che l’approccio adesso dovrebbe essere diverso. Magari investire in formazione, creare nuove opportunità o, al limite, puntare sul licenziamento corretto e il riavvio verso altri lavori. Ma no, meglio riciclare lo stesso schema: più sostegno, più sussidi, più spesa pubblica senza alcuna garanzia di risultati concreti.

Il risultato? Un cocktail di inefficienza, sprechi e tanta, tanta ironia involontaria. Come se volessero dirci: “Guardate, qui non si perde tempo a risolvere i problemi, ma si creano “soluzioni” a tempo indeterminato. E se vi sembra assurdo, beh, è solo amministrazione pubblica all’italiana.”

Intanto, i piloti di questa tragicommedia continuano a volare sopra le teste di contribuenti inermi, mentre il conto cresce e la pazienza diminuisce.

Che meraviglia della burocrazia italiana: i calcoli sui fondi stanziati per i lavoratori delle compagnie aeree fallite sono un vero capolavoro di approssimazione. Non basta affidarsi ai numeri ufficiali, è necessario l’intervento miracoloso dei rinomati sindacalisti per tentare di mettere insieme i pezzi. Non ci sorprende affatto che i fondi previsti siano stati evidentemente integrati in corso d’opera, perché in Italia nulla si decide una volta per tutte. Bene così, perché mentre si dice che i soldi sono pochi, qua e là spuntano nuove cifre da stanziare. E tutto questo, ovviamente, con un trattamento diverso per i lavoratori della gloriosa ex compagnia di bandiera, che ha smesso di volare il 15 ottobre 2021, rispetto ai colleghi di altri cadaveri aerei – pardon, di altri vettori come Air Italy e Blue Panorama. Qui la coerenza vola a bassa quota.

I lavoratori ex Alitalia hanno potuto consolarsi con una cassa integrazione ordinaria da circa 1.100 euro lordi al mese. Null’altro che lo stipendio da sogno di un impiegato modello, insomma. Ma non è tutto: hanno anche goduto del Fondo di solidarietà per il trasporto aereo e l’intero sistema aeroportuale. Lo scopo? Far percepire fino all’80% della retribuzione lorda, calcolata sui dodici mesi antecedenti l’inizio della cassa integrazione, per poi scendere gradualmente al misero 60%. Sì, avete capito bene: un nobile tentativo di mantenere il soldo più vicino possibile al “normale”, salvo poi fare marcia indietro come sempre.

Se vi state chiedendo come mai questi soldi piovano dal cielo, ecco la ciliegina sulla torta: il Fondo di solidarietà si alimenta grazie a un perfetto mix di tasse sul lavoro e tasse… sui biglietti aerei. Esatto, ogni passeggero che osa muoversi, italiano o straniero che sia, dà il suo contributo di 1,5 euro sulle loro tasche, in partenza dagli aeroporti nazionali. Questo è inserito nella famosa addizionale comunale, che si aggira intorno a 6,5 o 7,5 euro a biglietto – un piccolo balzello che sembra fare miracoli per il Fondo, almeno sulla carta.

Passiamo al summenzionato miracolo economico post-ITA Airways. Nel 2022, anno fantastico, i lavoratori ex Alitalia da sostenere erano circa 8.000, mentre ITA ne aveva preso a bordo “solo” 2.800. Il resto? Stanziati 212,2 milioni di euro di sostegno al reddito. Ma si sa, in Italia non si lascia mai nulla al caso, quindi dopo questa generosa cifra è arrivata una proroga per altri 63,5 milioni e aggiungete a ciò ben 32,7 milioni di prestazioni integrative – perché mai dovrebbero bastare? Il totale? Un modesto, ridicolo e per nulla esorbitante ammontare di 308,4 milioni di euro. Per i pochi superstiti dell’industria del volo, una vera manna dal cielo.

Le «meraviglie» del trattamento differenziato

Aggiungiamo un pizzico di ironia sul trattamento diverso fra lavoratori di ex compagnie aeree, come Air Italy, Blue Panorama e l’illustre ex Alitalia. Pare che il Parlamento e i sindacati abbiano deciso che non tutti devono soffrire allo stesso modo, né ricevere uguali aiuti economici. Forse qualcuno ha pensato che la storia e la “grandezza” della compagnia di bandiera meritasse più indulgenza, come si fa con i figli viziati. Ma attenzione: questa disparità di trattamento non solo alimenta conflitti e risentimenti tra lavoratori, ma getta parecchie ombre sulla coerenza delle politiche di sostegno. Se il sistema è pensato per soccorrere il settore, non dovrebbe farlo in modo uguale e trasparente? Apparentemente no.

Il Fondo di solidarietà: la “magica” macchina di redistribuzione

Il Fondo, questo sconosciuto, che si alimenta come una fontana senza fondo: una piccola percentuale sulle retribuzioni (lo 0,50%, di cui due terzi a carico dei datori di lavoro e un terzo dei dipendenti del settore) e un’imposizione indiretta sugli ignari passeggeri – 1,5 euro a testa su ogni biglietto. Dunque, un doppio prelievo che avrebbe dovuto garantire sacche di denaro sufficienti per ogni evenienza. Strano, allora, come mai i problemi di fondi ricorrano con una frequenza imbarazzante, e che non si riesca a pianificare niente senza ricorrere alla solita toppa a posteriori.

Le proroghe infinite: il circo dello stallo permanente

Nel 2022, stando ai dati, i lavoratori ex Alitalia erano circa 8.000, con solo 2.800 di loro riassorbiti nel nascente ITA. Per sostenere questa massa di superstiti, si sono stanziati a più riprese centinaia di milioni di euro. Peccato solo che le proroghe continuino a impilarsi, come fossero declamazioni tragiche sul palco di una commedia assurda. Una cosa è certa: per i contribuenti italiani, molti dei quali a rischio indigenti, questi salassi hanno poco di “solidarietà” e molto di paradosso dispendioso.

Chi avrebbe mai pensato che, a ben quattro anni dall’ultimo volo di Alitalia, i contribuenti avrebbero sborsato quasi 800 milioni di euro solo per mantenere a galla i lavoratori rimasti a terra? Un vero capolavoro di gestione e lungimiranza economica, degno di essere studiato nelle migliori scuole di inefficienza.

Non ci resta che ammirare il copione ripetersi nel 2023: la solita sinfonia di proroghe e fondi elargiti a pioggia, seppur con una platea di beneficiari leggermente ridotta – un miracolo statistico, diciamo. Per la proroga della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (Cigs) sono stati messi sul piatto 193,6 milioni di euro, a cui si aggiungono altri 99,9 milioni sotto la definizione altisonante di «prestazioni integrative», giusto per assicurarsi che almeno il 60% della retribuzione lorda sia rispettato. E, perché non finirla di corsa, ecco un extra da 39,1 milioni per coprire le domande tardive. Totale? Soli 332,6 milioni per un anno: nulla da ridire sui nostri amministratori pubblici, evidentemente esperti di numeri così tondi.

Il 2024 non si vuole certo far superare in generosità, nonostante la riduzione dei cassintegrati a circa 2.200 persone. Il governo, in tutta la sua saggezza, ha deciso di stendere un altro bel tappeto di proroghe per dieci mesi: dal 1° gennaio al 31 ottobre ben 51,2 milioni di euro stanziati, più altri 5,8 milioni di prestazioni integrative a carico del fondo di categoria – che poi sono diventati 24,2 milioni. Risultato finale? Un’onesta spesa di 75,4 milioni per mantenere tutto “sottotraccia”.

E non finisce mica qui, perché i sindacati, notoriamente così discreti, ci informano che per i primi dieci mesi del 2025 bisogna mettere in conto altri 60 milioni, senza dimenticare i costosissimi programmi formativi. Perché aggiornare professionalmente e mantenere licenze e qualifiche è fondamentale, soprattutto se qualcuno si è dimenticato di aggiornare un dettaglio: la bancarotta morale di questa storia. Sì, anche questi corsi sono a carico del fondo di sostegno, con la ciliegina di un possibile cofinanziamento dalle Regioni. Una festa per le casse pubbliche, insomma.

Nel mare magnum degli ammortizzatori sociali, la legge italiana è abbastanza chiara: qualunque lavoratore in difficoltà ha diritto a qualche forma di sostegno. Ma per gli ex dipendenti di Alitalia la parola “favoritismo” prende tutto un altro significato. Diversi sindacalisti, evidentemente troppo terrorizzati dal poter perder iscritti, ammettono – rigorosamente anonimi – che il trattamento riservato a questi lavoratori è stato decisamente “particolare”, almeno per non dire ridicolo.

Alitalia, quattro anni dopo l’ultimo volo spesi quasi 800 milioni per sostenere i lavoratori rimasti a terra

Il lusso di un trattamento “favorevole”

Se per un cittadino qualunque la cassa integrazione è una manna caduta dal cielo e niente più, per gli ex dipendenti di Alitalia è stata una vera campagna elettorale finanziaria. Un trattamento preferenziale che fa mettere in discussione non solo l’etica ma anche la sostenibilità del sistema stesso. Quel sistema che dovrebbe invece aiutare a rialzarsi, non a mettere un bel tappeto rosso sotto i piedi.

Alitalia, quattro anni dopo l’ultimo volo spesi quasi 800 milioni per sostenere i lavoratori rimasti a terra

Qualcuno dentro i sindacati sta meditando

Ufficialmente, i sindacati si proclamano fieri della loro “impresa di carità” svolta nei confronti degli ex Alitalia. Ma dietro le quinte, nelle stanze riservate e nei corridoi, si mormora ben altro. Qualcuno, un veterano dal polso fine, si lascia sfuggire un’amara riflessione: l’intera vicenda rischia di entrare nella storia come uno scandalo epocale, il perfetto esempio di come demolire la credibilità stessa di chi dovrebbe tutelare i lavoratori. Sarebbe un peccato solo per i sindacati, perché di certo non mancano gli adepti pronti a trasformare questa tragedia in un capolavoro di teatrino burocratico.

Ah, la favola della valorizzazione delle competenze. Lungi dall’essere un semplice racconto, diventa una vera e propria odissea quando si tratta di competenze specifiche e altamente specializzate all’interno di Alitalia. Un’epopea fatta di tentativi più o meno riusciti, che si incaglia tra fallimenti reiterati e un settore italiano da sempre in balia delle tempeste. La rinascita delle professionalità? Un’impresa titanica, complicata da ogni parametro, a partire dalla durata, fino all’entità del sostegno economico.

«Un doppio stipendio»

Poi c’è l’aspetto più succoso della vicenda: il favoloso mondo del doppio stipendio, o per usare un eufemismo, la perfetta combinazione tra assistenza sociale e lavoro in nero. Alcuni ex dipendenti di Alitalia avrebbero infatti goduto di un bel 80% del loro stipendio, che per molti non era affatto modesto, per anni e anni senza muovere un dito in attività lavorativa. Un racconto fuori dal tempo che farebbe arrossire persino i più accaniti idealisti della previdenza sociale.

E non basta. Nonostante tutto, qualcuno è riuscito persino a svolgere un altro lavoro senza mai dichiararlo, un piccolo capolavoro di ipocrisia burocratica: l’ennesima mano che stringeva l’assegno degli ammortizzatori sociali, mentre l’altra incassava il lauto stipendio extra con metodi, diciamo, poco ortodossi.

Perché? Ma ovviamente per mantenere un tenore di vita da star in pensione anticipata, ovviamente di nascosto, ma con la complicità di… beh, diciamo pure di qualche zona grigia del sistema. I sindacalisti, con quel mix di sconforto e fastidio che li contraddistingue, non esitano a condividere gli insulti degli ex colleghi e iscritti, convinti di essere stati semplicemente venduti al miglior offerente.

Benvenuti nell’ennesima epopea del trasporto aereo, quel meraviglioso mondo dove prezzi delle compagnie, regolamentazioni e lamentele del pubblico si mescolano in un balletto surreale degno di un teatro dell’assurdo. Perché quando si tratta di viaggiare in aereo, aspettatevi l’imprevedibile, l’inverosimile e il ridicolo come parte integrante dell’esperienza.

Provate a comprendere come mai un biglietto per una tratta nazionale possa variare di prezzo più di un’azione in borsa. La spiegazione ufficiale parla di dinamiche di mercato, domanda e offerta, e strategie tariffarie avanzate, ma il risultato finale è che il passeggero medio si trova a rimpiangere il caro vecchio treno, quando almeno quello poveretto qualcosa di logico lo mostrava.

Nel frattempo, le compagnie aeree si trascinano in una competizione senza esclusione di colpi, promettendo comfort e servizi a bordo che puntualmente vengono smascherati da sedili dove a malapena riesci a incastrare le gambe e da uno snack che sarebbe sufficiente per un criceto affamato.

I Fedelissimi Rituali del Viaggiatore

Chi sceglie gli aeroporti spesso ha la sensazione di entrare in una sorta di limbo burocratico dove ogni passaggio richiede iter e documentazioni mai previste. Tra controlli, code infinite e annunci incomprensibili, il passeggero perde più tempo a districarsi nell’inferno dei gate che a godersi il volo stesso.

È affascinante notare come, seppur in anni di splendide parole su innovazione e digitalizzazione, gli aeroporti sembrino aver fatto un patto segreto con il caos organizzativo. Ma state certi che alla fine qualcuno guadagna sempre, anche se non è mai chi vola.

Quando il Prezzo del Biglietto È un Enigma

In una danza incredibilmente complessa, le tariffe si plasmano in base a chissà quali parametri: ora è il momento di aumentare, tra un caldo record e una crisi internazionale di cui solo le compagnie aeree sembrano trarre vantaggio; un giorno dopo, invece, si offrono sconti last minute per riempire i posti rimasti vuoti, come se i consumatori fossero fatti di elastico.

E non dimentichiamo la politica di bagagli a mano e franchigie. Un tempo tutto incluso, oggi è un vero campo minato: pesi, dimensioni, costi extra che variano quasi ogni volta che consulti il sito della compagnia. Se non metti tutto in una zainetto da 20 centimetri, scordati di volare senza pagare un extra che sembra una tassa di lusso.

Servizi a Bordo? Una Lotteria di Prestazioni

I flyer più ottimisti sperano ancora nel miraggio di un caffè decente o di un volo senza ritardi biblici. Eppure, amici miei, la realtà è ben diversa: spesso il “servizio a bordo” si traduce nel riconfezionamento di snack industriali e in una inerzia quasi militare del personale, che più che accompagnatori di viaggio sembrano guardiani di qualche bunker segreto.

Ogni tanto spunta qualche offerta speciale, magari il famoso upgrade di classe, ma è un evento così raro che viaggiare in prima classe rimane una questione di fortuna, o almeno di portafoglio gonfio.

L’Ironia delle Promesse Politiche

Le istituzioni non sono da meno: promettono controlli più severi, tariffe trasparenti e diritti tutelati per i consumatori. Peccato che queste promesse, spesso sbandierate in pompose conferenze stampa, si trasformino in norme complicate che nessuno capisce e che, nella pratica, favoriscono solo i colossi del settore a discapito dei viaggiatori comuni.

In definitiva, il nostro viaggio nell’assurdo mondo del trasporto aereo non può che lasciarci con un’amara riflessione: voliamo sempre più per andare lontano, eppure finiamo puntualmente invischiati in un labirinto di regole inspiegabili e raggiri mascherati da offerte. Ma chi se ne importa, se tanto almeno il panorama dall’alto è sempre garantito, anche se la terra promessa a terra è un’illusione.

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