Trump pronto a mettere fine alla guerra in Ucraina e Mosca già canta vittoria come se fosse fatta

Trump pronto a mettere fine alla guerra in Ucraina e Mosca già canta vittoria come se fosse fatta

Peter Dickinson ha aggiunto con la saggezza di chi vive nel mondo reale:

“Trump ha ora l’occasione di dimostrare al suo omologo russo che non è uno dei soliti leader occidentali facilmente intimiditi, ma è pronto ad alzare la pressione su Mosca fino a quando Putin accetterà di cercare la pace.”

Per chi nutre dubbi su questa strategia temeraria, Dickinson finalmente chiede obiettività, riconoscendo che questo tipo di fermezza è forse l’unica via praticabile per archiviare questo macabro teatrino bellico.

Che scena degna di un film politico di serie B: Vladimir Putin che scruta con il binocolo l’esercitazione militare Tsentr-2019 in Russia, e intanto la guerra in Ucraina continua a far parlare di sé quasi come un banalissimo sottofondo. Ma attenzione, perché la recente distrazione mediatica del conflitto israelo-palestinese ha prodotto un effetto collaterale paradossale: ora che da quelle parti c’è una fragile tregua, Donald Trump ha deciso che è il momento di spostare la sua attenzione e provare a chiudere la faccenda ucraina, perché, si sa, tra una telefonata congratulatoria e un tweet, la pace è a portata di mano.

Infatti, giovedì scorso il nostro ex-inquilino della Casa Bianca ha annunciato che un incontro con il sempre sorridente Putin è alle porte, niente meno che a Budapest, la capitale ungherese. Sembra che dopo una chiacchierata telefonica nella quale il russo gli ha fatto i complimenti per la “grande impresa di pacificazione in Medio Oriente”, ora i due debbano vedersi di persona per mettere fine a questa “ingloriosa” guerra tra Russia e Ucraina. Ironia della sorte: Trump parla di grandi progressi dopo la telefonata, e daje, la pace è dietro l’angolo.

Questa sarà la seconda volta che i due si incontrano durante il secondo mandato di Trump (sì, sognare è gratis) e sembra che possa accadere entro un paio di settimane. Insomma, meglio aggiornarsi ogni tanto su cosa succede nel mondo da parte della più grande potenza, anche se il concetto di “risoluzione rapida” della guerra sembra un film già visto – e sfortunatamente top flop.

I missile Tomahawk: la minaccia a lunga gittata

Come se bastasse minacciare con vecchi razzi a lunga gittata per risolvere un conflitto che vede schierati eserciti, esercitazioni, disinformazione e più propaganda che realtà. La Casa Bianca, in un lampo di genio, ha pensato bene di agitare lo spettro delle armi Tomahawk, le famigerate bombe a lunga gittata, per “spingere” Mosca. Proprio così, il piano è bello e semplice: si porta a casa un bel faccia a faccia con Volodymyr Zelenskyy, poi si “invitano” i russi a mettersi buoni, pena il lancio di missili che, per inciso, non saranno tanto innocui.

Lo stesso Trump ha stuzzicato i giornalisti con una minaccia velata: se la guerra non si risolve, ecco che gli “Tomahawk” entreranno in gioco. Che soluzione brillante, mettere pezzi di metallo volante come “leva” diplomatica. Anche il segretario alla Difesa statunitense, Pete Hegseth, ha promesso armi e “fuoco” per l’Ucraina, sebbene senza menzionare esplicitamente i Tomahawk. Sicuramente, un cambio di passo nel sostegno militare americano, perché cosa c’è di più convincente di un missile in uno scacchiere geopolitico?

L’inafferrabile rincorsa alla pace

Non sorprendiamoci se Trump non si nasconde con riguardo: ha fatto sapere che la sua squadra è pronta a rilanciare immediatamente l’impegno per chiudere il conflitto che tra poco raggiunge il quarto compleanno, e per festeggiare ha persino preso la parola di fronte ai parlamentari israeliani per celebrare la tregua tra Hamas e Israele. Poi ha detto chiaramente: “Prima dobbiamo risolvere la questione russa.” E, con un sorriso che probabilmente nessuno ha visto, ha promesso al suo inviato speciale, Steve Witkoff, che da oggi la priorità è Mosca. Magnanimo.

Non stupisce che Trump, sempre pronto a rivendicare miracoli, aveva promesso che la guerra in Ucraina sarebbe finita in un “solo giorno” e ora confessa candidamente che la faccenda è un po’ più complicata di quanto pensasse. Forse risolvere un conflitto durato anni è meno semplice che risolvere le beghe di Gaza… Chi l’avrebbe detto?

Nel frattempo, Victoria Coates, vice presidente dell’istituto Heritage Foundation e già consigliera per la sicurezza nella prima amministrazione Trump, sussurra alla CNBC che la tregua israelo-palestinese potrebbe addirittura spingere verso un accordo anche in Ucraina. Insomma, si tratta di una “spinta positiva,” capace di far esercitare una certa pressione su Putin, e chissà, magari portarlo finalmente al tavolo dei negoziati. Il mondo è proprio un posto buffo.

Ma davvero Mosca vuole giocare?

Il Cremlino, da par suo, si fa bello con dichiarazioni di apertura e disponibilità a negoziare, ma come sempre la diplomazia russa ricorda un po’ quei teatrini infiniti in cui si perde tempo prezioso. Lascia intendere di essere collaborativo, ma in realtà rimbalza ogni tentativo di compromesso, mentre il conflitto si trascina e le manovre territoriali continuano impunemente. Come poteva mancare la solita accusa di irresponsabilità all’Ucraina, vista come il bastian contrario che blocca la “pace”? Una narrativa che ovviamente piace molto agli alleati più stretti di Mosca, e meno a chi subisce i danni sul campo.

Insomma, tutti d’accordo sul fatto che la guerra nel cuore dell’Europa sia un tabù da risolvere, ma nessuno è davvero disposto a farlo con sincerità e senza giochetti di prestigio. Nel frattempo il mondo guarda e aspetta che la prossima grande mossa non sia soltanto una nuova boutade elettorale o una trovata pubblicitaria per magari rilanciare il mito del salvatore.

Chi l’avrebbe mai detto: finalmente una scintilla di speranza nella guerra che Russia ha scatenato a febbraio 2022. Il portavoce presidenziale Dmitry Peskov ha espresso un entusiasmo surreale per una dichiarazione che, in teoria, suggerirebbe un desiderio di pace. Ovviamente, non poteva mancare quella dose di ipocrisia degna di un copione hollywoodiano: “Accogliamo con favore tali intenzioni e la volontà politica di sostenere in ogni modo possibile la ricerca di soluzioni pacifiche”, ha dichiarato con voce suadente e probabilmente senza convinzione.

Non contento, il signor Peskov ha rincarato la dose: Russia resta “aperta e pronta a un dialogo di pace”, ché, a quanto pare, l’influenza degli Stati Uniti e le doti diplomatiche degli inviati di Donald Trump potrebbero miracolosamente spingere l’ostinatissima Ucraina a farsi persuadere da tanta magnanimità. Del resto, chi meglio dell’ex presidente USA potrebbe disinnescare un conflitto internazionale con la sua proverbiale serietà?

Naturalmente, il Cremlino preferisce prendere tempo. E mentre aspettiamo che ci dicano se questi presunti “intenti di pace” sono seri anche solo quanto una vittoria a tombola d’estate, gli Stati Uniti sono qui a ponderare come rispondere, senza fretta di commentare ulteriormente. Che suspense emozionante.

Il bluff di Putin e l’arte della guerra… a suon di Tomahawk

Nel frattempo, Donald Trump si fa fotografare mano nella mano con Vladimir Putin, come se fosse una scena da cinepanettone post-apocalittico, e offre – con la stessa serietà con cui un venditore di auto usate propone un affare irripetibile – il lancio di missili Tomahawk all’Ucraina. Già, proprio quei Tomahawk che al Cremlino “preoccupano estremamente”, almeno a sentire le deliranti ammissioni delle ultime domeniche.

Nel frattempo, Trump gioca a fare il duro con amici e nemici, mettendo tariffe sull’India per il suo rapporto diplomatico-energetico con Mosca. Un vero esempio di coerenza politica, come sparare su un salvagente durante una tempesta in mare.

Il medesimo Trump, che fino a ieri bollava Russia come “una tigre di carta”, continua a minacciare sanzioni più dure ma, per ora, non trova la forza di farle sul serio. È comprensibile: delude così sia Kiev che i suoi partner occidentali, lasciandoli lì, sospesi tra la speranza e l’ennesimo giro di giostra senza direzione.

Peter Dickinson, direttore dell’analisi Ukraine Alert al think tank Atlantic Council, non perde tempo a dispensare giudizi. Secondo lui, le famigerate chiacchiere sui Tomahawk potrebbero segnare una svolta solo se Trump deciderà davvero di mettere in pratica il suo bluff. Altrimenti, resterà solo un’altra sparata retorica degna di un reality show politico.

Peter Dickinson ha spiegato martedì:

“Ora Trump deve scegliere se chiamare il bluff di Putin e armare l’Ucraina con i missili Tomahawk. Ci sono sempre più segnali che potrebbe essere incline a farlo.”

Peter Dickinson ha aggiunto con la saggezza di chi vive nel mondo reale:

“Trump ha ora l’occasione di dimostrare al suo omologo russo che non è uno dei soliti leader occidentali facilmente intimiditi, ma è pronto ad alzare la pressione su Mosca fino a quando Putin accetterà di cercare la pace.”

Per chi nutre dubbi su questa strategia temeraria, Dickinson finalmente chiede obiettività, riconoscendo che questo tipo di fermezza è forse l’unica via praticabile per archiviare questo macabro teatrino bellico.

Siamo SEMPRE qui ad ascoltarvi.

Vuoi segnalarci qualcosa? CONTATTACI.

Aspettiamo i vostri commenti sul GRUPPO DI TELEGRAM!