Ftse 100 e Stoxx 600 si agitano mentre il miraggio dell’accordo di pace Israele-Gaza fa ridere le previsioni

Ftse 100 e Stoxx 600 si agitano mentre il miraggio dell’accordo di pace Israele-Gaza fa ridere le previsioni

Ah, il mercato azionario europeo, quel magnifico teatro in cui ogni tanto si vede uno spettacolo interessante tra enormi sbadigli. Venerdì scorso, infatti, i titoli europei hanno scelto di fare i musoni, scendendo leggermente mentre i rumors su un accordo di pace in Medio Oriente, diplomazie alla Donald Trump style, iniziavano a far capolino. Il Stoxx 600, quel paniere continentale amato dai numeri, segnava un modesto -0,1% verso metà giornata londinese, mentre le borse continuavano a mostrare la loro indecisione, come un gatto davanti a un acquaio.

Il FTSE 100 britannico e il DAX tedesco si sono fatti piccoli, appena sotto lo zero, mentre il francese CAC 40, solitamente più teatrale, restava imperturbabile, nonostante l’eterna instabilità politica del Bel Paese. Anche il nostro FTSE MIB si è concesso un timido -0,2%, come dire: “Sto qui, ma non voglio attirare l’attenzione”.

E già che siamo in vena di spettacoli grotteschi, gli investitori hanno deciso che le azioni difensive europee meritavano un po’ di freddo ritiro. Il Stoxx Europe Aerospace and Defense ha ceduto l’1,7%, forse per la notizia che il governo israeliano ha finalmente dato il via libera alla prima fase di un accordo di pace che, udite udite, prevede la liberazione di ostaggi detenuti dallo Hamas. Pare che a Gaza il cessate il fuoco sia entrato in vigore proprio a mezzogiorno, e che le truppe abbiano fatto un passo indietro, compiendo quello che potremmo chiamare un “balzo diplomatico”.

Nel frattempo, i mercati monetari stanno cercando di digerire la brillante idea di Cina: nuovi controlli all’export di terre rare, quei materiali indispensabili alla realizzazione non solo di tecnologie militari, ma anche di una miriade di prodotti di consumo che, senza quei minerali, avrebbero la resa di una vecchia bicicletta arrugginita.

Così, come per magia, i titoli minerari europei hanno deciso di perdere terreno, con il Stoxx Europe Basic Resources giù dello 0,7%. Un clamoroso voltafaccia visto che, solo qualche giorno fa, erano in ripresa dopo che l’UE aveva annunciato l’intenzione di aumentare i dazi sull’acciaio. C’è da chiedersi se il mercato stia giocando a mosca cieca o se, più semplicemente, faccia quel che può per sembrare vivo.

Passando ai protagonisti da low profile che però si ostinano a guadagnare, la società finlandese di attrezzature energetiche Wartsila e la banca danese Jyske Bank hanno brillato con guadagni oltre il 4%. Wartsila, in un gesto di immensa lungimiranza, ha annunciato un progetto di espansione di una centrale elettrica con la società filippina Delta P, una controllata della Vivant Corporation, ché non si sa mai, l’energia non basta mai.

Come se non bastasse, Jyske ha innalzato le sue previsioni sugli utili per azione, aspettandosi un profitto netto compreso tra 4,9 e 5,3 miliardi di corone danesi, una passeggiata rispetto alle precedenti stime di 3,8-4,6 miliardi. Insomma, qui si dorme sonni tranquilli.

Ma il copione si fa più triste sotto la pelle tedesca e italiana, con i titoli difensivi di Hensoldt e Renk che scricchiolano al fondo con perdite attorno al 4%, e persino la nostra amata Leonardo ha imbarcato acqua allo stesso ritmo. Dopotutto, anche gli eroi cadono… o forse si fanno da parte per lasciare spazio alla commedia della politica.

La “Regola d’Oro” italiana nel mirino di Bruxelles

Ma ora veniamo al clou: la famigerata “regola d’oro” italiana. Non quella sulle pensioni o sul debito di cui tanto si parla, ma quella che permette al governo di imporre condizioni rigorose sulle operazioni strategiche, come quando UniCredit tentò il colpaccio su Banco BPM. In puro stile da “stronzo sovrano”, l’Italia si era messa di traverso, con la solita scusa di interesse nazionale. UniCredit, non proprio entusiasta del clima, ha quindi ritirato l’offerta.

Ovviamente la Commissione Europea non ha perso tempo a presentare il conto, valutando di procedere contro l’Italia per questa “impudenza” che ostacola la tanto decantata consolidazione bancaria europea. Il tutto mentre la stessa Commissione aveva già richiamato la Spagna per questioni simili nel caso dell’offerta di BBVA su Banco Sabadell.

In un contesto in cui la zona euro ha visto fioccare un esercito di potenziali fusioni ed acquisizioni bancarie, da Italia a Spagna passando per Germania, la vera vittima sacrificale sembra essere la competitività europea sul palcoscenico globale, soffocata dalle solite ingerenze politiche che preferiscono salvaguardare le poltrone piuttosto che la solidità finanziaria.

Fonti ben informate hanno detto chiaramente che l’UE intende andare avanti con la sua crociata contro Roma e che nei prossimi mesi arriveranno ulteriori provvedimenti. Insomma, alle corti di Bruxelles hanno deciso che bastano le regole italiane per rovinare il sogno di una super-banca europea. Tocca solo vedere se sul palcoscenico politico italiano qualcuno avrà il coraggio di dire “ma davvero?”

Il paradosso di una leadership sfasata

Da ultimo, ma non per importanza, c’è il capitolo surreale della Presidentessa della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che si è appena cavata d’impiccio sopravvivendo a due voti di sfiducia. In un curioso gioco di maggioranza, ha ottenuto più sostegni rispetto a un tentativo simile di luglio scorso. Si direbbe che la politica europea stia avendo dei gusti piuttosto particolari, oppure che l’arte del compromesso abbia raggiunto nuovi, abissali livelli di ipocrisia.

A questo punto, attendiamo con ansia la prossima puntata di questo circo infinito, che tra un accordo di pace che si spera, dazi che spariscono e ritorni di fiamma bancaria, continua a regalarci momenti di pura, brillantinata confusione continentale.

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