Deputati in vena di clemenza: bocciate le mozioni di censura contro la Commissione europea, applausi a scena aperta

Deputati in vena di clemenza: bocciate le mozioni di censura contro la Commissione europea, applausi a scena aperta

In un episodio che potremmo definire “il gioco delle sedie politico-institutional,” la prima mozione, quella brillante idea del gruppo Patrioti per l’Europa, è stata prontamente schiacciata con 378 voti contrari, 179 di coraggiosi sostenitori e 37 corriere d’ombra che hanno deciso di astenersi, perché si sa, scegliere è faticoso.

Non meno audace, la seconda mozione, la proposta del gruppo The Left, ha subito un risultato ancora più sferzante: 383 contrari, 133 favorevoli e un manipolo di 78 astensionisti, forse impegnati a contare quanti minuti erano rimasti alla loro pausa caffè.

Entrambi i voti sono stati eseguiti per appello nominale, un gesto di trasparenza che ci regala la brillante visione di chi sta con chi e chi, semplicemente, preferisce nascondersi come se fosse una partita di nascondino istituzionale. Il culmine di questa tragicommedia si è consumato il lunedì 6 ottobre, con un dibattito in plenaria che ha visto protagonista niente meno che la presidentessa della Commissione, Ursula von der Leyen, nell’arduo compito di sostenere il proprio operato di fronte a un Parlamento che, a quanto pare, preferisce il tatticismo alle grandi battaglie.

Il contesto normativo o come si fa a non far cadere mai la poltrona

Per i neofiti della burocrazia europea – o per chiunque abbia pensato che un semplice voto sarebbe bastato a smuovere le acque – ecco la regola aurea che governa questo teatro: serve almeno un decimo dei deputati del Parlamento, questo magico numero è pari a 72, per presentare una mozione di censura alla Commissione. Ma attenzione, la semplicità si ferma qui.

Per ottenere il fatidico “sì” e mandare a casa la Commissione, la mozione deve mettere insieme la maggioranza di tutti i membri del Parlamento. Come se non bastasse, questa maggioranza deve rappresentare ben due terzi dei voti espressi, una soglia da vertigine che garantisce stabilità ma anche l’inerzia di ogni possibile cambiamento serio.

Insomma, votare la sfiducia alla Commissione è come tentare di battere un record mondiale saltando con un solo piede: teoricamente possibile, praticamente impossibile, a meno che non arrivi una forza di proporzioni epiche (e parecchio più numerosa).

Questa architettura regolamentare, così restrittiva e assurdamente difensiva, sembra quindi progettata per disfarsi di chi governa solo con un plebiscito inscalfibile o con un’enorme dose di follia collettiva. Non proprio il terreno ideale per le rivoluzioni lampo, insomma.