Non c’è tregua per le autostrade italiane, un eterno teatro dell’assurdo in salsa burocratica. Nella riunione dell’8 ottobre, la mitica Commissione europea ha deciso di trascinare l’Italia davanti alla Corte di giustizia Ue per il dolce peccato di non aver recepito la direttiva 2022/362, meglio nota come Eurovignette. Il tema? Ovviamente l’introduzione di pedaggi per quei simpatici veicoli pesanti che, non contenti, continuano imperterriti a inquinare le nostre amate strade. Il termine ultimo per adeguarsi era il 25 marzo 2024 – quasi un secolo fa se pensiamo ai ritmi italiani – ma Roma è ancora alle prese con carta, penna e caffè. Non bastano nemmeno la lettera di costituzione in mora di maggio né il roboante parere motivato di dicembre. La Commissione, in un colpo di sincerità, ci fa sapere che «gli sforzi profusi dalle autorità italiane non sono stati sufficienti». Tradotto: qualcuno non si è degnato nemmeno di alzare un dito. E allora avanti con la richiesta di multe pecuniarie, perché non c’è niente di meglio di una bella sanzione per far tremare i polsi ai palazzi romani.
Decreto pronto ma relegato al limbo
Come d’incanto, il provvedimento c’è. Si tratta di uno schema di decreto legislativo elaborato con cura dagli esperti di Mit e del Dipartimento per gli Affari europei, pronto per l’uso e perfettamente allineato con le direttive europee. Anzi, era persino iscritto all’ordine del giorno del pre-Consiglio dei ministri del 7 ottobre 2025. Ma, saggiamente, il giorno dopo nessuno si è ricordato di discuterlo o approvarlo a Palazzo Chigi, come se fosse un fastidioso appunto dimenticato sulla scrivania. Nel frattempo, però, Bruxelles ha fatto sapere che la pazienza ha un limite e ha formalizzato il deferimento dell’Italia ai giudici di Lussemburgo. Ma calma, facciamo un passo indietro e rinfreschiamoci la memoria sulle origini di questa adorabile telenovela normativa.
La direttiva Eurovignette: un’illuminata rivoluzione ecologica
La celebre direttiva Eurovignette non è un semplice capriccio europeo, ma una dichiarazione di guerra ai gas serra emessi dai veicoli pesanti, ovvero quelli sopra le 3,5 tonnellate. L’obiettivo? Introdurre un sistema di pedaggi stradali con un tocco di “green washing” in cui il costo abbia addirittura il coraggio di riflettere l’impatto ambientale del veicolo. L’idea nasce in Austria, sempre avanti con le stranezze ecologiste, che ha da tempo imposto tariffe extra ai camion più puzzolenti. La direttiva modifica profondamente una serie di normative europee tra cui la famosa 1999/62/Ce e le sue successive upgrade. Ora le tariffe devono tenere conto non solo del peso del mezzo ma anche di quanto puzzi, misurato in emissioni di CO₂ e inquinanti atmosferici. Il fine è duplice: incentivare veicoli “verde speranza” e contemporaneamente garantire una concorrenza “equa”, un modo elegante per dire “chi inquina più paga”. La palla passa così agli Stati membri che devono distinguere i pedaggi in base alle performance ambientali dei veicoli, bilanciando non solo i costi infrastrutturali ma anche quelli esterni legati all’ambiente. Ovviamente, una rivoluzione da non sottovalutare, specie per chi preferisce gli affari a spese del pianeta.
Il recepimento italiano: ovvero come reinventare la ruota senza salire in macchina
Il nostro decreto nazionale, che riscrive completamente il Dlgs 7/2010, tenta una commistione quasi alchemica con la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023, quella fantastica legge n.193 del 2024. La struttura rispecchia la tanto agognata riforma del sistema concessorio autostradale prevista dal Capo I della stessa legge – un capolavoro normativo realizzato per dare lustro alla misura M1C2-11-12 del Pnrr. Il sistema tariffario sarà unico, perché l’unificazione è sempre sinonimo di efficienza, ma i pedaggi dovranno variare in base a consumi ed emissioni: finalmente una tariffa sensata, direte voi. Non proprio. La differenziazione si basa su oneri per infrastrutture, recupero dei finanziamenti pubblici, e costi esterni dovuti a inquinamento atmosferico e CO₂. Chi tiene le redini di questo sistema? L’onnipotente Autorità di regolazione dei trasporti, incaricata di calcolare tutto e stabilire i valori di riferimento con l’aria solenne di chi custodisce un segreto. Il governo, in un colpo di genio, ha deciso di snobbare del tutto gli oneri per inquinamento acustico e congestione del traffico, giudicandoli “eccezionali e complessi” – ovvero, “non ne parliamo nemmeno”. Non ci resta che sperare che il silenzio abbia un costo davvero alto.
Per tranquillizzare le coscienze più ansiose, il componente atmosferico sarà ridotto del 50% rispetto agli standard comunitari. Così, giusto per evitare la temutissima doppia imposizione su quella componente infrastrutturale che, incredibilmente, già include interventi ambientali. Un colpo di genio burocratico degno di nota.
L’elemento decisivo di questo meraviglioso sistema è che si applicherà esclusivamente alle nuove concessioni autostradali, ovvero a quelle affidate dopo il 18 dicembre 2024, data fatidica di entrata in vigore del nuovissimo quadro delineato dalla legge 193/2024. Il tutto, naturalmente, grazie all’infallibile clausola di salvaguardia dell’articolo 7 della direttiva europea, che consente agli Stati di ignorare bellamente ogni contratto firmato prima del 24 marzo 2022.
Secondo la relazione, il principio sarebbe quello nobile di tutelare il legittimo affidamento dei concessionari e mantenere l’equilibrio economico-finanziario dei rapporti attuali, scongiurando ogni oscena ipotesi di modifiche retroattive alle tariffe. Tradotto: se hai firmato un contratto prima del 2022, stai tranquillo, il fisco e le direttive ti lasceranno in pace. Se invece sei un futuro concessionario, benvenuto nella giungla del nuovo “sistema.”
In sostanza, la direttiva è un’esclusiva riservata ai contratti freschi, quelli che devono ancora vedere la luce, mentre gli attuali continueranno a godere della vecchia, cara, buona disciplina precedente. Un’ottima strategia per conservare lo status quo senza nemmeno doversi inventare chissà quali complicazioni.
Ma attenzione: la tempistica, come spesso accade, è una bomba a orologeria pronta a esplodere. Mentre il testo normativo gongolava in attesa del via libera del Consiglio dei Ministri (magari tra un caffè e l’altro), la Commissione Europea, che non perde tempo, ha esaurito i termini della procedura d’infrazione e, con la fretta di chi non lascia scampo, ha deciso di trascinare l’Italia davanti alla Corte di giustizia. Che tempismo impeccabile, vero?
La sincronizzazione perfetta tra il decreto impantanato a Palazzo Chigi e il deferimento notificato lo stesso giorno chiarisce con ironica evidenza che qui il problema non è tecnico, ma politico. Quindi complimenti, siamo di fronte a un ritardo politico che non solo è tragicomico, ma potrebbe costarci caro: sanzioni pecuniarie che fioccheranno giorno per giorno, fino a quando non ci decideremo a recepire tutto come si deve.



