Il motore delle fusioni globali va a tutto gas grazie a megafusioni e scommesse su tagli dei tassi: pronti a rimanere a bocca aperta

Il motore delle fusioni globali va a tutto gas grazie a megafusioni e scommesse su tagli dei tassi: pronti a rimanere a bocca aperta

Gli osservatori di mercato hanno fatto notare a CNBC che il tanto decantato taglio dei tassi da parte della Federal Reserve a settembre non è esattamente il rituale di esorcismo fiscale che il mercato sperava. Anzi, più che il tocco magico di Harry Potter sembra più un promemoria che il mondo è un campo minato.

L’attività globale di fusioni e acquisizioni (M&A) sembra aver rispolverato le polverose stanze dei consigli di amministrazione, con una ripresa a dir poco roboante nel terzo trimestre. Dopo il trionfale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, i mercati avevano ingenuamente scommesso su un’ondata deregolamentativa e un ambiente fiscale più amichevole. Tutto per far esplodere un boom di accordi mica da ridere. Peccato che timori di recessione, punti caldi geopolitici e inquietudini tariffarie abbiano invece tenuto le imprese sul chi va là, finché finalmente, come per magia, hanno deciso di mettere da parte le paranoie e hanno dato il via libera a un’ondata di operazioni da record, favorite dalle promesse di tagli ai tassi e dai livelli stratosferici di liquidità “dry powder” accumulata da fondi di private equity.

I dati forniti dalla piattaforma finanziaria Dealogic parlano chiaro: il terzo trimestre ha visto esplodere il valore complessivo delle operazioni M&A a 1,29 trilioni di dollari, rispetto a 1,06 trilioni nel trimestre precedente e 1,1 trilioni nel primo trimestre. Se i primi sei mesi s’erano distinti per accordi mid-market più piccoli, il terzo trimestre ha riportato in scena i cosiddetti “megadeal” da brivido.

La società di intelligence M&A Mergermarket ha commentato – con la dovuta enfasi – che “dopo una primavera turbolenta, un’ondata di megadeal e un crescente desiderio di riposizionamento strategico hanno gonfiato l’attività M&A nel terzo trimestre, alimentando la speranza in un finale sprint per il 2025”. Già, il 2025 pare il nuovo 2024, ma lasciamo perdere piccoli dettagli.

Sempre secondo Mergermarket, il valore delle operazioni nei primi nove mesi dell’anno ha superato i 3,4 trilioni di dollari, con un’impennata del 32% rispetto allo stesso periodo del 2023, segnando la performance più robusta dal 2021. Merito, come sempre, dei megadeal da almeno 10 miliardi di dollari, con ben 49 transazioni di questo tipo – il massimo storico per un periodo di nove mesi.

Due episodi degni di nota nel terzo trimestre hanno fatto impazzire gli appassionati di M&A: l’acquisizione da 85 miliardi di dollari di Norfolk Southern da parte di Union Pacific annunciata a luglio, e l’affare da 55 miliardi di dollari di Electronic Arts acquistata dai fondi del Public Investment Fund dell’Arabia Saudita, Silver Lake e Affinity Partners – il più grande leveraged buyout nella storia. Per chi non mastica l’americano, significa – più o meno – “ci stiamo tutti facendo un mazzo tanto”.

Mitch Berlin, vice presidente di EY-Parthenon Americas, ha fatto la lapidaria constatazione:

“La differenza chiave ora è che i leader sono passati dalla modalità ‘vediamo un po’’ a quella ‘azioniamo subito’. Hanno accettato che l’altissima incertezza geopolitica e commerciale è la nuova normalità e stanno cercando il prossimo ciclo di crescita.”

In altre parole, qualche mese fa erano troppo impegnati a farsi venire il mal di stomaco per capire cosa avrebbe combinato il mondo, ora invece si sono convinti che tanto vale buttarci dentro tutto e vedere cosa salta fuori.

Ce n’è per tutti: fusioni, acquisizioni e megatransazioni

Jeff Black, responsabile globale della consulenza M&A per Mercer, conferma l’esistenza di una domanda repressa sia per fusioni che per dismissioni, aggiungendo quel tocco di realtà che i broker adorano.

Perché? Beh, secondo EY-Parthenon, il 48% dei CEO intervistati ad agosto prevede ulteriori acquisizioni, mantenendo così viva l’illusione della crescita senza fine. Anche le IPO stanno riprendendo quota, con un aumento di circa il 12% rispetto all’anno precedente grazie a fintech, industria e un rinnovato interesse per i pezzi grossi della tecnologia.

L’atmosfera su Wall Street è rovente e i colossi come JPMorgan stanno già fiutando aria di ricavi in aumento a due cifre, anche se i risultati del terzo trimestre devono ancora uscire. Il co-CEO Doug Petno non vede l’ora di confermarlo.

Jeff Black aggiunge:

“C’è decisamente una domanda repressa sia per le fusioni e acquisizioni che per le vendite di rami d’azienda. Vediamo anche una crescente pressione degli stakeholder sulle società quotate per crescere, il che sta causando un aumento delle dismissioni.”

Come se non bastasse, Lucinda Guthrie, a capo di Mergermarket, ci ricorda che le ventate di vento favorevole si chiamano deregulation (finalmente), una scorta record di “dry powder” di private equity e la lunga lista di uscite da consumare.

La società di consulenza Bain conferma il dato e fa un’osservazione inattesa: l’industria del private equity siede oggi su ben 1,2 trilioni di dollari di capitale non investito. Nel frattempo, “c’è una corsa agli asset legati all’intelligenza artificiale – dati, infrastrutture e talenti – mentre i settori tradizionali scaricano asset non core per virare verso il nuovo mondo.”

Niente è come nel 2021, meno male

Gli osservatori di mercato hanno fatto notare a CNBC che il tanto decantato taglio dei tassi da parte della Federal Reserve a settembre non è esattamente il rituale di esorcismo fiscale che il mercato sperava. Anzi, più che il tocco magico di Harry Potter sembra più un promemoria che il mondo è un campo minato.

Insomma, facciamo finta che la storia degli anni facili e del denaro a pioggia sia un ricordo lontano. Qui invece abbiamo strategie di sopravvivenza, riallineamenti titanici e un mercato che si muove perché deve, non perché vuole.

Federal Reserve ha approvato un attesissimo taglio dei tassi, lasciando intendere che ne arriveranno altri due entro la fine dell’anno. Un vero regalo di Natale anticipato, non trovate? Finanziamenti più economici significano che le imprese possono indebitarsi più facilmente per comprare altre aziende o per i tanto amati leveraged buyouts. Quando la Fed fa capire che i tassi hanno già raggiunto il massimo, diventa magicamente più semplice mettere un prezzo agli accordi, pensare a come finanziare le operazioni e, voilà, il mondo delle fusioni e acquisizioni (M&A) torna a scintillare.

Però, attenzione a non farsi illusioni: questo boom delle operazioni non è affatto un déjà-vu della spensierata festa dell’easy money del 2021. Guthrie ci ricorda che l’attività di M&A nelle small e mid-cap resta lentuccia, imbottigliata tra differenze di valutazione gigantesche e un ambiente di uscita che somiglia più a un percorso a ostacoli per i piccoli attori, ancora più esposti alle montagne russe delle politiche economiche, alimentate dal passato show di venti Trumpiani.

Nonostante i costi di finanziamento dovrebbero diminuire, per il momento i fondi di investimento tengono duro in un mare di spese elevate, mentre i venditori fanno gli gnorri ancorandosi ai sogni di valutazioni alla 2021. La squadra di esperti di Mergermarket spiega come, per destreggiarsi in questo contesto da replay di un film drammatico, sponsor e compagnie stiano dando libero sfogo alla fantasia con strutture di accordo sempre più creative: joint ventures con opzioni di buyout, oppure quei cosiddetti “continuation vehicles” che suonano così bene ai convegni ma che in pratica sono solo escamotage per allungare la vita alle proprie partecipazioni.

A proposito, per chi non lo sapesse, un continuation vehicle è nient’altro che un fondo di investimento creato da una società di private equity per comprare alcune aziende del portafoglio di un fondo vicino alla fine del proprio ciclo di vita, così da tenersele strette un po’ più a lungo. Insomma, la classica mossa per non mollare la presa quando il gioco si fa duro.

Mercer’s Black ci regala una chicca finale:

“I fondi di private equity di fascia alta sono attivi e stanno raccogliendo capitali, ma i fondi di mid-market devono fare i conti con difficoltà sia nell’uscita che nel fundraising.”

Che delusione per chi sperava in un muro di denaro fresco per tutti: pare che, nella dura realtà del mercato, chi sta in mezzo alla classifica deve ancora affilare le armi per uscire dal pantano e prendere nuove risorse. D’altronde, non è mica facile far combaciare le aspettative su prezzi stellari con la realtà dura e cruda dell’economia post-pandemica e post-trumpiana. Benvenuti nel magico mondo delle fusioni e acquisizioni di oggi: creatività obbligata e lotte intestine tra grandi e piccoli.

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