Che sollievo! Sébastien Lecornu, il fulgido esempio di stabilità nazionale in veste di Primo Ministro francese, ha deciso di sospendere quella piccola riforma delle pensioni che aveva scatenato rivolte persino nei caffè parigini. È il miracolo dell’ultimo minuto che ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai mercati, evitando almeno per ora un nuovo e clamoroso collasso governativo. Naturalmente, questa svolta di buon senso arriva a caro prezzo, proprio come nella migliore tradizione politica.
Lo stesso Lecornu, con la consueta modestia che lo contraddistingue, ha annunciato davanti all’Assemblea Nazionale che fino a gennaio 2028 non si toccherà l’età pensionabile, congelandola ai miti 62 anni. La riforma, pilastro insostituibile del lascito di Emmanuel Macron, prevedeva l’innalzamento a 64 anni, con l’aggiunta della fatica di lavorare almeno 43 anni per prendere la meritata pensione. Ma, si sa, la pazienza ha un limite, soprattutto quando proteste e scioperi mettono a dura prova l’ossatura democratica – o forse solo sindacale – del paese.
Naturalmente Lecornu, con un gesto degno del miglior diplomatico da bar dello sport, ha tirato fuori il classico asso nella manica, promettendo di non imporre il bilancio con la forza in Parlamento, cercando così il sostegno di quel foscolo socialista tanto in sintonia con la fermezza governativa. Anche il centro-destra di Les Républicains si è elegantemente messo di traverso, rifiutando di sostenere mozioni di sfiducia presentate dagli estremisti vari. Insomma, la sopravvivenza dell’esecutivo sembra ghiotta per il tatticismo politico più puro.
Con il governo tecnicamente ancora in piedi, l’alta finanza può sorridere all’idea di un bilancio 2026 che faccia qualche taglio qua e là per tener bassi deficit e debito, almeno sulla carta. Il CAC 40 ha infatti reagito con entusiasmo al fatto che il quinto Primo Ministro francese in meno di due anni non abbia ancora preso la via dell’uscita, con un guadagno giornaliero del 2,5%, la migliore performance da mesi. Anche l’euro ha fatto un piccolo balletto a +0,2% rispetto al dollaro, festeggiando la conferma che la confusione politica, a volte, fa bene ai mercati.
Il prezzo della rinuncia: la riforma sospesa non è gratis
Peccato che spegnere la riforma delle pensioni, quella stessa riforma che avrebbe risanato equilibri decennali, abbia un prezzo non proprio marginale. Il ritorno ai 62 anni contro la proposta di alzare a 64 anni (con la fatica del lungo lavoro) è quanto di più lontano si possa immaginare da quel “progresso” che qualche luminare in corridoio continua a predicare.
Inoltre, fosse per molti altri paesi europei come Regno Unito, Germania o Italia, 62 anni sarebbe considerata un’età da collezionismo, visto che Berlino, Londra e Roma puntano alle soglie dei 65-67 anni per mandare i cittadini in pensione. Ma, ovviamente, in Francia le resistenze sprigionano un’epica tenacia, e Macron ha dovuto ricorrere a strumenti costituzionali straordinari per imbavagliare l’Assemblea e far passare una riforma sì necessaria, ma evidentemente indigesta.
E adesso cosa succede? I buchi nelle casse dello Stato non si riparano per magia: sospendere la riforma costerà 400 milioni di euro nel 2026 e 1,8 miliardi nel 2027, spiega Lecornu, che mastica amaro ma promette risparmi compensativi, ovvero tagli di qua e di là senza aumentare ulteriormente il deficit. A buon intenditor, poche parole.
D’altra parte, se pensavate che fosse solo una questione di conti a breve termine, anche gli economisti di Goldman Sachs hanno dovuto riconoscere che la sospensione fino alle elezioni presidenziali del 2027 avrà un impatto limitato sul bilancio immediato. Però, se questa pacchia durata troppo a lungo si protraesse, addio sogni di riduzione dei debiti e delfini volanti fiscali.
Gli esperti azzardano con un proverbiale “ma”, avvertendo che il vero rischio è una sospensione protratta che potrebbe compromettere tutta la strategia di bilancio. Insomma, una bomba a orologeria firmata riforma pensionistica in stand-by.
Un debito pubblico destinato a gonfiarsi come una mongolfiera
Per non farsi mancare nulla, il severo controllo economico indipendente francese ha calcolato che l’eventuale stop permanente alla riforma farà lievitare il costo annuo fin quasi a 20 miliardi di euro entro il 2035, pari a circa mezzo punto percentuale del PIL da aggiungere ai già pesanti conti pubblici.
Un incremento del debito pubblico che ci si può immaginare in modo pittoresco, una sorta di mongolfiera che, anziché scendere lentamente, continuerà a gonfiarsi fino a sfiorare il 130% del PIL nei prossimi dieci anni. Per una nazione che ama autoproclamarsi culla della modernità sociale, questo è senza dubbio un piccolo capolavoro di gestione.
Ah, la dolce armonia delle finanze pubbliche francesi, così impeccabilmente gestite da un governo centrista che, come sempre, tiene fede al suo mantra: consolidamento fiscale a ogni costo. Con un rapporto debito/Pil che canta allegramente il 113% nel 2024, è ovvio che tutto stia andando alla grande, vero?
Ma non temete, perché il ministro Olivier Lecornu è qui per rassicurarci. Martedì ha dichiarato che l’obiettivo è un deficit al 4,7% del Pil per il 2026, una riduzione dal 5,5% di quest’anno. Complimenti alla matematica creativa: riduciamo il deficit ma lo lasciamo comunque ben al di sopra delle soglie di guardia. E perché accontentarsi di meno?
E non pensate neppure di incappare in un bilancio da “austerity”: no, no, sarebbe troppo banale. Lecornu, con la solita arte dell’ambiguità, ha accennato a un’“eccezionale contribuzione straordinaria” dalle grandi fortune, senza però specificarne la forma o i dettagli. Il classico “acchiappa-fiato”: tanto rumore per nulla, ma con l’effetto di mantenere tutti sulle spine.
Nel frattempo, dall’angolo un po’ meno entusiasta, Claudia Panseri, direttore degli investimenti di UBS per la Francia, ci porta un po’ di quella sana realtà che evidentemente brilla per la sua assenza al Ministero delle Finanze. Anche qualora il governo riuscisse a far passare il bilancio 2026, la situazione fiscale di Parigi rimarrebbe tragicamente stabile nella sua mediocrità.
Panseri prevede infatti un’ulteriore impennata del rapporto debito/Pil, con un peggioramento calcolato in 2-3 punti percentuali all’anno nel medio termine. Quindi, addio miglioramenti sostanziali: la Francia continuerà serenamente il suo viaggio verso la bancarotta mascherata.
Gli investitori più globalizzati dovrebbero magari considerare di alleggerire la loro esposizione ai titoli di stato francesi a lunga scadenza, suggerisce con velata preoccupazione. Non solo: vista la tradizione francesina di scossoni politici improvvisi, ogni scossa locale rischia di diventare terremoto per l’intero mercato europeo. E pensare che bastano poche parole per destabilizzare l’unione…
Più sicuri sembrano invece i titoli a breve termine, meno sensibili alle ansie sul debito, che offrono rendimenti convenienti per un rischio di default piuttosto basso. Insomma, il ménage à trois perfetto per chi ama giocare con il fuoco finanziario senza bruciarsi troppo.
Un equilibrio da funamboli sul filo del debito
È affascinante quanto la classe politica francese continui a vendere come “controllo dei conti” qualcosa che, in realtà, non è altro che una pigra rincorsa a mettere qualche pezza sui buchi di un bilancio da anni fuori controllo. Eppure, ci raccontano di un 2026 roseo e senza austerità. Forse il ministro ha scoperto una nuova legge della fisica economica dove i deficit si riducono facendo finta che non esistano.
Nel frattempo, il debito sovrano si assesta a livelli da capogiro senza che si intraveda una vera politica di rilancio o di sacrificio mirato, salvo qualche accenno fantasioso a ricchezze “eccezionali” da spremere. Se questa è la strategia, il futuro fiscale francese sembra più una commedia tragica che un film d’azione.
E come sempre, mentre qualche investitore più prudente comincia a mettere distanze dal BTP francese, i governi ci rassicurano che ‘tutto va ben, madama la marchesa’. Nel frattempo, la realtà economica si diverte a mettere continuamente alla prova la pazienza degli europei, con la Francia che, ancora una volta, si spinge nel ruolo di protagonista assoluta del disastro annunciato.



